23 gennaio 2013

ELEZIONI REGIONALI: SANGUE E ARENA


Come in tutte le elezioni regionali e non, il primo esercizio del centro sinistra sono le recriminazioni preventive. Il candidato non ha appeal, la campagna è partita tardi, il programma è ipertrofico, le liste sono brutte con pochi candidati di spicco, i manifesti sono inguardabili, manca il coordinamento, i soldi sono pochi (dimenticandosi che i rimborsi elettorali regionali sono ricchissimi), Pisapia ha deluso, etc.

Il secondo esercizio è compulsare nervosamente i sondaggi infischiandosene del fatto che con un margine di errore del 3% su 1000 interviste (superiore cioè alla consistenza della più parte dei partiti in lista), un numero di indecisi pari a un quarto degli elettori, una tradizione meneghina (rileggetevi i sondaggi su Pisapia) non brillantissima, gli stessi non valgono di più delle previsioni dei bookmaker di “febbre da cavallo”.

Terzo esercizio, il principale, resta comunque il ragionare di elezioni come se fossimo ancora negli anni ’80 anni un tempo additati al pubblico disprezzo oggi considerati quasi un esempio con il sistema elettorale proporzionale e i vecchi partiti ideologici, rimuovendo che si tratta di elezioni presidenziali.

La sindrome maniaco / depressiva / compulsivo / ossessiva del centro sinistra non tiene conto di alcuni semplici fatti:

1) la legge elettorale regionale e anche quella nazionale prevedono che le elezioni si vincano con un solo voto in più degli avversari e che si possa governare con una maggioranza di eletti anche se si rappresenta poco più di un terzo degli elettori, ergo inutile rincorrere strategie di ricerca del consenso perfette occorre concentrarsi sul pochi maledetti ma subito

2) alle regionali del 2010 votò il 64,63% degli elettori, alle politiche del 2008 l’84%, la contemporaneità del voto riporterà al seggio elettori “regionalmente assenteisti”, ergo la campagna elettorale si gioca su un elettorato che ha privilegiato il dato politico su quello amministrativo, che ha scarso interesse per le vicende regionali che è tutto sommato abbastanza soddisfatto della gestione degli anni passati.

3) la visibilità dei candidati e dei temi regionali non sarà centrale nella campagna elettorale oscurata dalla competizione nazionale ergo sarà una campagna elettorale difficile che dovrà battere non solo il centro destra ma anche la disattenzione, occorrerà alzare la voce più che lavorare di cesello.

Il centro sinistra parte con un handicap teorico di circa 20 punti percentuali al lordo del declino di immagine del PDL, della Lega nord e del formigonismo. Il compito è difficile ma enormemente facilitato dalla discesa in campo di Albertini. Nonostante infatti l’uomo venga presentato come un icona dell’indipendentismo amministrativo e Cacciari lo volesse candidato al posto di Pisapia, Albertini, resta per l’elettore (che ha una memoria molto più lineare di quella del politico) un uomo del centro destra e a esso sottrarrà voti, un numero di voti certamente superiore a quelli che ottenne Pezzotta due anni fa. Non che ci volesse uno scienziato per intuire questo semplice fatto, tant’è che Monti lo ripete urbi et orbi.

La seconda facilitazione è che ingroiani, di pietristi, comunisti moderati (ebbene si esistono anche loro), socialisti berlusconiani pentiti, arancioni vari, che alle politiche hanno altre opzioni alle regionali si ritrovano dietro Ambrosoli, peccato aver perso per strada con scelta masochistica i Radicali per ridicole questioni di nomi.

Ringraziando Albertini / Di Stefano per l’aiuto, il problema centrale del centro sinistra è recuperare quanti più voti possibile nell’area degli indecisi e contrastare il più possibile il rischio Grillo, il principale ostacolo sulla strada della vittoria.

Qui entra in gioco la scelta degli assets principale della campagna elettorale. Vale la pena ricordare che in Lombardia si registra il più alto differenziale tra i voti al presidente e i voti alle liste, l’ultima volta furono più di mezzo milione. Meno rilevante il peso del voto disgiunto. Ergo la figura del candidato è centrale per convincere indecisi e dubbiosi. Liste e listarelle così come i candidati, assatanati di preferenze, contano poco o nulla se il candidato è moscio.

Su questo terreno Ambrosoli è solo. I partiti lombardi sono strutturalmente deboli e subordinati a Roma e alle elezioni nazionali quindi poco utili quando si parla di vision anche se indispensabili quando si parla di organizzazione. Le primarie inoltre hanno evidenziato con le candidature Kustermann / Di Stefano che il moderatismo di Ambrosoli incontra una certa freddezza nel popolo della sinistra, freddezza nient’affatto ridotta dalla presentazione di una lista civica dalla gestione quanto meno difficile.

L’uomo Ambrosoli diventa dunque determinante. Sull’immagine del candidato si vince o si perde. Per ora è partito bene: misurato, composto, capace di respingere l’illusione di clonare la campagna milanocentrica di Pisapia che partiva con un handicap enormemente più favorevole, attento alla società civile ma non solo a quella della Zona 1.

C’è tuttavia un però: non scalda, troppo freddo e asettico. Ha un po’ troppo l’aria del primo della classe in quarta ginnasio. Purtroppo le scelte dell’elettorato sono solo in parte motivate dalla ragione, per molti vale l’aforisma anarchico: “La competizione elettorale è la continuazione del tifo sportivo con altri mezzi … ” ergo bisogna “rinsanguare” il candidato, la politica è anche “sangue e merda” diceva un ex ministro delle finanze.

La folla degli spin doctor, dei comunicatori, dei semiologi, degli intellettuali organici, dei maîtres à penser, dei sondaggisti, degli addetti stampa, degli attacchini, degli opinion leader, dei blogger di cui abbonda il centro sinistra lombardo per favore glielo ricordi, manca un mese al voto.

 

Walter Marossi

 



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