24 luglio 2013

“SILETE THEOLOGI IN NUMERO ALIENO”


La messa di Papa Francesco e l’omelia dallo stesso pronunciata a Lampedusa rappresentano un evento di grande significato, soprattutto se lo valutiamo insieme ad altri gesti e parole significative di questa primissima fase del nuovo pontificato. Forse è, quindi, utile ritornare sul tema per riflettere, con più calma, sul significato dell’evento, dopo il primo forte impatto emotivo. A questa riflessione ci sollecitano anche alcune reazioni che criticano questa presenza perché sarebbe, in sostanza, inconcludente (“Bergoglio predica ma niente soluzioni“). Alcune di queste reazioni, per il basso profilo morale e intellettuale di chi le ha pronunciate, e per la loro supponenza (“Una cosa è pregare, un’altra è governare“, come se con i 20.000 morti affogati nel Mediterraneo fossimo di fronte a un preclaro esempio di buon governo!) non meritano, invero, alcuna attenzione.

vitale_28Ma mi ha colpito che prese di posizione analoghe (“lasciate fare a chi sa fare, la Chiesa non si interessi di cose materiali, pensi solo allo spirito“), sono state pronunciate anche da persone che stimo. Alcune di loro sono siciliani che si sono scordati di quando molti siciliani cattolici soffrivano per il silenzio della Chiesa sulla tragedia mafiosa e di come la famosa invettiva di papa Wojtyla, ad Agrigento, abbia, tardivamente, contribuito a cambiare il clima, offrendo un supporto morale fondamentale a chi contro la mafia si batteva sul campo. Da quel momento questi furono meno soli e quindi più forti.

Antico è l’ammonimento ai teologi di non invadere aree non di loro competenza: “silete tehologi in numero alieno“, al quale un grande papa e grande giurista (se ricordo bene Innocenzo III) rispose che: “ratione peccati” la Chiesa ha il diritto e il dovere di pronunciare il suo pensiero su ogni comportamento umano. Che la Chiesa, nelle sedi appropriate e in modo appropriato, parli anche di economia, di organizzazione, di diritto, di moneta e di quant’altro non mi dà il minimo fastidio. Anzi, sono lieto che essa ciò faccia, portando il contributo della sua esperienza e della sua saggezza.

Credo che questo mio sentimento promani dalle radici più profonde di un’autentica impostazione liberale e dall’intendere la vita come una continua ricerca. Ma esso è anche stimolato dalla scarsità di occasioni che il mondo cosiddetto laico ci offre di discutere, in spirito di verità, dei problemi sempre più seri e complessi del nostro tempo, e soprattutto del senso del nostro operare. Per chi, come me, pensa che non esista atto della vita in cui non si ponga un problema morale, essendo la morale null’altro che il rapporto che uno ha verso la vita nelle sue manifestazioni singole e nell’insieme, è più che legittimo, doveroso, auspicabile e anzi necessario, che “ratione peccati” la Chiesa porti su ogni vicenda umana la sua parola, la sua stimolazione, il suo confronto.

Ma se vi è un evento per il quale questa problematica è totalmente inappropriata è proprio il viaggio di papa Francesco a Lampedusa e la sua omelia. Rileggiamola con attenzione e rispetto. Essa è chiarissima. Il papa non è venuto a proporre soluzioni e se lo avesse fatto, allora sì! sarebbe stato criticabile. È venuto: a pregare, a fare un gesto di vicinanza, a risvegliare le coscienze, a mandare un messaggio contro la “globalizzazione dell’indifferenza” che è la via che spiana la strada ai “trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri” e a “coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono le strade ai drammi come questo“. Senza un superamento della “globalizzazione dell’indifferenza”, senza una nuova riflessione sul significato dei 20.000 morti nel “Mare nostrum”, non vi è speranza di “cambiare concretamente certi atteggiamenti”.

Dunque la presenza d papa Francesco a Lampedusa è una presenza di preghiera (per chi sa pregare) e di riflessione (per chi sa riflettere).Tanto per incominciare smettiamola, come continua a fare la grande stampa, di parlare di vittime del mare e rileggiamo la meravigliosa poesia di Edoardo de Filippo intitolata: “‘O mare“: “Certo, à/ pè chi se trova / cu nu mare ntempesta /e perde ‘a vita, / fa pena, / e ssongo ‘o primmo / a penzà ncapo a me: / “Che brutta morte ha fatto / stu pover’ommo, / e che mumento triste c’ha passato”. // Ma nun è muorto acciso. / È muorto a mmare. / ‘O mare nuna cide. / ‘O mare è mmare, / e nun ‘o sape ca te fa paura. // Io quann ‘o sento, / specialmente ‘e notte, /cumme stevo dicenno, /nun è ca dico: / “O mare fa paura”, / ma dico / “O mare sta facenno ‘o mare”.

Dunque le ventimila vittime del Mediterraneo non sono vittime del mare perché il mare “nuna cide” ma semplicemente “sta facenno ‘o mare“. Sono vittime degli uomini e delle politiche. E se Papa Francesco ha fatto bene a chiedere a tutti indistintamente un confiteor per l’indifferenza di fronte a questa tragedia, oggi, se si vuole che questo grande momento di spiritualità avviato da Papa Francesco dia dei frutti a più lungo termine, è necessario portare la riflessione anche sul piano politico. E ciò obbliga a fare delle distinzioni. Tra gli uomini e tra le politiche. Siamo tutti responsabili è vero, ma io penso che Maroni, Berlusconi, Fini, Bossi siano più responsabili di me e di tanti altri come me, sia sul piano morale che su quello politico. Perché le politiche adottate dall’Italia per fronteggiare il problema non solo sono state crudeli ma sono state, sul piano dei risultati, una catastrofe. Esse non vanno solo condannate perché frutto di egoismo ma perché politiche ottuse e inefficaci. Nessuno intende dire che ci siano soluzioni facili né che si debbano aprire le porte senza ordine e organizzazione ma, certamente, se il risultato di quello fatto fino ad adesso è quello che abbiamo sotto gli occhi, compresi i 20.000 morti in mare, allora è chiaro che ci deve essere una via e un metodo diversi e migliori.

E qui il discorso si allarga certamente all’Europa come mi scrive Lino Cardarelli che, fino a pochi giorni fa, osservava questa vicenda da un punto di vista privilegiatissimo, come quello di vicario segretario generale dell’Union Mediterranée: “Papa Francesco va in visita a Lampedusa. È un gesto politico e spirituale di straordinaria importanza, un ponte gettato tra le due sponde del Mediterraneo, mentre i paesi della riva sud, tuttora in preda a sconvolgimenti politici, non riescono a trovare stabilità e pace. L’Europa fortezza si è chiusa in se stessa, pensa solo ai suoi mali, non guarda oltre il suo ombelico. Rispondere con politiche migratorie illuminate che assicurino ai paesi della sponda sud flussi ordinati di manodopera e una mobilità studentesca accresciuta è una delle risposte che i paesi del sud del Mediterraneo attendono invano da anni. Non si è riusciti a realizzare quelle politiche ‘people to people’ che avrebbero aiutato quei paesi a progredire nel cammino delle riforme, evitando le tragedie del mare che accompagnano l’immigrazione clandestina. Ci voleva un Papa per ricordare all’Europa che il Mediterraneo é la sua frontiera, è una porta allo sviluppo di due sponde che si confrontano e che dalla stabilità, dallo sviluppo e integrazione delle persone di quell’area, che rappresenta un potenziale economico formidabile, dipende anche la nostra prosperità.“.

Forse siamo ancora in tempo a ricominciare verso una direzione più costruttiva, a non lasciare sola la generosa Lampedusa, ad assegnare al gesto di Papa Francesco non solo il suo alto contenuto morale e spirituale ma anche un contenuto politico per stimolare l’Europa e l’Italia a una politica non solo più umana ma più efficace. La convinzione che sia sufficiente essere disumani per essere efficienti si dimostra, una volta di più, una idiozia. Qualche leader europeo ha fatto riflessioni in questo senso e questo è un buon segno sul quale si può lavorare con un’opinione pubblica più attenta e responsabile.

Forse il punto più discutibile dell’omelia di Papa Francesco è proprio quando parla, come di un evento quasi invincibile, della globalizzazione dell’indifferenza. Quando pone la terribile domanda: “Chi ha pianto?” “Chi ha pianto oggi nel mondo?”, forse la risposta è: molti, ma non sanno come, dove, con chi piangere? Proprio in questi giorni sono stati resi noti i dati del Barometro Globale sulla Corruzione 2013. Sul tema cruciale della corruzione solo il, drammaticamente basso, 14% degli italiani ritiene che i governanti siano stati efficaci nel contrastare la corruzione negli ultimi due anni, ma ben il 77% degli italiani si dichiara disposto a partecipare attivamente alla lotta alla corruzione e il 56% è pronto a collaborare pagando un prezzo superiore per acquistare prodotti di società trasparenti e responsabili. Quindi la disponibilità a lottare contro i più gravi mali sociali esiste, ma trova difficile trovare le strade per esprimersi. Tutto si tiene. L’opacità della gestione di tante importanti imprese (come anche gli eventi di questa estate hanno una volta di più evidenziato), la corruzione e i traffici illeciti penetrati, attraverso lo IOR, nel Vaticano e scoperchiati dal papa di Lampedusa, l’incapacità di sviluppare politiche di sviluppo nel Mediterraneo e i 20.000 morti nel Mare nostrum, sono tutti fenomeni interconnessi e conseguenza del cattivo governo. Per muovere in direzione del buon governo abbiamo bisogno di un cambio di passo globale, di una nuova consapevolezza, di una rinnovata coscienza.

Che la preghiera di Lampedusa ci aiuti a questo difficilissimo compito.

 

Marco Vitale

 

 



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