5 giugno 2013

FOLLIA A MILANO: INTERROGHIAMOCI


La giornata di sabato 18 maggio è stata quella del lutto per Milano: in mattinata nella chiesa di San Martino a Niguarda vi è stato l’ultimo saluto ad Alessandro Carolè, quarant’anni, disoccupato con il sogno di diventare musicista. Nel pomeriggio, nella stessa chiesa, vi sono state le esequie di Ermanno Masini, il pensionato di 64 anni, molto impegnato nelle attività di volontariato e nella collaborazione con i propri vicini di casa e di condominio e, nella parrocchia della Pentecoste in via Graf, il funerale del giovane Daniele Carella, ventenne alla ricerca di una stabile occupazione che aiutava il padre nella consegna a domicilio dei giornali. Tutti quanti uniti nell’assurdo destino di essere uccisi a sprangate e picconate dal ghanese Mada Kabobo in oltre un’ora di ordinaria follia cittadina.

Una giornata dedicata al dolore e alla riflessione (il Comune ha proclamato il lutto cittadino) con l’unica eccezione di alcuni residenti di Quarto Oggiaro che, dopo i funerali di Carella, hanno inveito contro il sindaco Giuliano Pisapia. “Abbiate rispetto per la morte”, ha risposto loro il sindaco. Non erano né amici né parenti del ragazzo morto consegnando i giornali. Questi ultimi hanno cercato di zittirli e hanno partecipato alla cerimonia commossi e indossando una maglietta con la sua fotografia e la scritta ‘Mi dispiace, ma non mi hai ucciso’, hanno liberato dei palloncini colorati e alcuni hanno voluto stringere la mano al primo cittadino per chiedergli di non essere lasciati soli.

Tale drammatico fatto di cronaca che ha pochissimi esempi similari a Milano negli ultimi anni lascia ovviamente aperti moltissimi interrogativi. Cosa ha spinto il ragazzo ghanese ad agire con tale assurda e violenta follia? Come ha potuto il giovane agire indisturbato per oltre due ore? Perché nessuno si è accorto di questa persona che aggrediva? Perché nessuno ha chiesto aiuto?

Tante domande che ci poniamo tutti, addetti ai lavori e non, ciascuno con il proprio substrato culturale e sociale che alimenta le singole opinioni.

Alcuni politici, anche a livello nazionale, hanno, come di consueto, cavalcato l’onda dello sdegno per questi tragici fatti, non portando alcun contributo alla riflessione che eventi come quelli accaduti devono necessariamente provocare. E tale riflessione deve essere a tutto tondo e deve riguardare, a mio avviso, proprio l’equilibrio sociale delle piccole città e delle grandi metropoli, tra cui Milano, a oggi molto compromesso da conflitti evidenti e sotterranei e da fatiche di vivere.

Beninteso, una premessa è necessaria: il ragazzo ghanese, reo confesso e arrestato in flagranza di reato, è soggetto ad altissima pericolosità sociale che ha agito con inusitata violenza e la Giustizia, oggi e anche domani, non potrà non tenerne conto nella quantificazione della pena. Ma non mi pare questo il punto.

Da questi eventi, non possiamo non trarre qualche conclusione anche sul drammatico stato di “alienazione sociale” (è termine sociologico e psicologico sinora, forse, troppo poco studiato!) in cui vivono le nostre città troppi migranti senza una famiglia o relazioni amicali, senza un lavoro e senza alcun ruolo nella comunità. Ciò inevitabilmente comporta uno svilimento, in queste persone, del valore intrinseco ed estrinseco della vita umana, con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi.

Non è quindi mai troppa l’attenzione che si deve rivolgere ai migranti, sia come comunità sia come singoli e sono sempre da sostenere e da implementare le attività di assistenza sia degli Enti pubblici sia degli Enti assistenziali privati. Accoglienza non vuol dire perdono buonista, ma disponibilità delle istituzioni nei confronti dei cittadini stranieri che intendono radicare parte della loro vita in Italia.

Una seconda riflessione si impone con riguardo al senso di comunità sociale che abbiamo noi cittadini. Ora, come mai le prime vittime della folle violenza di Kabobo non hanno pensato di avvertire le Forze dell’Ordine? È comprensibile lo sgomento del momento, ma, superato il primo trauma, questa iniziativa avrebbe – forse, ovviamente – potuto fermare la violenza dell’assassino.

Anche su questo spunto, interroghiamoci: spesso il superamento di piccole o grandi difficoltà quotidiane ci fa agire in modo egoista senza neppure rendercene conto, non considerando le esigenze degli altri e gli interessi della collettività. Come non conosciamo chi abita sopra o sotto di noi nel condominio, così ci sembra normale, scampato per un soffio il pericolo derivante da un episodio di violenza un mattino di maggio, tornare più o meno tranquilli alle nostre abitazioni non avvertire nessuno: sono due facce della medesima medaglia dell’indifferenza verso chi ci abita vicino.

Solo riflettendo in tal senso – e non urlando alla cieca contro l’assassino – si potrà evitare che, in futuro, non si verifichino più fatti del genere che hanno stroncato tre vite umane, colpito altre due, ma anche drammaticamente ferito un’intera città.

 

Ilaria Li Vigni

 



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