25 settembre 2013

MILANO E IL VOLTO TRISTE DELLA MODA


Dopo l’incidente estivo, l’ultimo di una lunga serie, tra il mondo della moda e il Comune – Dolce Gabbana non avevano apprezzato il sarcasmo di un assessore sulla loro posizione fiscale – sembra che settembre abbia portato la pace, anzi una totale concordia: il sindaco non si perde una sfilata e invita gli stilisti a una serata in loro onore alla Scala. Altro stile rispetto ad Albertini che si era fatto vedere con le mutande di cachemire in compagnia di Valentino.

01editorialeFBIl clima è cambiato e Milano sembra in festa. Eppure c’è anche il volto triste della moda. A incarnarlo, involontariamente, sono modelli e modelle: non si scappa, vi vengono incontro dalle pagine di pubblicità, che in questi giorni invadono i magazines, col volto cupo, lo sguardo duro, le pose e gli atteggiamenti più improbabili ma mai un sorriso, mai un ammiccamento. Mi hanno spiegato che il tutto in fondo dovrebbe essere un richiamo erotico, un messaggio subliminale destinato agli istinti sessuali. Non lo capisco, perché pensavo che soprattutto i giovani, cui principalmente è destinata questa pubblicità, si fossero ormai liberati di tutti i pregiudizi sul sesso, soprattutto dai complessi di colpa che lo rendevano un fatto celato dietro l’ombra del peccato. Evidentemente la strada verso la libertà sessuale è ancora lunga, almeno per il mondo della moda che comunque col sesso continuamente ci gioca fra trasparenze e spacchi vertiginosi. Forse siamo rimasti al fascino del frutto proibito.

Ma non facciamo i “choosy”, come direbbe la ex ministro Fornero, non bisogna essere schizzinosi di fronte a quello che la moda vuol dire per Milano, come bene ci ha spiegato Valentina Magri nel numero scorso di ArcipelagoMilano: “Il settore ha creato un indotto da 28 milioni di euro per la Lombardia, di cui più di metà – per la precisione: 17 milioni – a beneficio del suo capoluogo.”. Di fronte a queste cifre si ferma la mia ignoranza in economia ma, come per le ricadute di Expo, ho il sospetto che i calcoli siano fatti pensando alla teoria dei sei gradi di separazione – quella dell’ungherese
Frigyes Karinthy
– per cui dopo sei passaggi siamo tutti indotto di qualcosa. Ma veniamo alla tristezza.

Le facce dei modelli e delle modelle ci inquietano perché involontariamente ne ricordano altre: quelle, ad esempio, dei 16.000 partecipanti che concorrono a 400 posti d’impiegato pubblico. Non sono con i vestiti griffati, non sono tutti belli ma sono l’umanità dolente di oggi. E allora la tentazione di voltare pagina ci assale e lo spettacolo è stridente come quando sui famosi magazine di queste settimane dopo decine di pagine di moda trionfante nei volti tristi arriviamo alle pagine inesorabili: quelle delle sciagure quotidiane, degli eccidi, dei suicidi disperati, delle violenze sulle donne, del razzismo e mi fermo qui.

Mi fermo qui ma ho anche sotto gli occhi il titolo dell’articolo di Carlo Verdelli sulla Repubblica del 23 scorso: “Smiracolo a Milano. Una capitale in svendita”. Articolo amaro com’è amaro sulla stessa pagina il commento di una vera milanese, Rosellina Archinto: “Più che energia vedo frenesia, ora su tutto domina il dio denaro”. Allora vale la pena di domandarsi: stiamo realmente facendo tutto il possibile perché il giorno che si apre dopo quello della moda non sia come il volto triste dei suoi modelli? Le istituzioni milanesi sono all’altezza? Si vogliono utilizzare vere competenze e non compiacenti pareri? Il nodo della burocrazia lo si vuole sciogliere? Siamo arrivati alla fine dell’ossequio ai diritti acquisiti? Dopo la vecchia classe imprenditoriale che vende e pensa sopratutto alla finanza ce ne sarà una nuova che crea? E della classe politica che impedisce il suo rinnovamento cosa ne pensiamo?

Luca Beltrami Gadola



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