19 febbraio 2013

musica


CASA VERDI E CANZONI NAPOLETANE

Se non siete mai entrati in Casa Verdi a Milano – e specialmente se avete visto il recente film “Quartet” di Dustin Hoffman che si dice ispirato proprio alla “Casa di riposo per musicisti” di piazza Buonarroti – non perdete tempo e andate a visitarla (www.casaverdi.org); è un pezzo della storia della musica che non si può ignorare. Verdi ha scritto a un amico che “delle mie opere, quella che mi piace di più è la casa che ho fatto costruire a Milano per accogliervi artisti di canto non favoriti dalla fortuna, o che non possedettero da giovani la virtù del risparmio. Poveri e cari compagni della mia vita!“; ed è stata anche l’ultima delle sue opere, istituita due anni prima della morte, un’opera riuscita molto bene. I suoi ospiti vivono un’intensa vita di relazione, animata da eventi e da spettacoli musicali, esattamente come accade nel film che da loro ha preso le mosse.

Domenica scorsa vi abbiamo sentito un magnifico concerto del contralto Daniela del Monaco accompagnata dal chitarrista Antonio Grande, entrambi napoletani ed entrambi docenti – lei a Napoli, lui a Salerno – musicisti di razza e completi, con vasti interessi che vanno dal barocco al contemporaneo. Oltre alla loro usuale attività artistica e professionale, hanno creato questo duo chiamato emblematicamente “minimoEnsemble” che dal 1996 persegue lo scopo – non da poco – di restituire dignità alla canzone napoletana.

Una grande lezione di musica colta in un mondo – quello della canzone napoletana – da sempre universalmente amato ma del quale si sono avute troppo spesso rappresentazioni superficiali e volgari; anche le meravigliose e tonanti voci tenorili di Caruso e di Gigli – così come, all’opposto, la voce sommessa, intima, accattivante di Roberto Murolo – ne hanno tradito i valori, facendone gradevolissime ma distorcenti parodie che non hanno colto il loro più profondo significato, quell’intreccio struggente di sentimenti contraddittori che poesia e musica insieme hanno saputo fondere lungo tante generazioni.

Dice la Del Monaco che la canzone napoletana è un “genere colto di origine popolare”, ma è anche qualche cosa di più se si pensa che essa ha coinvolto musicisti come Giovanni Battista Pergolesi e Domenico Cimarosa, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti, poeti come Salvatore Di Giacomo e Gabriele d’Annunzio o come Ferdinando Russo e Libero Bovio. L’origine popolare è nelle cose, la conosciamo da sempre, ma a fare la differenza sono le componenti culturali, quelle su cui si sono concentrati ed hanno fatto emergere i due musicisti: da una parte la drammaticità e il dolore con cui Daniela del Monaco ha cantato “Core ‘ngrato”, rinnovandone completamente il contenuto poetico, la magia e l’incredibile fantasia del racconto del “Guarracino”, dall’altra la straordinaria ciaccona costruita da Antonio Grande sul tema di “Torna a Surriento”. Per non dire della essenzialità e della semplicità di cantare e suonare senza indulgere alla volgarità dell’amplificazione, lasciando vibrare naturalmente la voce calda, piena, inquietante del contralto – che ricorda quella conturbante del controtenore – e il suono delicato e sussurrato dello strumento classico, toccato senza plettro … un vero incanto.

Molto raffinato il programma, rigorosamente cronologico, partito con la voce sola fuori campo di lei nella prima canzone napoletana della storia, “Jesce sole” (…jesce sole, jesce sole

addo’ nun se magna, miette mmiezz’ ‘o pane ‘na carezza cumpagna …), del tredicesimo secolo, per concludere con la divertente burla di “Bellavista” (… veníteme a truvá, stó’ a Bellavista… tengo na bella casa bene esposta: ddoje logge, tre balcune, tre feneste, na tavula ‘e mangiá pe’ vinte …) del 1939. Ed hanno fatto bene a fermarsi a quella data, alla vigilia della guerra che ha segnato l’inizio dell’imbarbarimento della città, verso quel degrado che oggi – checché ne dica il suo vanesio sindaco – è purtroppo sotto gli occhi di tutti e soprattutto degli ingiustamente mortificati napoletani.

Sorprendente e bizzarro è stato ascoltare quella musica in quella casa; il folclore napoletano in una delle più colte istituzioni milanesi, canzoni popolari e vernacolari nel tempio della musica lirica in cui è sepolto il suo sommo sacerdote. Se tutto ciò si è svolto in perfetta armonia, con un pubblico entusiasta di musicisti che sicuramente, considerata anche l’età media, si trova più orientato al classico che al leggero, vuol dire che la canzone napoletana veramente non è, come molti credono, folclore. E così il successo ottenuto dai due artisti napoletani, e la palpabile emozione e partecipazione di quel pubblico, hanno dimostrato che il livello della loro ricerca e la qualità della loro esecuzione sono stati assolutamente straordinari. Speriamo che ritornino e che vengano presentati anche a un pubblico più vasto ed eterogeneo.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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