30 ottobre 2013

SERRAVALLE: I CONTI NON TORNANO SE NON SI VEDE LA METROPOLI


È dei giorni scorsi l’annuncio del Comune di Milano di voler andare per conto proprio nella vendita delle proprie quote di Serravalle. Il Comune di Milano detiene il 18% della società e la Provincia è ora ben lieta di correre da sola nel tentativo, finora infruttuoso, di trovare un compratore per il pacchetto di maggioranza di cui è detentrice con il 52% delle quote.

04balotta37FBOvviamente una scelta che avrà pesanti conseguenze sui bilanci milanesi: perché così la Provincia potrà avere qualche possibilità di trovare un compratore disposto ad acquisire una maggioranza ‘alleggerita’ per una società poco appetibile perché oberata di debiti, ma al Comune resterà una partecipazione del tutto inservibile e per di più gravata da severi oneri di risanamento patrimoniale: il privato che dovesse subentrare nel controllo di Serravalle non sarà certo interessato a rilevare la quota del Comune, almeno non prima che il Comune abbia messo mano al proprio magro portafoglio per nutrire la propria parte, minoritaria ma cospicua, d’inevitabile ricapitalizzazione della società.

Così un Comune che non sa più dove cercare risorse per quadrare il proprio bilancio non riuscirà a disfarsi dell’ingombrante partecipazione alla sgangherata concessionaria autostradale: secondo gli analisti, infatti, Serravalle SpA, con i costi operativi superiori del 30% rispetto alle altre autostrade e con in pancia il maxiprogetto autostrade lombardo (Pedemontana e Tem), è in continua svalutazione, anche per le sempre più evidenti difficoltà di finanziamento delle due costosissime opere. La vendita separata, se ci sarà, farà crollare il valore della quota comunale: stiamo parlando di azioni per un valore di un centinaio di milioni, sottratti a ogni possibilità di vantaggiosa cessione per il Comune, considerato che gli azionisti della società, e quindi anche il Comune di Milano, dovranno sborsare di tasca propria le quote di ricapitalizzazioni previste per Tem (+10%) e Pedemontana (+15%), per un valore dell’ordine di altri 100 milioni. Soldi che dovranno uscire dalle tasche del Comune, senza nessun ritorno ai contribuenti.

La vendita separata di Serravalle è decisiva per consentire la realizzazione di Pedemontana, insieme a TEM il più insensato elemento del maxi-progetto autostradale lombardo: sbagliato non solo per i pesantissimi impatti ambientali che determina nell’area metropolitana milanese, ma soprattutto per il soverchiante rapporto tra previsioni di rientro e costi di realizzazione, fattore che indispone fortemente i privati dall’esporsi con capitali propri. Almeno fino a che, fra trasferimenti statali, prestiti a perdere, defiscalizzazioni e investimenti diretti della società concessionaria, il pubblico non si sarà fatto carico di gran parte dei costi (quasi 5 miliardi) di realizzazione dell’opera.

C’è una soluzione alternativa e meno onerosa per i conti del Comune? Sì, ci sarebbe, ma richiede la volontà di entrare a gamba tesa nelle scelte ‘hard’ che investono l’area metropolitana, scelte da cui finora Milano si è sottratta. Milano non dovrebbe solo recedere dalla scelta masochistica di tenersi le sue quote di minoranza in Serravalle pur di far passare il controllo in mano ad un privato, ma dovrebbe anche avere il coraggio di esigere una drastica spending review sugli investimenti programmati dalla società, esigendone il ribilanciamento attraverso una forte revisione dei progetti autostradali, ancorché già approvati in sede CIPE.

Questo vale per TEM, su cui è ancora possibile rinunciare allo sviluppo integrale del progetto da quasi due miliardi di euro, limitandolo alle tratte di accessibilità a Brebemi (autostrada che termina nelle campagne di Melzo), e soprattutto per Pedemontana, infrastruttura di cui solo la tratta centrale (tra Desio e Vimercate) assolve a una vera e impellente necessità di riassetto della mobilità a nord del capoluogo. Questo significa non solo ridurre in modo radicale il progetto (e i suoi impatti ambientali), ma anche rivedere completamente il concetto di opera, in sé un banale asse autostradale di attraversamento, che può invece essere riprogettato per trasformarlo in facility di accesso viario ai nodi di mobilità su ferro che vengono intercettati dal tracciato (ben 5 contando le sole linee S dirette a Milano), ponendo in capo al concessionario la gestione dei parcheggi d’interscambio ed evitando in questo modo che l’infrastruttura produca come effetto collaterale un aumento di traffico e di congestione di cui farebbe le spese, in definitiva, anche il capoluogo.

Con una Pedemontana fortemente ridimensionata e messa al servizio di un programma di mobilità metropolitana, il Comune non solo potrebbe evitare un nuovo generatore di traffico stradale, ma potrebbe anche sperare in un risanamento, oggi impossibile, dei conti della società, che diverrebbe capace in tempi ragionevoli di produrre gli agognati dividendi.

Ma il Comune ha voglia di battere i pugni sul tavolo della governance metropolitana, o preferisce continuare a campare e a soccombere sulle scelte di altri (Provincia, Regione), come già fatto per SEA e per gli aeroporti milanesi, ma anche per gran parte delle scelte legate a Expo, pur sapendo che in questo modo dovrà farsene carico, privandosi di risorse finanziarie per molti anni a venire?

Dario Balotta Damiano Di Simine



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