9 giugno 2009

EXPO LO STANDARD È QUI, LO STANDARD È LÀ, LO STANDARD NON C’È PIÙ


Una delle vanterie maggiori propinate con il progetto Expo consiste nell’annunciare che su metà dell’area su cui sarà costruito si ricaveranno aree a verde per circa 800.000 mq. A questa falsa notizia della giunta milanese purtroppo si risponde con mezze frasi quasi a non voler sfatare questa che appare una bella cosa. Quello di moltiplicare le aree a verde è un vezzo antico delle amministrazioni milanesi che una volta perimetrata un’area come quella dell’Expo spiegano che questa per metà sarà costruita e per metà sarà destinata a verde. Nessuno rileva invece che quella stessa area è già per intero non edificabile e che viceversa si procede a consumare nuovo suolo sottraendo aree vergini alla città. Sarebbe sufficiente dire la verità.

Infatti nessuno contesta che per un’opportunità come l’Expo si possano perdere aree non edificate ma non si dica che si otterrà nuovo verde perché questo non è affatto aggiuntivo ma già conteggiato nei piani urbanistici vigenti a tale scopo. Altro discorso sono le aree industriali dismesse dalle quali costruendo sul 50% e cedendo al comune il resto dell’area effettivamente si ricava del verde aggiuntivo, salvo che non sia monetizzato e allora la città non ne guadagna nulla in standard perché sono risorse che si perdono nei meandri delle spese correnti dei bilanci comunali. Purtroppo è invalso l’uso ed è diventato un diritto acquisito quello di accettare la monetizzazione degli standard pur essendo una facoltà dei comuni e non un obbligo.

Dalle aree dell’Expo a quelle di Cascina Merlata, da tutte quelle aree già destinate nel Piano Regolatore vigente a Servizi comunali o privati, a verde agricolo o verde comunale, per le quali si procede o si è proceduto con Varianti edificatorie, quello che si ricava non è un verde aggiuntivo ma una perdita di aree a standard che vanno a squilibrare lo strumento urbanistico che a suo tempo prevedeva il pareggio tra abitanti e la loro dotazione di aree a standard. E’ sufficiente porsi una semplice domanda: costruendo sulle aree che sono state individuate per l’Expo il consumo di suolo aumenta o diminuisce? La risposta è banale, ribadito che per un’occasione del genere vale la pena compiere un sacrificio a patto che si dica la verità e non si barattino i numeri promettendo per nuovo verde quello che già esiste. Le obiezioni ricorrenti sono due.

La prima si fonda sul fatto che è vero che si porta a casa solo metà dell’area prima destinata a verde ma senza spendere risorse per l’esproprio e in più attrezzata. Grazie per le panchine ma il bilancio non è in pareggio fra quanto ne beneficia l’operatore e ciò che ne riceve la collettività che nell’accordo negoziato, con il comune che acconsente, è sempre l’alibi e non l’oggetto dell’intervento altrimenti il proprietario non lo proporrebbe.

La seconda è che l’attuale Piano regolatore generale è tarato, per quanto riguarda gli standard, su una popolazione di 2.100.000 abitanti mentre i residenti sono 1.300.000. Questo scostamento non può indurre nessuno ad affermare che allora Milano è sovra dotata di aree a servizi e a verde. Né che nonostante ciò si possa pensare che il giochino di costruire su aree non edificabili cedendo standard non costituisca ulteriore consumo di suolo. E’ successo molte volte che aree destinate a standard siano state sottoposte a Varianti edificatorie, ad esempio con i piani di zona, indicando la solita percentuale del 50% di costruito ed il resto a verde e che poi successivamente lo stessa quota a verde sia stata ancora oggetto di ulteriore Variante suddividendo nuovamente l’area. Con questo metodo inteso a ritenere le Varianti autosufficienti in sé in termini di assolvimento degli standard si capisce perché la città è andata in deficit di verde e servizi sconvolgendo i dati in equilibrio, sulla carta, del vecchio P.R.G. Se Milano negli anni ’70 aveva stabilito che il Piano Regolatore dovesse prevedere la metà del suo territorio (182 ml di mq) a verde e servizi (91 ml di mq pari a 2.100.00 abitanti x 44 mq abitante) lo aveva deciso per molte ragioni valide.

Ma il conto ragionieristico non è appassionante seppure un raffronto per misurare lo standard ci deve pur essere considerato che la stessa legge regionale oggi vigente afferma che esso non può essere meno di 18 mq per abitante, più un tot per altre considerazioni come sulla mobilità delle presenze. Certamente una città come Milano non potrà indicare nel suo prossimo Piano di Governo del Territorio, P.G.T., strumento che sostituirà il vecchio piano regolatore generale, P.R.G., una cifra basata sul minimo previsto (18 mq abitante x 1.300.000 = mq 23.400.000) misura totalmente inadeguata alle esigenze normali, né tantomeno calcolare lo standard sulla percentuale minima della normativa precedente (26, 5 mq abitante x 1.300.000 = mq 34.450.000). Le aree a servizi e a verde nel nuovo P.G.T. dovranno essere almeno pari all’attuale fotografia dell’esistente che si stima attorno a 70 milioni di mq tenuto presente che rispetto a quanto previsto “sulla carta” dal vigente P.R.G. oggi esiste una carenza di circa 20.000.000 di mq. Non c’è dubbio che è meglio qualcosa in meno dei sogni cartacei previsti rispetto alla disponibilità di servizi reali e qualitativi.

Il P.G.T. in elaborazione dovrà dunque tenere conto di questi aspetti fra le tre o quattro priorità generali. Va sottolineato peraltro che non fa onore a una città come Milano il non essere stata politicamente in grado di redigere questo strumento nei tempi di legge e di essere in regime di proroga, essendo il comune di Milano quello con le aree critiche più popolose e il più dotato che idonei uffici tecnici né di essere stato come capoluogo di regione un esempio trascinante. Ciò detto, innanzitutto non si può tornare indietro rispetto alla situazione esistente in termini di quantità di aree a servizi e a verde già ora insufficienti e ne deve essere previsto un aumento significativo posto che oltre due terzi del suolo milanese è edificato. Poi deve essere data un’indicazione percentuale, seppur flessibile, cosa che oggi la legge purtroppo non prevede, intesa a programmare nel Piano dei servizi, fatto 100 quanto contiene, quant’è la quota delle aree destinate a non essere edificate e che quindi devono rimanere a verde e quant’è quella delle aree dedicate ai servizi alla persona, in edifici pubblici o privati che siano. Occorre inoltre stabilire dei principi precisi per quanto riguarda la concessione della possibilità di monetizzare gli standard limitando questa facoltà nei soli casi in cui l’area o l’intervento non lo consenta. E’ necessario un continuo monitoraggio del consumo di suolo affinché tra una variante e l’altra si rimanga in equilibrio tra esigenze della popolazione e sviluppo della città. Per fare ciò è necessario non considerare le varianti autosufficienti in sé ma pesarle nel bilancio complessivo dell’insieme del territorio comunale. Infine vi sia un maggior coordinamento metropolitano per distribuire meglio benefici e svantaggi dei pesi insediativi.

Se non vi sarà chiarezza su questi punti saremo di nuovo sommersi dagli annunci di nuovo verde in una città che viceversa ne avrà sempre meno.

 

Emilio Vimercati

 

 

 

 


 



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