18 maggio 2009

MOVIDA NELLA CITTÁ DI NESSUNO


Milano non è una città per bambini. Lo si vede tutti i giorni passando vicino ai pochi giardini loro dedicati – spesso sporchi – affollati all’incredibile appena il bel tempo spinge mamme e nonni a portarli a spasso. Per mandarli all’asilo pubblico bisogna lottare contro la burocrazia comunale con le sue graduatorie spesso assurde, asili che non tengono conto della necessità per il bilancio famigliare – ma anche per il PIL – che le donne lavorino. Le scuole elementari sono fatiscenti e senza materiale didattico o carta igienica e la situazione non migliora andando avanti negli studi. I luoghi di aggregazione giovanile sono inesistenti per non parlare dello sport.

Milano non è una città per adolescenti. Milano non è una città per anziani: dei giovani parliamone dopo. Gli anziani vedono arrivare la stagione calda con terrore; l’anziano più abita in periferia e più è solo in una città che non lo ama, non lo rispetta, non lo protegge. Milano, una città che invecchia, deve molta parte delle sue risorse economiche ai pensionati ma non lo vuol vedere né sapere. Milano non è una città per chi vuol metter su famiglia e questo lo sappiamo e si sprecano fiumi di parole inutilmente, né per chi vuol frequentare l’università.

Milano è una città dove il consumo di droga dilaga e diventa un fenomeno di massa che non lascia fuori nessuno strato sociale e nessuna età ma sembra preoccuparsi solo degli spacciatori soprattutto se di colore. Eppure Milano sopravvive ma per quanto ancora? Milano sembra degradare verso la terribile realtà di un grumo sociale di una grande area disordinatamente edificata che si chiama Lombardia.

Milano deve assolutamente ritrovare la capacità di sciogliere i suoi nodi, di risolvere i suoi problemi ma da sola non ce la farà mai. Il problema della “movida” è esemplare e siamo arrivati a parlare dei giovani. Si riuniscono, amano farlo a notte fonda, la scelta dei luoghi sembra essere dettata da un’abile gestione di Face book e di tam tam sms gestita da furbi patron di locali e il problema sta nel totale disprezzo delle regole del vivere civile: rumori assordanti e parcheggio selvaggio. E’ questo che non piace, che irrita. Io suggerirei ai cosiddetti “reggitori” una full immersion televisiva tra Grande Fratello, Amici Casting, Il tribunale di forum per non dimenticare nemmeno Anno zero o Ballarò (e, perché no, qualche seduta al Senato). Da una parte giovani che si azzannano strillando e dall’altra meno giovani che si accapigliano, vociano, cercano di soverchiarsi con toni di voce sempre più alti. Nessun rispetto, nessun limite. E noi dovremmo prendercela con i ragazzotti con la bottiglia di birra in mano? Ma chi li ha inventati questi show televisivi? Chi li propina nelle ore di massimo ascolto? Se poi i ragazzi escono e ne fanno di tutte pensiamo di avere la coscienza a posto? Il ministro Gelmini attraverso i suoi lucidi occhiali guarda mai le televisioni del suo patron? Dove pensa finisca il ruolo di ministro all’educazione?

Purtroppo ci sono poi questioni più profonde: il distacco e dunque l’incomunicabilità tra generazioni. Nel ’68, la prima volta in cui la protesta giovanile prese corpo prepotentemente, i giovani avevano i loro leader, loro coetanei, che davano espressione al disagio e rendevano comprensibile per il potere costituito con cui si confrontavano le ragioni del dissenso e le loro aspirazioni ideali. Fu un movimento di massa che coinvolse la maggior parte dei giovani. Oggi non è così: i giovani in maggioranza non hanno più leader se non qualche vecchio sessantottino senza seguito. Il potere, anche se volesse e non lo vuole, non saprebbe da dove cominciare a capirli e allora non gli resta che la repressione: nulla a che vedere con l’educazione. Nulla proprio poi a che vedere con l’educazione fatta dall’esempio.

Milano da sola non ce la fa, il pesce deve smettere di puzzare dalla testa.



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