23 gennaio 2013

CASA. IMU. SIAMO ALL’ULTIMO ERRORE?


Quando si dice “la ciliegina sulla torta”. L’IMU in ordine di tempo è l’errore più recente, non l’ultimo temo, a proposito della politica sulla casa. Ho paura che la complessità del problema o gli errori del passato lascino poche speranze per il futuro. Chi scriverà la sua storia, qui ci limitiamo solo ad alcune note, non potrà non concludere che si sono commessi due ordini di errori: ingiustizia fiscale e cattiva allocazione di risorse pubbliche.

Da sempre i governi italiani, ma soprattutto dal Fascismo in poi, hanno cercato di radicare nella cultura delle persone il concetto che il possesso – e non l’uso – della casa fosse il primo obbiettivo che ogni cittadino, ogni famiglia dovesse perseguire. Anche i Padri Costituenti indirettamente intervennero sulla questione con l’articolo 47 della Costituzione prevedendo che la Repubblica debba favorire il diritto alla proprietà dell’abitazione, con misure che possano aiutare le persone più bisognose ad avere un alloggio in proprietà e, quindi, rendendo concreto questo diritto. La previsione costituzionale si sposò perfettamente alla cultura italiana e l’alternativa della casa come bene d’uso non ebbe alcun successo.

A sancirne la morte definitiva fu la legge n° 392 del 1978 (Equo canone), che con l’intento di proteggere gli inquilini dall’esosità dei padroni di casa ottenne come primo risultato la scomparsa del mercato degli alloggi in affitto e il contestuale aumento dei prezzi delle case in acquisto. La prima ingiustizia: chi era in equo canone stava in un ventre di vacca chi era fuori si doveva adeguare. Da allora una sottile ingiustizia fiscale. Se, com’è giusto, si deve tassare il reddito delle persone tenendo conto in deduzione del soddisfacimento dei bisogni elementari quali il vitto e l’alloggio, per la componente alloggio a parità di reddito chi era in equo canone se la cavava assai meglio. Chi pagava un affitto vedeva il suo reddito spendibile assai falcidiato dal costo della pigione.

Questa ingiustizia si è perpetuata in tutti i provvedimenti di legge a favore della casa, garantendo l’accesso in proprietà con infinite forme di agevolazione e con i relativi oneri a carico della collettività tutta. Giusto sarebbe stato, salvo un piccolo dettaglio: l’accesso a questo tipo di edilizia era legato alle condizioni economiche dell’acquirente al momento dell’acquisto e tale vantaggio sarebbe stato permanente anche quando, come succedeva dopo pochissimo tempo dall’acquisto, il reddito sarebbe aumentato anche in maniera vistosa. L’altra ingiustizia è legata alla vendita del patrimonio pubblico di edilizia residenziale. I prezzi di alienazione fissati per legge nei confronti di chi occupava l’alloggio erano larghissimamente al di sotto dei valori di mercato, con la paradossale situazione che spesso l’occupante, proprio perché aveva goduto di un canone di favore fin tanto che era locatario, aveva potuto accumulare i risparmi necessari all’acquisto. Di queste situazioni di favore hanno goduto moltissimi ma non certo tutti quelli che ne avrebbero avuto diritto.

Se esaminassimo con cura tutti i provvedimenti di legge riguardanti la casa, vedremmo che questa sorta d’ingiustizia di fondo serpeggia ovunque. Veniamo all’ultima: l’IMU. Ecco che in questa messa cantata che è la campagna elettorale sono tutti arrivati al Confiteor e la riforma o l’abolizione dell’IMU è il cavallo di battaglia prediletto. È una tassa. Tra Padoa Schioppa che disse che le tasse erano bellissime – ma spiegò male il suo pensiero – e Berlusconi che di fronte ai Cadetti della Guardia di Finanza affermò che quando le tasse superano una certa soglia è un “diritto” evaderle, sappiamo chi vinse la partita. Ma con l’IMU si son fatte ingiustizie e follie al punto che con il sopraggiungere di questa imposta le Aziende Regionali di Edilizi Residenziale si svenano per pagare tutte le imposte arrivando a Milano all’assurdo che ALER su 17.000 alloggi (la fascia protetta ossia un terzo del suo patrimonio) incassa un canone medio di € 669 annuale e dà allo stato 595 euro, che se togliamo la quota di morosità in pratica siamo sotto zero. Anche gli alloggi a canone sociale non sono messi molto meglio: più fortunati danno allo Stato un terzo dei ricavi di pigione, teorico perché andrebbe anche qui dedotta la morosità.

Cosa ci dobbiamo aspettare ancora? Ho l’impressione che non sia solo una questione di destra o sinistra, che come sappiamo esistono ancora ma di scarsa conoscenza della realtà, di nessuna capacità di prevedere e di non saper resistere dall’usare i soldi dello Stato per favorire ora un segmento della società ora l’altro. Purché amici. La lottizzazione dei beni comuni.

 

Luca Beltrami Gadola



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