30 ottobre 2013

RENZIANI MILANESI: VINTA LA PARTITA DI ANDATA


Il risultato delle primarie per il segretario del PD metropolitano segna una svolta importante. Non per la definizione della linea politica visto che non sono emerse tra i 4 differenze sostanziali, ne per il rapporto con Palazzo Marino essendo tutti ottimisticamente d’accordo con l’affermazione “Il PD è ininfluente a Milano” ; non per la scelta delle alleanze essendo le elezioni lontane, ne per le personalità proposte ma perché si è definitivamente stabilito quale modello di partito ha scelto il PD milanese.

02marossi_37FBNella pratica si è trattato di una conta interna, tesa a pesare le diverse aree e a posizionare i notabili in vista di trattative future e a tutelare o rottamare i parlamentari. L’unico elemento polemico è stato quello del ruolo della Fondazione Quercioli (che a tutti gli effetti non dovrebbe avere nulla a che vedere con il PD) argomento che ha avuto come principale risultato quello di sottolineare una continuità con il vecchio PCI di cui molti non sentivano la necessità ma che è servito per far capire che qui la rottamazione non è ancora partita ma partirà. Capire poi chi tra gli sponsor dei candidati ha vinto richiede una conoscenza degli schieramenti interni millimetrica che rende il mitico Cencelli un dilettante, quindi ci rinuncio, tanto più che si è votato con esiti diversi anche in altre provincie lombarde e poi perché il senso di questo voto è stato far a prendere atto del modificato rapporto tra il partito degli iscritti e quello degli elettori a tutto favore del secondo.

I votanti sono stati 7.898 di cui in città 2.775. Alle primarie tra Renzi e Bersani solo un anno fa avevano votato in Milano e provincia 173.185 elettori di cui 88.000 in città e 84.000 in provincia, un rapporto quindi di 1 a 22 nell’area metropolitano e di 1 a 35 in città. Alla camera il PD ha preso pochi mesi fa 508.000 voti con un rapporto voti/partecipanti domenica di 1 uno a 65 in provincia e di 1 a 75 in città. Siamo lontani anni luce dal rapporto iscritti voto del PCI, PSI o DC ma anche da quello di altre federazioni sia lombarde (PV 1/26, BS 1/38, VA 1/46, BG 1/56) che di altre regioni (Enna 1/6 votanti ma iscritti 1/3,5, Palermo 1/20, Bologna 1/38) e pure dalle primariette natalizie quando si dice votarono 33.815 elettori.

Gli elettori milanesi hanno snobbato la possibilità di iscriversi al partito perché sanno che le scelte rilevanti, quelle per il leader sia esso nazionale o locale, sono compiute con primarie aperte. Il massimo della capacità di proselitismo si ottiene convincendo un pugno di amici a iscriversi il giorno dell’elezione del segretario contemporaneamente al voto, come appunto avviene alle primarie aperte. In questo senso appaiono ridicole le polemiche sull’aumento di tesserati all’ultimo minuto, non di malapratica si tratta, non di broglio ma di scelta consapevole compiuta nel pieno rispetto del regolamento e del modello di partito ipotizzato da chi questo regolamento ha approvato, cioè tutti. Regolamento che sottolinea come i circoli territoriali sono uno dei metodi di organizzazione del PD, non necessariamente il più importante e come certamente i circoli non abbiano più nulla a che vedere con la vecchia sezione dove occorreva aspettare un tempo prefissato tra la domanda di iscrizione e l’accettazione della stessa, per verificare la congruità della richiesta e la qualità della militanza.

Il prossimo segretario, chiunque sarà ma penso Bussolati (l’unico in sintonia reale con il modello Renzi) farà molta fatica ad affermare il proprio ruolo politico perché questi numeri connotano il PD come un tipico partito elettorale nel quale il segretario risulta delegato alla definizione degli aspetti organizzativi delle primarie e delle campagne elettorali, in pratica un campaign manager. Nell’area metropolitana milanese questa è la logica conseguenza di scelte avviate da tempo come quella di delegare ad una platea diversa da quella degli iscritti la decisione sulle candidature rilevanti: Boeri, Pisapia, Ambrosoli ma anche sulle candidature minori dei parlamentari

Ma è anche la logica conseguenza d’aver slegato l’elezione del segretario provinciale / regionale da quello nazionale (nella sfida Sarfatti Martina o in quella Martina Angiolini per la segreteria regionale lombarda parteciparono dieci volte tanti elettori); volendo difendere il ruolo degli iscritti si è invece ottenuto il risultato inverso. Ve lo immaginate il futuro segretario provinciale andare da Pisapia a chiedere un rimpasto sulla base del mandato di un migliaio di voti rappresentativi di 2500 iscritti/votanti? Ovviamente Pisapia parlerà solo con Renzi al neo segretario al massimo toccherà D’Alfonso.

La trasformazione del partito la si vede anche analizzando il peso dell’organizzazione in relazione alle preferenze (l’altro strumento per la selezione del gruppo dirigente): trascurabile visto che nel gruppo comunale ben 5 eletti hanno avuto più preferenze di quelle espresse per tutti i candidati alla segreteria messi insieme mentre alle elezioni regionali dove erano in lizza (senza successo) tre dei quattro candidati alla segreteria questi hanno preso poco meno di 2 preferenze ogni voto iscritti (Bussolati 4.092, Cavicchioli 4.008, Censi 3.721).

È indicativo che proprio mentre candidati più o meno rottamatori si disputavano le segreterie provinciali, con regolamenti diversi tra le diverse regioni, alla Leopolda non compariva neppure il simbolo del partito: nel non nuovo schema di una repubblica modellata sul “sindaco d’Italia” di finalmente riabilitata pacciardiana memoria, il partito è uno degli strumenti, non necessariamente il principale.

In conclusione questo voto evidenzia una netta vittoria renziana perché si afferma il modello partito da lui auspicato. Se considerate che un anno fa Renzi veniva accusato di berlusconismo occulto e la sua fiaccolata con staffetta (organizzata per l’appunto da Bussolati) aveva fatto sogghignare i più bisogna dire che molto è cambiato.

 

Walter Marossi

 



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