28 novembre 2012

PRIMARIE, MILANO. NOVITÀ OLTRE IL PREVISTO


La lettura “milanese” delle primarie non è difficile. Dati di fatto.

1) Hanno votato più elettori che a qualsiasi altra primaria (il dato di Prodi a me parve spintaneamente ottimizzato) con regole tra l’altro più complesse. Un successo. Si conferma l’esistenza di un popolo del centro sinistra che travalica sigle e partiti.

2) Clamoroso che gli 88.466 elettori di Milano corrispondano ai 152.284 voti che i tre partiti promotori hanno preso alle ultime elezioni regionali. Praticamente un elettore su due del centro sinistra alle regionali ha votato alle primarie, uno su tre rispetto alle comunali. Una fotografia perfetta degli elettori.

3) Milano si conferma più a sinistra della regione.

4) La maggioranza dei voti, in città come in regione, sono andati a candidati contrari all’alleanza con l’UDC e questo crea un vincolo per le prossime elezioni regionali.

5) Bersani vince in città con quasi la stessa percentuale di voti con cui perse Boeri, con in più i voti dei socialisti, segno che nel Pd non è cambiato molto. In pratica per questa città non è un leader incontrastato ma un primus inter pares. In regione Bersani è più forte nelle aree di tradizionale insediamento socialcomunista.

6) Renzi, fino a pochi mesi fa un illustre signor nessuno, con una organizzazione stile “allegra compagnia di dilettanti” (mitica la fantozziana fiaccolata il giorno del Dal Verme) ottiene un risultato che mette in discussione ogni equilibrio nel centrosinistra. Il suo risultato fa pensare che i gruppi dirigenti del Pd non sono totalmente rappresentativi del loro elettorato, che il peso delle strutture sindacali e cooperativistiche è sopravvalutato, che i fan di Ichino sono più di quelli di Landini, insomma che la geografia reale del centrosinistra è diversa da quella solitamente rappresentata. In regione Renzi ottiene lo score migliore nell’area pedemontana storicamente più moderata.

7) La sinistra più radicale che fu maggioritaria con Pisapia e che fece dire: “Si scrive Giuliano Pisapia, si legge Nichi Vendola” è tornata minoritaria ma resta determinante. Tempi mutati o solo diversa qualità dei candidati? Oppure una parte di questo elettorato è passata con Grillo? In regione Vendola ha una presenza uniforme, ovunque lo score è sempre comunque di gran lunga superiore allo storico del suo partito. Il successo personale di Vendola in città è notevole: 17.000 voti quando alle elezioni comunali SEL ne prese 28.000.

8) Tabacci è insignificante ovunque; lo avevano candidato alla presidenza della regione ma non ha i voti neppure per fare il consigliere.

Quali sono le novità di queste primarie per Milano?

Non quella della rottamazione: c’è solo qualche vecchio parlamentare da pensionare e l’operazione avverrà con generale consenso. Probabilmente verrà riequilibrato l’eccesso di bersaniani nelle cariche elettive e di partito, ma non si tratta di vecchie cariatidi bensì di prestanti giovanotti

Non quella della durezza dello scontro che non è stato maggiore che in altre circostanze, basti pensare a come Onida avviò la sua campagna elettorale per le primarie comunali: “La partita delle primarie è falsata”.

Non quella della confusione degli schieramenti interni ai partiti e alle correnti che sono confusi almeno quanto lo erano dopo le primarie di Boeri/Pisapia e la dipartita di Penati. Si chiariranno con le candidature al parlamento e alle regionali. Ma è questione da addetti ai lavori.

Le novità sono altre.

a) Queste primarie sanciscono la fine nella del modello di partito di massa come in Italia si è conosciuto dal dopoguerra a oggi. Scompare il ruolo dirigente delle segreterie di partito si rottama definitivamente un modo di fare politica costruito sulle commissioni, le sezioni, i responsabili di settore etc. Quando le scelte sulle leadership sono delegate a una platea che è grande circa quindici volte il numero degli iscritti dei tre partiti (nel 2008 in città gli iscritti al Pd provenienti dai due cofondatori era di 5.700, mentre nel 2012 per l’area metropolitana il Pd dichiarava 11.700 iscritti) è evidente che il compito principale dei partiti diventa organizzativo: preparare le primarie, organizzare le campagne elettorali e poco più. Del resto quando Renzi parla “delle truppe cammellate della CGIL” o Sposetti parla “di soldi anche dall’estero” è ovvio che non stiamo più parlando di un partito ma di una alleanza, di un rassemblement tra soggetti diversi tenuti insieme da un minimo comun denominatore ideale programmatico e dalla legge elettorale. Un Pd alla Obama.

b) Queste primarie sanciscono la fine delle vecchie correnti e delle vecchie leadership fondamentali nella scelta dei candidati. Senza aver mai messo piede in un direttivo, oggi Gori è più importante nel centro sinistra di tutti quei segretari che un tempo gli avrebbero fatto fare anticamera. Si tratta di capire se e come questo peso resterà nella quotidianità.

c) Queste primarie sanciscono che Affari Italiani conta ben più dell’Unità e di tutti i siti di partito messi insieme, ma che la legittimazione fondante è ancora quella della piazza. Le code davanti al Dal Verme o alla Fabbrica del Vapore sono il segno che per la leadership occorre la mobilitazione fisica, Facebook non basta.

d) Queste primarie sanciscono la centralità della sfida e la marginalità delle fasi preparatorie; chi conduce una battaglia politica ma poi nel momento decisivo non ci si candida (Civati docet) o non partecipa (IDV docet) è destinato a ruoli minori.

e) Queste primarie sanciscano che l’equilibrio tra le varie componenti del centro sinistra sarà determinato dagli eletti. Scomparsa la nomenclatura delle segreterie avremo un partito e una coalizione fondata sugli eletti. È un ritorno all’Italia giolittiana. Per questo sarà fondamentale come i risultati di Renzi e Vendola influiranno sulla scelta dei candidati. Non a caso Rosy Bindi, da buona vecchia democristiana è su questo tranchant.

f) Queste primarie sanciscono che il fair play interno non c’è più. Una delegittimazione, un astio e un rancore così forte come quelli nei confronti di Renzi non si vedevano dai tempi di Saragat.

g) Queste primarie sanciscono la fine di un classico tormentone prelettorale: il ruolo dei cattolici. Tormentone che serviva a giustificare candidature alla Binetti. I cattolici si sono equamente divisi tra i vari candidati e nessuno di questi ha fatto di questa caratteristica confessionale un tratto elettorale distintivo.

h) Queste primarie sanciscono il passaggio a una democrazia più diretta e sanciscono la fine di una dicotomia che da almeno venti anni allietava la politica cittadina: quella tra apparati e società civile. Oggi la società civile (anche quella soi disant) ha il controllo delle scelte politiche che contano: indicazione del candidato a premier, a sindaco. Addirittura il ruolo dei partiti è così poca cosa che la società civile può fare quasi a meno delle primarie per indicare il candidato a presidente della regione. Di conseguenza schiere di vecchi professionisti della politica stanno cercando di trasformarsi in società civile in omaggio all’ideale ecologista del riciclaggio.

Complessivamente un bilancio molto positivo.

Walter Marossi

 

 



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