6 novembre 2013

GLI INCIDENTI STRADALI E IL GATTO NERO


La stragrande maggioranza delle persone sedute nel sedile posteriore della autovettura non si allaccia la cintura di sicurezza: non sa nemmeno che è obbligatorio da tempo e non s’immagina che, in caso di tamponamento, anche a velocità considerate “basse”, come 30 o 50 chilometri orari, va a sbattere contro il retro del sedile anteriore con un impatto pari a molti quintali, lo fa uscire dai suoi binari, e lo fa sbattere, assieme a chi ci stava seduto, contro il cruscotto.

trasporti, strade, milanoLa carrozzina che esce dal portone spinta dal genitore, se investita da una bicicletta che circola sul marciapiede “piano”, otto o dieci chilometri orari, fa sbalzare fuori il piccolo e fa molto probabilmente cadere per terra chi spingeva la carrozzina; il ciclista di solito cade dalla parte opposta, con un impatto sul marciapiede o, se questo non è molto largo, sulla macchina parcheggiata, pari a quello che avrebbe se cadesse dal balcone di un primo piano. Se il piccolo è sbalzato dal passeggino, cade a terra dall’altezza del passeggino, un metro.

Digitare sul cellulare “ok” come risposta a un messaggio brevissimo, tipo “Ci vediamo stasera?” significa non guardare la strada per almeno un secondo per aprire il messaggio e leggerlo e per almeno due secondi per digitare e inviare la risposta. In tutto tre secondi, un’inezia. Ma è un’inezia durante la quale, in città, a 50 chilometri orari, si percorrono 41,6 metri (50.000 metri diviso 3.600 secondi, per tre), la misura ad esempio di un edificio di una dozzina di piani. In autostrada, a 130 chilometri orari, lo spazio percorso senza guardare la corsia, per tre secondi, è di 108,3 metri, la altezza del grattacielo Pirelli.

Al termine di un pranzo “fuori porta”, per festeggiare una ricorrenza familiare o per una cena di amici, spesso chi guida al ritorno ha bevuto una certa quantità di alcolici: mezzo calice di bianco come aperitivo, due mezzi bicchieri per il primo e per il secondo, un calice di spumante con il dolce. Magari, dopo il caffè, ha sorseggiato un bicchierino di liquore. Non si tratta di una persona “ubriaca”, anche se è certamente al di sopra del limite previsto da Codice della Strada (0,5 grammi di alcol per ogni litro di liquido corporeo): si tratta di una persona che sopravvaluta le proprie capacità fisiche e i propri riflessi e che è animato da una leggera euforia. Si tratta della situazione più pericolosa, perché l’attenzione e la valutazione dei rischi sono attutite. È la persona che vede il semaforo con segnale rosso, ma vede con chiarezza che non passa nessuno e … passa lui.

Sono solo quattro esempi di situazioni che comportano incidenti stradali: gli esempi potrebbero continuare, almeno per 3.800 volte, il numero dei decessi per “incidente stradale” dell’ultimo anno in Italia, (una decina al giorno) o per 290.000 volte, il numero delle persone che sono dovute andare (o che sono state trasportate) al pronto soccorso degli ospedali (quasi 800 al giorno).

Spessissimo, di fronte all’incidente o alla sua notizia, il viso ammutolito di parenti, amici, colleghi, ricorre al termine “disgrazia”, oppure a “incredibile fatalità”, non trovando una spiegazione. Espressioni comprensibili per l’affetto che si porta (o si portava) alla persona coinvolta nell’incidente, ma completamente sbagliate, per forma e per sostanza.

L’incidente stradale non ha niente di incredibile: è stato provocato da comportamenti ben precisi, è riproducibile in laboratorio, è regolato da leggi della fisica e della meccanica, prima fra tutte quella della energia cinetica che aumenta con il quadrato della velocità. Una persona di 70 chili che urta contro un muro a 50 chilometri orari, semplificando, impatta con la forza di quasi più di una tonnellata, a 130 chilometri siamo a più di quattro tonnellate! Le conseguenze non potevano essere se non quelle accadute. La disgrazia è un’altra cosa.

Si dirà: “… e lo scoppio improvviso dello pneumatico in autostrada?”. Non è così: uno pneumatico non scoppia “da solo”. Se scoppia, per continuare a usare quest’espressione, significa che è stato sollecitato in precedenza a numerosi stress (ad esempio, la pessima abitudine di parcheggiare sul marciapiede), oppure che non aveva avuto la corretta manutenzione, oppure che la pressione era molto diminuita, oppure l’insieme di questi motivi. A quella pressione, a quella temperatura, a quella usura, ecc., non poteva che scoppiare. Bisognava intervenire prima.

Si dirà: “… e la caduta del ciclista perché la ruota della bicicletta si è infilata nella rotaia del tram?” oppure “… e il bambino investito dalla autovettura perché è sbucato improvvisamente in strada, rincorrendo il pallone?” oppure ” … e il tamponamento dovuto alla frenata improvvisa della autovettura che ci precede?” oppure … Ciascuno di noi, riflettendo, può trovare le motivazioni di tali incidenti, motivazioni di fatto sottovalutate o addirittura schernite, prima che l’incidente avvenga. Quando è avvenuto è più facile parlare della disgrazia, del maledetto caso, del “gatto nero” che il giorno prima ci ha attraversato la strada … È più comodo.

La ricostruzione della causa, o meglio, dell’insieme delle con-cause che hanno generato l’incidente stradale sono comunque riconducibili a diverse aree, non solo all’ ignoranza (o alla dimenticanza) dei princìpi della fisica: incide negativamente la consapevolezza che la capacità di controllo e di repressione è debole nel nostro Paese, così come continuano ad avere un peso notevole comportamenti aggressivi o “furbeschi” alla guida delle due o della quattro ruote. Il sistema con cui la patente di guida viene rilasciata la prima volta e rinnovata successivamente non può non essere rivisto.

Un altro elemento, ma questo è di difficile valutazione, è l’elevato livello di confort e di tecnologia presente ormai anche in autoveicoli di piccola cilindrata: una velocità media (ad esempio 70 – 80 chilometri orari) non è percepita come una velocità “media”, ma “bassa”: non si sentono rumori, non si sentono vibrazioni, soprattutto non si sente il motore che “gira”; i sistemi che prevengono in automatico il pattinamento delle ruote o il capovolgimento della vettura sono stati talvolta visti come “bacchette magiche”, in grado di risolvere situazioni ormai compromesse.

Conforta che in quest’ultimo periodo siano stati compiuti numerosi interventi per ridurre gli incidenti stradali, da soluzioni dell’ingegneria stradale a campagne di sensibilizzazione, e conforta che il numero dei decessi si è ridotto in trent’ anni di più della metà.

Ho la convinzione che divulgare in una forma attraente all’opinione pubblica le motivazioni tecniche che hanno provocato un determinato incidente sia una delle strade maestre da perseguire per rendere più sicuri i nostri spostamenti individuali. Qualsiasi sperimentazione in questo senso va bene. Alcune trasmissioni televisive inscenano processi per litigi familiari o bisticci di condominio: si potrebbero inscenare processi a determinati incidenti stradali, ricostruendo le motivazioni più ricorrenti: l’importante è che l’imputato non sia il “gatto nero”.

 

Gianfranco Chierchini

 



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