12 marzo 2013

MACROREGIONE: ULTIMO SOGNO NEL CASSETTO


Non si può certo rimproverare alla pregiata ditta PDS-DS-PD & Associati di non averle provate tutte. Dai politici puri (Martinazzoli 2000, Penati 2100) alternati a candidati “civici” prestati dall’imprenditoria e dalle professioni (Masi 1995, Sarfatti 2005, Ambrosoli 2013). La Lombardia resta tabù per il centro sinistra e rimane sicuro appannaggio del centro destra nonostante gli scandali e la débacle di Formigoni e della stessa Lega che hanno, per la prima volta, subìto la conclusione anticipata della legislatura. Che si tratti di una “naturale” impermeabilità della società lombarda alle ragioni di moralità e solidarietà, manifestate per altro con toni assai moderati anche dall’ultimo candidato? O di un destino “cinico e baro” che, contro le stesse leggi della probabilità, impedisce ancora una normale alternanza dopo una serie binaria costantemente sfavorevole?

Escludendo tuttavia le motivazioni fisico-antropologiche e la malasorte, si può cercare qualche spiegazione che aiuti a non prolungare all’infinito la serie negativa in questa regione, destinata per altro a proiettare ombre oscure sulle stesse prospettive nazionali? Provo allora a prospettare un’ipotesi (non certo con la “saggezza del poi” avendo trattato lo stesso argomento in almeno trenta interventi su questa stessa rivista): l’enorme sproporzione dispiegata riguardo la “questione istituzionale” da parte della Lega rispetto a tutti gli altri partiti, liste e candidati, compresi i neofiti grillini, che non a caso sfondano molto meno in Lombardia.

Solo la Lega infatti è riuscita nell’ultimo ventennio a coniugare attorno a un’idea di fondo, pur inaccettabile e impraticabile, fantasiose invenzioni di rottura o comunque modifica istituzionale. Nell’ordine: secessione, devolution, federalismo, macro-regione. Ovvero ha offerto i cassetti nei quali i lombardi potessero riporre sogni e bisogni, veri o presunti. Ovviamente, riempito senza esito il primo cassetto, il gioco è stato di riaprirne un secondo, poi un terzo e un quarto, monopolizzando ogni volta l’attenzione e l’illusione. Un gioco perverso, reso però possibile dal vuoto totale inespresso in materia da tutte le altre forze politiche, impegnate a sgolarsi nelle promesse di merito (lavoro, ambiente, salute, giovani, donne, ecc.) senza minimamente preoccuparsi dei mezzi istituzionali e amministrativi necessari ad affrontarli. E neppure dei contenitori nei quali riporli!

Il culmine dell’egemonia leghista si è manifestato con la separazione monzasco-brianzola (in realtà nord-milanese) ottenuta trascinando pressoché tutto l’arco dei partiti e dei leader che contemporaneamente predicavano vanamente l’abolizione tout-court della Province! (Tra parentesi: predicazione alquanto improvvida che – dopo il fallimento del moderato “accorpamento” montiano – ora favorisce solo i 5 Stelle, gli unici a non aver “capre da salvare” nei recinti di questi obsoleti e quasi-inutili enti). Ma ripeto: tale avventura – unica secessione riuscita e tuttora in essere – è potuta avvenire nel vuoto pneumatico di elaborazione e di proposta offerto dal centro-sinistra e dalle istituzioni da esso governate. Nessun segnale infatti dalla Provincia (2004-2009: giunta Penati e assessore Gasparini, persi dietro il fantasma di un’ineffabile “governance”) né dall’attuale Comune di Milano (sindaco Pisapia e assessore Benelli) ancora all’anno zero sulla questione della Città Metropolitana (vedi programma del prossimo seminario del 22 marzo, fermo ancora all’apprendimento di ormai attempate “esperienze europee”!).

Su questo ultimo fondamentale problema infatti le ultime proposte di legge rintracciabili risalgono al d.d.l Besostri del 2001 e ai due simili firmati rispettivamente dai senatori Pizzinato e Del Pennino nel 2002, fin dall’inizio ignorati quando non apertamente osteggiati. Si era all’indomani della modifica del Titolo Quinto della Costituzione, allorché la sua parte perversa (un’ambigua e contraddittoria attribuzione di funzioni tra lo Stato e le Regioni) venne immediatamente e completamente applicata, mentre la “parte buona” (ovvero il ridisegno dell’assetto sub-regionale) è rimasta lettera morta. Al contrario si è proceduto stoltamente al sopracitato aborto, con l’effetto di spezzare in due l’area metropolitana! E tra un anno scadono i mandati delle Province, vittime di un’improbabile “abolizione”, a costituzione invariata, riaffiorata negli otto punti bersaniani. Sarà un altra occasione persa?

 

Valentino Ballabio

 



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