3 luglio 2013

LE VOCI COLLETTIVE, LA MEDIAZIONE E IL BENE COMUNE


A Milano è corpo a corpo tra amministrazione e cittadinanza, una relazione di amorosi sensi, attrazione e repulsione, anelito, incubo o nostalgia. La passione è indubbia o la presunta disillusione non sarebbe così cocente. L’oggetto del desiderio: la partecipazione. Ma non solo, c’è evidentemente dell’altro. La posta in gioco è più profonda e su più livelli.

mattace_25In questo numero di ArcipelagoMilano più voci ci interrogano sulle dinamiche di questa relazione, prendendo spunto dai Tavoli delle donne o dalla vicenda CityLife. Camilla Gaiaschi: “Fine della partecipazione dentro le stanze del Comune. Partecipazione critica che avrebbe portato le elette e le istituzioni a confrontarsi davvero con la cittadinanza, che avrebbe necessitato forme di riconoscimento da elaborare, sperimentare, su cui si sarebbe potuto scrivere per dare il buon esempio alle altre città – faticosa sì ma sul lungo termine potenzialmente ricca. Il tentativo di uno spazio “terzo” – a metà tra istituzioni e cittadinanza – è fallito.”

Floriana Lipparini: “Oggi dobbiamo andare oltre. Si tratta di dare corpo a un cambiamento profondo nel modo di governare la città, riconoscendo l’esistenza di una nuova soggettività civica che abbia diritto non solo di essere ascoltata ma anche di contare nel momento in cui si fanno le scelte. Cosa può essere una “soggettività civica”? Penso a cerchie di persone capaci di darsi autonomo riconoscimento e di coordinarsi per dialogare con il governo cittadino, persone ricche di saperi derivanti dall’appartenenza al territorio e dalla conoscenza diretta dei problemi, persone sinceramente interessate al bene comune e, nel nostro caso, intenzionate a portare in ogni ambito una trasversalità di genere … .”.

Sergio Brenna: “La sentenza del Consiglio di Stato del novembre 2010 ha definitivamente sancito l’impossibilità da parte dei cittadini delle aree circostanti di svolgere un ruolo di surroga nella difesa dell’interesse pubblico generale a fronte dell’inerzia del Comune, in quanto non legittimati a ciò”.

Diversi gradi di elaborazione e di presenza nella rapporto cittadini – bene comune – amministrazione, accomunati dalla difficoltà di avere un ruolo riconosciuto (e riconoscibile). Per ora la prassi (l’apparato rimbalza l’outsider) e le sentenze sanciscono che il discorso pubblico va svolto entro canoni precisi, la rappresentanza non si gioca fuori dall’ambito codificato della democrazia elettiva. Sindaco e consiglio comunale collettori e mediatori di interessi collettivi, interpreti demandati del bene comune. Il sindaco “è di tutti”: la composizione di questi interessi supera le parti, chi partecipa può prendere la parola ma non vuol dire che debba averne l’ultima.

C’è una altra strada per appropriarsi dello spazio pubblico, che reinterpreta il rapporto cittadini istituzioni attraverso il territorio, intreccia conoscenze e relazioni tra spazi storie e abitanti, se ne prende cura. Le esperienze ormai sono molteplici: il Museo 6 Lab sud ovest, l’Ecomuseo Urbano Nord Milano, le esperienze dei giardini condivisi (dal Comitato Ponti ai Giardini in Transito …), gli orti urbani, il “laboratorio Isola” animato da una sinergia di associazioni, le commissioni cultura dei Consigli di Zona 1 e 4 che investono sulle comunità di quartiere realizzando mappe di comunità.

È lo stesso processo che compone un racconto condiviso di storia e memoria per tessere relazioni di lungo periodo, come la “Sesto San Giovanni dei nonni” che chiede all’Unesco di riconoscere il Patrimonio di archeologia industriale dell’Umanità, in una staffetta tra generazioni che consegna ai nipoti una città ri-vivificata dal passato.

In tutte queste occasioni l’amministrazione rende possibile, accompagna, patrocina, da visibilità, finanzia anche con poco ma investe sul lungo periodo. È anche questo un modo per costruire qualità della vita, per far fruttare il bene comune. Non sottovalutiamolo.

 

Giulia Mattace Raso

 

 



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