12 giugno 2013

musica


 

I TRII DI MENDELSSOHN

Mendelssohn è il Mozart del nostro momento storico, il più brillante dei musicisti, quello che ha individuato più chiaramente le contraddizioni dell’epoca e il primo che le ha riconciliate tra di loro” sono le parole che Robert Schumann scriveva nel settembre del 1839 sul suo famoso giornale “Neue Zeitschrift für Musik,” dopo aver ascoltato in anteprima nella propria casa di Dresda il primo dei due Trii per pianoforte, violino e violoncello – scritto da Felix a Francoforte due mesi prima ed eseguito per la prima volta in pubblico nella Gewandhaus di Lipsia nel febbraio dell’anno successivo; ed aggiungeva “questo è il lavoro di un maestro, come lo furono a loro tempo quelli di Beethoven in si bemolle e in re, come lo era quello di Schubert in mi bemolle… Questo Trio è una eccellente composizione che tra qualche anno delizierà i nostri nipoti e pronipoti“.

A questo felicissimo genere musicale Felix Mendelssohn Bartholdy si dedicò purtroppo solo due volte, con il Trio in re minore op. 49 e il Trio in do minore op. 66, di sei anni dopo. Anche il secondo lavoro venne scritto a Francoforte nei mesi successivi all’abbandono dell’incarico di direttore della cappella di Federico di Prussia, che il compositore deteneva a Berlino dal 1841. Non per questo però ebbe più tempo a disposizione per comporre: Mendelssohn ricopriva già dal 1835 il ruolo di direttore del Gewandhaus di Lipsia, si prodigava nella direzione di diversi festival musicali, nelle tournée in Inghilterra, Svizzera, Francia e Italia (fu a Venezia, Firenze, Roma e Napoli), nell’attività didattica (nel 1843 fondava il Conservatorio di Lipsia), nella rielaborazione di opere del passato, una “operosità frenetica e instancabile destinata a consumare precocemente la sua fibra” (A. Quattrocchi). Mendelssohn morirà infatti due anni dopo, trentottenne, stroncato da una serie di infarti e da un ictus, lasciando ben cinque figli da crescere alla moglie Cécile.

L’altra sera al Conservatorio tre magnifiche musiciste hanno eseguito i due Trii per la gioia del pubblico ahimè scarsissimo ma entusiasta delle Serate Musicali; un concerto indimenticabile, una “chicca” che, come spesso capita a Milano, non portando la firma di una delle ormai vecchie e decrepite star, non ha richiamato la folla ma ha premiato i più attenti amanti della musica da camera. Diciamo “magnifiche” musiciste perché in loro tutto si presenta magnifico: da quei begli abiti lunghi rosso fuoco – che sembrano metterle in sintonia con la “festa” voluta pochi giorni prima da Franca Rame – alla perfetta sintonia con cui calcano dal 2005 i palcoscenici di mezzo mondo, dal nome del loro ensemble ESTRIO – che allude all’ES freudiano ma anche al MI bemolle della cultura musicale tedesca – al culto per la musica romantica e femminile (bellissimi i due bis di Fanny Mendelssohn, sorella di Felix, e di Clara Wieck Schumann moglie di Robert), tutto era armoniosamente composto per una serata speciale e commovente.

La sensazione dominante – certamente una suggestione – era che l’interpretazione di un trio tutto femminile fosse sostanzialmente diversa da quella di una compagine tutta maschile; non vi è la supponenza tipica del protagonismo virile, l’attitudine alla prevaricazione di uno strumento sull’altro, non vi è ombra di competizione fra loro. Soprattutto non c’è il pudore dei sentimenti che in Mendelssohn sono poco espliciti ma molto delicati, come dimostrano gli aggettivi che aggiunge all’indicazione dei tempi: gli Allegri sono “energico e con fuoco”, “assai appassionato”, “molto agitato”; gli Andanti sono “espressivo” o “con moto tranquillo”; lo Scherzo è “leggiero e vivace”.

La musica di Mendelssohn ha una caratteristica inconfondibile; è come il moto ondoso del mare che fluisce e rifluisce, si gonfia e si sgonfia nel continuo rincorrersi di un’onda dopo l’altra, che si riempie e si svuota, al più rinforzando o calmando appena, ma senza interrompersi mai. Questo scorrere della musica è stato riprodotto dalle tre artiste come il flusso sanguigno delle proprie vene, con una naturalezza e una spontaneità che davano l’impressione che la musica nascesse in quel momento, quasi improvvisata

ESTRIO nasce nel 2005 dall’affiatamento fra la violinista Laura Gorna, la violoncellista Cecilia Radic – milanesissima di origine croata – e la pianista Laura Manzini (ve le ricordate all’Infedele di Gad Lerner un anno e mezzo fa?) che Lorenzo Arruga ha descritto come “…musiciste tecnicamente ineccepibili ed artiste in grado di turbare e di rasserenare” con la loro “saldezza e fantasia, cultura e istinto nella bellezza del suono…“; questo concerto lo ha dimostrato in modo perfetto. Raramente abbiamo ascoltato una esecuzione così nitida e insieme appassionata di questi Trii; una interpretazione che nel Trio n. 1 in re minore, il più intimo e profondo dei due, raggiunge l’apice della dolcezza – nello schubertiano “Andante con moto tranquillo” – e della passione nell’incipit mirabilmente inciso dal violoncello di Cecilia Radic.

Successo grandissimo e meritatissimo, con l’aggiunta di ben due bis di autrici famose per essere state sorella e moglie di grandi musicisti ma neglette come compositrici; un destino allora inevitabile che ora, molto giustamente, ESTRIO cerca di ribaltare. Sarebbe bello che questo Trio ci proponesse presto un concerto totalmente al femminile, anche per quanto concerne gli autori, anzi le autrici. Coraggio.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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