17 luglio 2013

PIANO URBANO DELLA MOBILITÀ SOSTENIBILE. AL DI LÀ DEL NASO


Il Comune di Milano ha dato il via alla pianificazione sulla mobilità sostenibile a Milano, vera e propria base fondante dello sviluppo della mobilità a Milano. Il PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile) è uno strumento che ha valenza giuridica. Quanto in esso approvato (misure, indicazioni, direttrici e regole) sosterrà l’azione comunale in materia di limiti e restrizioni alla circolazione e sarà punto di forza del Comune per difendere la propria opera davanti agli organi giurisdizionali. Si pensi all’iter generatore di contenzioso di Area C, da poco conclusosi felicemente con il respingimento dei ricorsi presentati contro Area C, che ha avuto a oggetto anche una lamentata carenza di pianificazione. O di debolezza: la mancanza di indicazioni di azione in una certa direzione esporrà il Comune a difendersi per intraprendere vie oggi non correttamente pianificate.

E il TAR nelle sentenze su Area C (1) fornisce utili riferimenti di pianificazione della mobilità laddove, innanzitutto, ricorda un principio già affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui “la libera circolazione non si identifica con la libertà assoluta di circolare su tutte le strade con il mezzo privato, bensì va regolata al fine di raggiungere la migliore utilizzazione dei beni pubblici“. E, attenzione, in questo caso, il bene pubblico da utilizzare bene non è solo la strada, ma anche l’aria, bene primario per la nostra stessa vita, che viene indubbiamente degradato dal traffico.

Secondo il Tar poi la tariffa “si configura piuttosto come corrispettivo … di una utilizzazione particolare della strada, rimessa a una scelta dell’utente non priva di alternative“. Laddove il cittadino può muoversi altrimenti, perché il servizio pubblico gli consente di raggiungere l’area alla quale è diretto, la scelta è sua.

La suddivisione in zone, dice poi il TAR, introduce “più razionali modalità di disciplina, all’interno di una finalità di tutela ambientale e delle condizioni di salubrità, che rappresenta il proprium dell’esercizio del potere limitativo della circolazione“. Come dire che la mancata disciplina e limitazione della circolazione comporta l’abdicazione a un potere conferito alle amministrazioni dalla legge per difendere ambiente e salute.

E ha richiamato, infine, il “carattere sperimentale della misura stessa, che non esclude ma anzi persegue, fra gli altri, il dichiarato obiettivo di pervenire a misure strutturali di più ampia estensione, così come indicato nel cit. quesito referendario del 2011“. Area C è, dunque, misura sperimentale per sua natura destinata a essere estesa.

Già il Tar, dunque, indica chiaramente quattro cardini di programmazione della mobilità derivanti dalla legge: a) migliore uso dei beni pubblici (spazio e aria), b) legittimità della restrizione alla circolazione mediante tariffazione ove sia data una alternativa di mobilità, c) necessità della disciplina della mobilità in funzione della tutela di ambiente e salute, d) legittimità di Area C in quanto volta a una propria estensione strutturale.

Questi elementi sono solo in parte contenuti nelle linee di indirizzo del PUMS presentate dal Comune e visionabili sul sito insieme all’ottimo documento di scoping. Mancano oggi, per esempio, nelle linee di indirizzo sia l’allargamento di Area C, sia altri elementi importanti di programmazione, le misure temporanee per le situazioni di emergenza per gli accumuli di inquinanti e la tutela della salute. Tutela che – anche in via strutturale – non può attendere un decennio di programmazione di aree 30 e di riorganizzazione della sosta, ma deve necessariamente passare per una ulteriore restrizione della circolazione che estenda al più presto gli effetti di Area C.

Le modalità sono da definirsi ma il concetto è chiaro. Occorre ridurre la circolazione del traffico privato e commerciale in un area sempre più vasta. Chi ci amministra non può più fare finta di non sapere. Ciò che, ovviamente, ha risvolti in relazione alla responsabilità dell’inazione. I cittadini lo hanno chiesto e lo chiedono ancora. Non si illuda il Comune che la bandierina di Area C possa passare per un punto d’arrivo in tema di limitazione del traffico a Milano. L’area a traffico limitato è troppo ridotta e va estesa per far respirare chi ne vive fuori e sgravare le aree limitrofe di un ulteriore carico di inquinanti.

Gli ultimi dati scientifici indicano ormai in modo chiaro che ridurre l’esposizione di prossimità al traffico (entro i 100/150 mt) rappresenta già un’importante forma di protezione degli esseri umani dagli inquinanti ai quali oggi si riconducono molte patologie: asma, tumore al polmone, infarti, ischemie, ictus, edemi polmonari, sviluppo ridotto della funzione polmonare nei bambini, danni alla funzione cognitiva e nascite pre-termine, aterosclerosi. Come non agire? Come non guardare al di là del proprio naso e preoccuparsi invece di non perdere voti?

L’aria cambia nello spazio di decine di metri o poco più, e i monitoraggi sui livelli di black carbon contenuti nell’aria condotti da AMAT su questo, danno conto del fatto che i livelli di black carbon dentro e fuori Area C, non cambiano solo a livello di strada, ma anche ai piani (cfr. si veda il monitoraggio fatto al terzo piano dentro e fuori Area C). Uguali risultati sono emersi dal monitoraggio fatto da Genitori Antismog a giugno. E ancora, uno studio dell’Università di Milano condotto tempo addietro individuava, considerati i capoluoghi di provincia lombardi e a parità di livelli di inquinamento per PM10, un indice di mortalità da mal’aria a Milano, più che doppio rispetto a quello degli altri capoluoghi.

L’aria di Milano ha dunque qualcosa in più. Questo qualcosa è il traffico. Smettiamo di nasconderci dietro a un dito. Occorre al più presto ridurre l’esposizione di una fetta sempre più ampia della popolazione. Occorre che il PUMS fissi tappe di marce serrate e che tutti i soggetti coinvolti partano dalla conoscenza precisa dell’impatto dell’aria inquinata sulla salute. E del costo sociale che rappresenta che – considerate le morti, le malattie, i giorni di lavoro perso, il carico assistenziale – non è di poco conto.

Ha poi ragione Carlo Monguzzi nell’indicare che la chiave di queste politiche consiste nell’impegno del Comune di comunicare ai comuni limitrofi quanto qui si sta facendo. Senza un impegno serio in questo senso le dichiarazioni di intenti dell’assessorato competente sono parole al vento. Le politiche sull’aria, oggi e in futuro, vivranno e funzioneranno grazie alla comunicazione e alla condivisione. Chi gestisce la comunicazione del Comune?

Un ultimo monito. La partecipazione è una bella cosa, ma non si scarichi sulla partecipazione la necessità di acquisire dati o idee per agire. I dati e le idee ci sono già e le conclusioni, e le vie, sono già segnate.

Un ultimo dato: un rapporto presentato meno di un mese fa dall’Agenzia Europea per l’Ambiente evidenzia come Milano, paragonata ad altre dodici città Europee, abbia una vergognosa quota di aree verdi (11%) nel proprio territorio contro una media di ben oltre il 40% delle altre capitali, che solo nel caso di Parigi scende al di sotto (e comunque è del 28,6%). Se la mobilità è anche una questione di gestione dello spazio, questo dato indica una delle priorità assolute di Milano. La mobilità e la pianificazione territoriale devono far spazio al verde.

 

Anna Gerometta

 

 

(1) Per tutte Tar. Lombardia sent. 802/2013, si vendano anche Tar Lombardia 803/2013 e 804/2013



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