18 settembre 2013

REFERENDUM: IL PD E IL PROBLEMA DELLA GIUSTIZIA


L‘articolo del Consigliere Borg sulle spallucce che il PD fa al referendum, è appassionato e ragionato. Questo consente di prenderlo come riferimento anche per esprimere la convinzione che, per raggiungere alcuni degli obiettivi enunciati, la proposta dovrebbe essere un po’ diversa.

Separiamo due aspetti dell’articolo: il merito dei singoli quesiti referendari e il significato del grappolo di referendum. Ciascuno dei 12 quesiti esprime una mentalità laica e liberale che punta al convivere dinamico tra cittadini diversi e responsabili. Si badi bene, tra i quesiti non c’è l’amnistia. Meno male, visto che l’amnistia è un mezzo illiberale contro il principio della pena come punizione della illegalità e favorisce la concezione per cui al centro del vivere c’è il potere e non il rispetto delle regole. Del resto è assurdo volere l’amnistia contro le condizioni inumane e degradanti delle carceri, quando il 35% dei detenuti è in attesa di processo e per svuotare le carceri basterebbe eliminare il carcere nella fase dell’attesa.

Il secondo aspetto è la questione dei referendum a grappolo, un sistema degli ultimi venti anni che muta la natura del quesito referendario. Mentre ogni quesito abrogativo esprime la logica del controllo da parte dei cittadini sulle specifiche decisioni del Parlamento, gonfiare il numero dei quesiti fa del referendum un metodo di scelta complessiva al posto del Parlamento. Insomma, il referendum abrogativo come controllo, completa il ruolo del Parlamento impedendo che degeneri in corporazione. Viceversa il referendum abrogativo come strumento di governo, vuole essere un’alternativa al legiferare in Parlamento e illude di decidere senza delegare. Nell’epoca della politica come immagine senza contenuti, i referendum a grappolo piacciono perché danno visibilità, ma favoriscono l’illusione politica dei grandi sogni complessivi e allontanano il conflitto democratico tra i progetti concreti dei cittadini. Si fa credere che basti impegnare l’energia civile nel manifestare il proprio sogno, e si omette il lungo e complesso lavoro politico per scegliere nel merito leggi coerenti elaborate con gli altri cittadini. Ciò danneggia il corretto utilizzo delle energie riformatrici, imprescindibile nella democrazia libera tra cittadini diversi.

Da qui derivano sia l’evanescenza del PD nello schierarsi che il berlusconiano sostenere la firma di quesiti non condivisi con la ragione di far scegliere ai cittadini (violando il criterio parlamentare). Appunto per evitare questo danno, i liberali non condividono i referendum a grappolo (ci vuole un limite annuo alle firme del cittadino) e, pur riconoscendosi nei singoli quesiti attuali, ne firmano solo tre, i due sulla responsabilità civile dei magistrati e quello sulla separazione delle carriere. Siamo convinti che, per migliorare le condizioni della convivenza, non si devono rincorrere disegni risolutivi globali (che opprimono la diversità e favoriscono l’immobilismo) ma sia indispensabile affrontare i problemi uno per uno, a partire dai più urgenti. Cominciando dal come si amministra la giustizia.

Gli italiani già nel 1987 avevano scelto la responsabilità civile della magistratura e, se ancor oggi manca, è perché quel risultato fu subito distorto dal premere corporativo sul parlamento. Ora va inserita. Quanto alla separazione delle carriere, non si tratta più di tergiversare ma di approdare davvero al processo accusatorio, stabilito più di venti anni fa e sempre imbrigliato dai vedovi dell’Inquisizione e dai patiti dei privilegi corporativi (qui stanno le radici di quella giustizia che Borg chiama impropriamente di classe e che in realtà è il panpenalismo in omaggio agli appartenenti ai clan forti). La separazione è il punto di partenza per riportare la magistratura con i piedi terra, liberandola dalle suggestioni elitarie che giustificano ogni comportamento tra colleghi. Serve anche per iniziare a smantellare gli intrecci ramificati e chiusi della burocrazia autoreferenziale. Il che è indispensabile per non diffidare dell’attività innovativa degli imprenditori e per attirare gli investimenti esteri.

Peraltro, fare tutto ciò significa una cosa. Accettare che il fulcro della convivenza sono gli individui cittadini e che quindi le regole devono basarsi sulla centralità del cittadino secondo le scelte e gli aggiornamenti al fondo sempre affidati ai cittadini. Con queste regole di continuo adeguate si tesse la società. La frammentazione e l’atomizzazione individuale della società sono la realtà delle cose viventi, una realtà che solo i nostalgici del passato o i drogati delle reti sociali informatiche respingono alla ricerca di legami utopici. Peccato che, con la scusa delle promesse di un futuro che non ci può essere, trascurano e opprimono il presente che c’è, cittadini in testa. Quindi è il momento che il PD, nel darsi un progetto, lasci cadere il suo pregiudizio contro la metodologia individuale dei cittadini.

 

Raffaello Morelli

 



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