17 luglio 2013

PARCO AGRICOLO SUD: NÉ PAROLE NÉ IDEE, CHE PECCATO!


Il grande assente del convegno milanese dello scorso marzo di Fondazione Cariplo sulle “Metropoli agricole” – organizzato per pubblicizzare i progetti per il Parco Agricolo Sud finanziati negli ultimi anni dalla Fondazione e per confrontare la situazione milanese con altri contesti nazionali ed europei – è stato, paradossalmente, proprio lo stesso Parco Agricolo Sud Milano. Non perché un suo rappresentate non figurasse tra i relatori, bensì proprio perché il trascurabilissimo intervento del suo direttore – dello stesso tenore e spessore di una breve brochure divulgativa – ha reso palmare, nel confronto con le altre esperienze illustrate nel convegno, la totale mancanza di un vero progetto per questo prezioso territorio proprio da parte dell’ente specificamente preposto alla sua difesa e al suo governo.

Del resto la laconica e quasi reticente presentazione sull’operato e i programmi del Parco non poteva che essere tale, considerando che non è mai stato adottato nessuno dei piani attuativi richiesti dal PTC per la valorizzazione dell’agricoltura e del paesaggio, ossia i Piani di Cintura Urbana e il Piano di Fruizione, mentre i Piani di Gestione triennali sono fermi al 2003 e il fondamentale Piano di Settore Agricolo del 2007, partorito obsoleto (fa riferimento al Piano di Sviluppo Rurale regionale 2000-2006) e malamente attuato, non è mai stato oggetto dei dovuti aggiornamenti biennali.

Nel frattempo, nel decennio tra il 1999 e il 2009, i comuni del Parco Sud, in sintonia con il resto della provincia, hanno espanso complessivamente del 4% le aree urbanizzate, giungendo in alcuni casi a incrementi del 30 – 40% e superiori anche al 50%. Diversi comuni inoltre, come Trezzano sul Naviglio e Bubbiano, hanno ormai quasi completamente saturato gli ambiti esterni al Parco a disposizione dei PGT.

Inevitabilmente, e per fortuna, di fronte alla disfatta delle aziende e dei paesaggi agricoli e in reazione all’inconsistenza dell’ente provinciale, strategicamente privo di alcuna strategia (i conflitti e gli interessi presenti in quest’area sconsigliano di assumersi chiare e precise responsabilità politiche), negli ultimi anni ha incominciato a organizzarsi in modo spontaneo una complessa serie di soggetti che con modalità, princìpi e strumenti diversi perseguono generalmente i medesimi obiettivi di difesa ambientale, di freno alla cementificazione, di valorizzazione dell’agricoltura e del paesaggio rurale.

In particolare è chiaro a tutti questi che la salvezza del Parco – in ogni sua forma di espressione e godimento – non può che affidarsi al rafforzamento strutturale del potere e ruolo economico delle aziende agricole quale principale argine di difesa contro la rendita urbana, motore primo del degrado ambientale e del consumo di suolo connessi allo sprawl.

Il panorama che emerge, ricco di attori e progetti, è alquanto variegato: comprende reti di coltivatori e produttori agricoli (consorziati sulla base di affinità imprenditoriali, di categoria e identità territoriali), reti di comuni, reti di associazioni, di cittadini (organizzati in Gruppi di Acquisto Solidale più o meno folti) e cooperazioni tra vari di questi soggetti. Si tratta tuttavia in molti casi di esperienze che, pur condividendo un orizzonte d’azione comune, procedono isolatamente, ignorandosi reciprocamente o talora addirittura diffidando l’uno dell’altro: le organizzazioni spontanee diffidano di quelle istituzionalizzate; quelle che difendono il biologico diffidano di quelle che operano nell’ortodossia industriale; e viceversa.

Eppure, se propriamente ricomposti, questi singoli frammenti potrebbero essere probabilmente in grado, una volta amplificati e posti a sistema, di dare vita a un quadro unitario e abbastanza coerente di azioni e politiche integrate o complementari. Certe apparenti incompatibilità e alcune conflittualità latenti potrebbero essere superate concependo il Parco come una confederazione di distretti (territori relativamente autonomi e omogenei per profilo aziendale, vocazione produttiva o identità paesaggistica) gestiti da consorzi locali, estendendo all’intero territorio amministrato dall’ente un processo già avviato recentemente in diverse zone su impulso di associazioni locali o del governo regionale.

Assumendo la metropoli milanese come mercato e bacino di riferimento, il rinnovando ente Parco – che troverebbe collaudati modelli di riferimento nei Gruppi di Azioni Locale (GAL) comunitari e nei loro strumenti di programmazione – potrebbe trasformarsi da (debole) ente passivo di tutela ad Agenzia per la promozione, il tutoraggio e il coordinamento dei diversi progetti strategici locali integrati (produzione agricola e fruizione paesaggistica) e per la razionalizzazione e l’equilibrata distribuzione di costi, opportunità e risorse. La sostenibilità economica e ambientale della logistica, soprattutto, assume sotto questo aspetto un ruolo decisivo (la creazione di una infrastruttura a zero emissioni per il trasporto e la consegna delle derrate potrebbe costituire un’ottima alternativa per i 160 milioni di finanziamenti ministeriali destinati al nuovo canale navigabile tra Villoresi e Naviglio Grande).

All’interno di questo mosaico di progetti un’attenzione particolare dovrebbe essere rivolta prioritariamente a rafforzare e a rendere economicamente competitive quelle aree più a rischio dove la pressione immobiliare o insediativa è maggiore; magari anche impegnandosi a dare effettiva visibilità, e dunque una vera valenza commerciale, all’intelligente ma ignoto (per lo meno ai cittadini compratori) marchio di qualità aziendale istituito dal Parco.

L’appuntamento dell’Expo potrebbe costituire un’ottima cornice e scadenza per attuare questa sperimentazione, che vedrebbe il Parco milanese all’avanguardia in Europa. Vi sono però, in questa prospettiva, due grossi ostacoli: uno che proviene dall’alto – il suddetto immobilismo politico e burocratico dell’ente provinciale – e uno che fermenta dal basso – le gelosie dei diversi gruppi che probabilmente mal sopporterebbero di ridimensionare la loro autonomia e riconoscibilità faticosamente conquistate nel vuoto amministrativo di questi anni. Varrebbe però comunque la pena di tentare, anche perché sarebbe parimenti paradossale che, proprio in occasione dell’evento che intende mostrare al mondo come “nutrire il pianeta”, venisse dimenticato e lasciato appassire il fiore all’occhiello della metropoli che lo ospita.

 

Francesco Vescovi



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti