9 gennaio 2013

IL COMUNE E LA COMUNICAZIONE


Ho esitato ad accettare l’invito di ArcipelagoMilano a scrivere un pezzo sull’efficacia della comunicazione del Comune perché troppo spesso i professionisti della comunicazione si dilettano a criticare colleghi e operatori pubblici e privati. Mi ha convinto ad accettare la specificazione della richiesta: di un contributo costruttivo e di metodo.

Partirò dai commenti raccolti in questi mesi sulla comunicazione del Comune: mi hanno fatto pensare al consolidamento di un’aspettativa francamente eccessiva sulla possibilità di comunicazione e relazione dell’amministrazione, maturata sulle ali dell’entusiasmo per l’arrivo del sindaco a Palazzo Marino. Perché da “utente” della città trovo che le iniziative più importanti siano state gestite con operazioni d’informazione molto brillanti. Nel caso di Area C, per esempio, non soltanto i mezzi di informazione ne hanno ampiamente coperto l’introduzione – e non poteva essere altrimenti dato l’interesse generale dell’innovazione – ma soprattutto il Comune ha compiuto lo sforzo di raggiungere i cittadini con modalità anche inconsuete nella comunicazione pubblica, come la distribuzione di volantini allo stadio durante le partite di calcio.

Penso infatti che colori forme e slogan dei materiali divulgativi siano importanti, ma che la creatività vada spesa soprattutto nell’impegno di raggiungere il destinatario con una modalità tale da fargli prestare attenzione all’informazione. Su questo piano, una delle iniziative che trovo più interessanti sul piano del metodo è stata l’estensione delle funzioni delle colonnine per il pagamento del parcheggio al pagamento del ticket – una componente essenziale e poco piacevole del servizio – perché si tratta di uno strumento con il quale l’automobilista aveva già dimestichezza (una funzione nuova in uno strumento noto riduce il disagio dell’innovazione).

Procedendo in questo modo si può essere tentati di concludere che i cittadini dicano di non essere stati informati perché sono chiusi al cambiamento. Non sarebbe un errore. In effetti la comunicazione è un’attività che richiede reciprocità e circolarità, un ruolo attivo di tutti i soggetti coinvolti. Ma il fatto che i cittadini consapevoli di dover andare a cercarsi le informazioni per meglio adattarsi al cambiamento siano una minoranza è appunto il problema da risolvere.

Facciamo il caso della più recente innovazione di servizio introdotta dal Comune, la raccolta differenziata degli scarti di cucina. L’AMSA ha compiuto uno sforzo encomiabile, mettendo a disposizione degli utenti una gran mole di informazioni sul proprio sito (in otto lingue, oltre all’italiano), una app ben fatta, materiale informativo e – importantissima – una stazione mobile. Ma tra Internet e materiali cartacei il rischio è che l’informazione non sia disponibile quando serve: una scheda con gli orari e i giorni di raccolta (così come l’elenco di materia che può finire nel contenitore) dovrebbe essere “incorporata” nel contenitore (diversamente pieghevoli e altra documentazione verranno appesi con un magnete al frigo, attaccati a una lavagnetta, dimenticati in fondo a un cassetto o persi, e quando qualche membro della famiglia poco avvezzo al riciclo si chiederà quando “esporre” il sacchetto non troverà la risposta, restandone frustrato).

Pur cercando di non incorrere nella critica sterile al lavoro di altri (svolto in condizioni che non conosco ma delle quali un giudizio corretto dovrebbe sempre tenere conto), due commenti generali sul materiale informativo sono obbligatori: il pieghevole distribuito con il contenitore vuole fare educazione sul tema del riciclo e al tempo stesso istruire su un comportamento nuovo, con il risultato di violare la semplice regola sintetizzata nella formula KISS ‘n KILL: keep it short and simple – keep it large and legible (“tieni un testo breve e semplice ma grande e facilmente leggibile”). E infine viene utilizzato un lessico estratto dal gergo degli specialisti come “frazione umida” più di quanto sia usato il semplice “scarti di cucina”, certo meno preciso ma immediatamente comprensibile a tutti. Il processo di affermazione e diffusione di un linguaggio specifico è troppo oneroso e lungo e rende meno efficace lo sforzo informativo (si dice che durante l’epidemia di colera a Napoli nel 1976 qualcuno morì perché i mass media invitavano a “non ingerire mitili” anziché dire “non mangiate le cozze”).

Ma al di là dei dettagli relativi a una singola operazione, l’indicazione più generale riguarda la consapevolezza che il decisore pubblico interviene sulla realtà sociale per trasformarla, introducendo cambiamento e innovazione. Perché il suo intervento sia efficace serve il coinvolgimento di quei soggetti che nelle dinamiche aziendali vengono chiamati “agenti del cambiamento”: persone con un ruolo attivo nella propagazione della novità; attori delle comunità interessate dall’iniziativa, capaci di divenire “testimoni” o “evangelizzatori” (per fare esempi pertinenti in alcuni casi: custodi, rappresentanti di palazzo, amministratori di condominio). È però possibile lavorare in questa direzione soltanto se la procedura amministrativa che attua la volontà politica del decisore pubblico ne prende in considerazione gli oneri fin dalla fase della programmazione: sul piano dei tempi, dell’organizzazione, delle risorse.

 

Roberto Basso

 

 



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