28 novembre 2012

COMMERCIANTI: PORTE APERTE E BLOCCO DEL TRAFFICO


Che anche una grande città come Milano, una metropoli che tra meno di tre anni ospiterà l’Esposizione Universale, sia in fondo un microcosmo ne abbiamo avuto riprova non troppo tempo fa in occasione dell’ultimo sciopero dei mezzi pubblici. In questo piccolo mondo che è Milano, ogni azione di ogni singolo cittadino ha conseguenze – impatti – più o meno significativi sull’ambiente circostante e, in ultima analisi, su tutti gli altri.

Quando, per esempio, si tiene il motore acceso con l’auto in sosta per mantenere in funzione l’impianto di condizionamento – o, in inverno, il riscaldamento – dovrebbe essere evidente che si arreca un danno, evitabilissimo, alla collettività; così come dovrebbe essere evidente, senza il bisogno di ispezioni per ricordarlo, che lo stesso danno lo si causa con impianti di riscaldamento senza una adeguata manutenzione. Dovrebbero in realtà bastare le salate bollette.  

Di esempi di azioni e comportamenti che hanno impatti sulla collettività se ne possono fare molti altri, tuttavia all’inizio dell’inverno, vorremmo che si parli della questione dei negozi con le porte d’ingresso aperte e i riscaldamenti accesi, abitudine che pur non essendo proibita da alcuna legge (le ordinanze comunali hanno effetto limitato e solo emergenziale) ricade a pieno titolo nella categoria.

Lo scorso inverno, quando il livello di polveri sottili è andato ben oltre i limiti di legge, superandoli di quasi cinque volte, le ordinanze antismog, con specifiche diffide e sanzioni sulle porte aperte, si sono ripetutamente susseguite. E non sono mancate le campagne di boicottaggio contro i “negozi spreconi”, colpevoli di tenere le porte aperte tutto l’anno (il problema si pone invero anche d’estate con l’aria condizionata).

Taluni esercizi, addirittura, le porte non le hanno affatto, sostituite da getti di aria calda che investono i potenziali clienti non appena si entra nei punti vendita. Il caldo che fuoriesce dalle rivendite invoglierebbe i passanti a entrare nei negozi e non mancherebbero studi a sostegno di questa tesi. Tuttavia, gli studi in questione, più che la teoria della porta aperta, sostengono quella del negozio pieno: un punto vendita frequentato attira più clientela di uno deserto. E in una logica non sempre consequenziale, un negozio con le porte aperte si riempirebbe di più.

Non mancano, per contro, gli studi (se ne è occupata pure l’università di Cambridge) che dimostrano risparmi rilevanti (in media almeno il 30% della bolletta energetica) dovuti alla minore intensità del riscaldamento e all’eliminazione delle barriere d’aria calda grazie alla semplice chiusura delle porte.

Se proviamo a fare riferimento al Piano Clima del Comune di Milano, nella sua versione corrente e a oggi ancora l’unico documento valido per quanto riguarda il Patto dei Sindaci, cui Milano ha aderito e riconfermato l’adesione, il terziario (negozi, esercizi e uffici) dovrebbe contribuire per il 7% alla riduzione delle emissioni dirette.

Tra le azioni da intraprendere per raggiungere l’obiettivo si possono certo includere azioni tecnologicamente complesse o economicamente impegnative (cappotti termici, sostituzione di caldaie, utilizzo di software specifici per la gestione dell’energia), ma non vanno dimenticate le piccole cose di buon senso, quelle azioni che permettono di raggiungere risultati concreti con pochissimo sforzo (anche economico), che in una terminologia “consulenziale” e anglofona vengono chiamati “low hanging fruits”. Chiudere le porte dovrebbe essere una di queste.

Gli ultimi dati Istat disponibili sulle vendite al dettaglio parlano di una continua caduta, luglio ha segnato un calo del 2% per i prodotti alimentari e del 3,8% per quelli non alimentari. Per i quali le cose non migliorano se si guardano i primi sette mesi del 2012: le flessioni sono quasi tutte sopra il 3%, unica eccezione è quella registrata per il gruppo gioiellerie, orologerie, che si ferma al solo -0,7%. Sarebbe troppo facile dire che questi ultimi notoriamente hanno le porte ben chiuse.

Siamo certi che nessuno meglio dei commercianti sia in grado di fare i propri conti, ed è senz’altro vero che al risparmio in bolletta non è detto corrisponda una pari riduzione in termini di emissioni. Tuttavia, non si ci può dimenticare che il rischio che si corre è il blocco totale del traffico, come quello del 8 e 9 dicembre 2011, e allora a perdere sarebbero tutti.

Giacomo Selmi e Antonio Sileo

 

 

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti