29 maggio 2013

CONSIGLIO COMUNALE: UNA TEMPESTA PERFETTA?


Una tempesta perfetta? Fortunatamente no. Nell’omonimo film George Clooney e tutti i pescatori muoiono, mentre invece la realtà del Consiglio comunale è più benevola. Tempesta im-perfetta dunque ma da non sottovalutare. Franco D’Alfonso ha sollevato due questioni rilevanti: il ruolo dei consiglieri e quello della burocrazia comunale.

Forse il momento non era dei più opportuni per manifestare le proprie perplessità perché l’opposizione e i sepolcri imbiancati stanno sempre in agguato e la prudenza non è mai troppa. Io stesso, poi, non sono del tutto d’accordo con D’Alfonso: secondo me i consiglieri andavano visti più come vittime che come colpevoli.

Un po’ di storia. Prima del 1993, prima della legge che ha sancito l’elezione diretta del sindaco, le cose andavano pressappoco così: gli elettori forti di quattro preferenze eleggevano i consiglieri comunali, i consiglieri eleggevano il sindaco, il sindaco, dopo una trattativa con le segreterie dei partiti che andavano a costituire la maggioranza, proponeva al Consiglio la nomina degli assessori.

La scelta del sindaco – ossia da quale dei partiti della maggioranza dovesse provenire – era oggetto di trattative romane. Assessori e sindaco ovviamente erano scelti tra gli eletti in Consiglio. Il sistema “garantiva” due cose: da un lato la fragilità delle giunte e una pesante interferenza delle segreterie nazionali sulle vicende locali, secondo logiche che poco avevano a che vedere con gli interessi reali della collettività locale, e dall’altra però uno stretto legame tra sindaco, Giunta e consiglieri, tutti comunque forti – o deboli – per i consensi raccolti alle elezioni. All’interno della compagine le responsabilità politiche erano molto collettive e i poteri distribuiti. Va sottolineato a questo punto che allora gli assessori avevano responsabilità sia politiche sia amministrative.

Dal 1993 e con l’entrata in vigore delle varie riforme Bassanini il panorama è del tutto cambiato: elezione diretta del sindaco, nomina da parte di quest’ultimo degli assessori che possono essere anche estranei al Consiglio. A questo bisogna aggiungere la forte limitazione dei poteri del Consiglio – praticamente limitati a materia urbanistica e bilancio – e l’intervenuta separazione tra le responsabilità politiche e quelle amministrative: le prime – indirizzo e controllo – assegnate a sindaco, assessori e consiglieri e quelle amministrative alla dirigenza della burocrazia comunale.

Quest’architettura ovviamente ha i suoi difetti: è senza dubbio un’architettura istituzionale stabile ma allenta moltissimo i legami tra Consiglio e Giunta e relega molto al margine i consiglieri e le commissioni consiliari. I miei due scenari sono tagliati con l’accetta ma credo di non sbagliare dicendo che, come sempre in Italia, siamo passati da un opposto all’altro. Aggiungiamo che Bassanini mai avrebbe immaginato il dissolvimento dei partiti e la nascita del consigliere comunale “fai da te”. È pur vero che la politica va sulle gambe degli uomini e dunque rapporti che istituzionalmente non ci sono si possono creare ma io sono tra quelli che all’architettura istituzionale assegnano un ruolo anche d’indirizzo. Dunque preferirei vedere i consiglieri più come vittime che come colpevoli.

Veniamo al problema della macchina burocratica. Le attuali norme con la separazione dei ruoli prevedono che la maggior parte delle attività dell’amministrazione siano svolte con lo strumento della “determina dirigenziale”: in poche parole il ruolo esecutivo è affidato alla burocrazia che se ne assume la responsabilità giuridica. I dirigenti possono, se vogliono, essere i veri arbitri dell’attività comunale. Questo è un vero problema politico. Ne riparleremo ancora perché D’Alfonso ci dice che questa è una macchina sgangherata. Pensare però che Giunta, sindaco e consiglieri vadano contro la burocrazia è come pensare che lo Stato maggiore spari sulle sue truppe.

Ultima nota. Franco D’Alfonso nel suo articolo rispondeva a Marco Vitale che accusava sindaco e Giunta di non avere una visione della città. Giuliano Pisapia risponde a Vitale e a chi la pensa come lui dalle colonne del Corriere della Sera con una nota di suo pugno. La nota è un elenco, sacrosanto, di cose fatte. Le cose fatte non sono però legate tra di loro da un filo conduttore: quel legame, se ci fosse, potrebbe essere la visione al passato ma quella al futuro?

Luca Beltrami Gadola



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