31 ottobre 2012

IL LODO PENATI E LA NUOVA LEGGE ELETTORALE


L’approssimarsi delle elezioni regionali riapre la questione Penati. No, non quella giudiziaria e nemmeno quella etica, ma quella politica. Penati infatti da leader del PD lombardo e candidato di coalizione alle ultime regionali fece scelte nette, condivise da tutto il partito e dalla coalizione, così riassunte in una dichiarazione: «gli obiettivi sono diversi e non è praticabile un accordo programmatico» quindi porte chiuse alla sinistra comunista che alle elezioni prese un modesto 2%. Il risultato finale della coalizione penatiana il 33,27% non fu un successone considerato che la bistrattata Unione aveva preso con Sarfatti il 43,6% perché pur considerando i voti dei grillini una parte degli elettori più a sinistra non l’aveva votato.

Penati poneva una questione di coerenza programmatica, inutile vincere le elezioni se poi non si può governare, lo stesso discorso che oggi fanno sia Bersani che Renzi, quest’ultimo con maggiore veemenza e che ha portato all’esclusione dell’Idv dalla coalizione delle primarie. La questione si ripropone per le prossime regionali; la differenza col tempo di Penati è che oggi il centrosinistra può vincere e se il risultato fosse al foto finish anche l’1% peserà.

Il sistema elettorale regionale è semplicissimo: è proclamato eletto Presidente della Giunta regionale il candidato che ha conseguito il maggior numero di voti validi. I consiglieri sono eletti con un sistema misto (proporzionale con premio di maggioranza variabile), su base provinciale, la coalizione vincente in ogni caso disporrà di una maggioranza di seggi non inferiore al 55%. I candidati sono eletti con il voto di preferenza.

Se il PDL e la Lega si presentano divisi il centro sinistra ha buonissime possibilità di vincere le elezioni a patto però che:

1. la lista grillina ottenga non più del doppio della percentuale presa alle ultime regionali (il 3%)

2. le sinistre comuniste rimangano attorno al 2%

3. che nessuno dei partiti apparentati perda voti

4. che la coalizione non perda pezzi.

Se invece vi fosse significativo incremento dei voti antisistema e/o la perdita di qualche pezzo della vecchia coalizione anche la presumibile divisione tra Pdl e Lega potrebbe non bastare specie se ci fosse un candidato moderato come Albertini capace di attrarre voti da quel centro che in Lombardia non ha mai brillato ma che può ragionevolmente contare su un 5%. Vale la pena ricordare che nel 2010 l’Idv prese il 6,28% e il Partito dei pensionati l’1,64%. I tre partiti che oggi concorrono alle primarie avevano insieme solo il 25% dei voti. Per vincere, sulla base dei voti delle passate elezioni bisognerebbe quindi riproporre la coalizione dell’ultima volta all’allargata magari a quei radicali che nel 2000 presero il 3,38% dei voti.

Ci sono però due problemi: 1) non è questa la coalizione delle primarie, 2) Monti. Come conciliare una coalizione con Idv che dell’antimontismo ha fatto bandiera in una regione che è la culla del montismo? È vero che i partiti sembrano pervasi dal primum vincere deinde philosopare però è dura conciliare il renzismo con il dipietrismo, Ichino con il Leoncavallo? Occorrerebbe un candidato demiurgo, ne vedo pochi in giro e in genere non partecipano alle primarie.

Le modifiche della legge elettorale non aiutano. L’abolizione del listino non significa niente, cura solo l’ansia collettiva da Minetti che ha preso il sistema politico e riduce il potere del candidato presidente che non può più indicare una propria squadra a tutto vantaggio dei partiti. Non è vero che i nominati siano necessariamente peggio degli eletti, visto che questi ultimi devono fare ricorso alle preferenze che sono un enorme fattore di corruzione; è vero invece che l’abolizione del listino consente una rappresentanza territoriale più articolata. Nel centro sinistra il listino serviva a inserire quei candidati che secondo logica non hanno alcuna possibilità di essere eletti con le preferenze (guardando i precedenti si tratta di scienziati, universitari, giornalisti); l’uso disinvolto fattone dal berlusconismo non ne inficia necessariamente l’utilità.

Aumentare il numero degli eletti con la preferenza non aumenta la qualità degli eletti e non aiuta la rotazione che avviene quasi sempre per rimozione (della corrente, della magistratura, del partito, della coalizione, dell’elettore, in questo ordine di importanza) o promozione a Roma quasi mai per volontario abbandono, (chi si ritira lo fa generalmente per una ragione: il cancro o similia, molto raramente perché scopre le gioie del sesso, della religione, della paternità. Rarissimi quelli che pensano di aver fatto il loro tempo).

L’unico risultato certo nell’avere abolito il listino è quello di aver aumentato i costi della politica. Anche l’alternanza di genere nelle liste non significa nulla visto che si mantiene il sistema di preferenza unico. Mentre l’abolizione della raccolta delle firme per presentare le liste,limitata alle già presenti in consiglio, è da una parte una presa d’atto che da anni il sistema è taroccato da tutti i partiti (presumibilmente eccetto quelli che non sono riusciti a presentarsi) dall’altra è un oggettivo vulnus alla parità di trattamento tra liste poiché alcuni (radicali e grillini in primis) avranno un handicap di partenza significativo.

La modifica del numero massimo di consiglieri non incide sui numeri percentuali del premio di maggioranza che resta quello attuale, se immaginiamo una gara con quattro candidati importanti il vincente, realisticamente con il 35% dei voti avrà il 55% dei seggi e i tre perdenti con il 65% dei voti avranno il 45% dei seggi, ma mentre prima il premio di maggioranza veniva applicato attraverso un numero variabile di consiglieri (come avvenne nella sesta legislatura) oggi il numero è fisso: meno eletti e niente listino presumibilmente significherà meno rappresentanza per i “piccoli”.

È il bello del presidenzialismo a turno secco che obbliga a scelte che possono essere difficili e difformi da quelle nazionali o da quelle delle amministrative a doppio turno. Si capisce meglio allora la frenesia di Formigoni nel votare il prima possibile: mette in difficoltà la lega, resta un king maker nell’esausto Pdl e obbliga il centro sinistra a scelte contraddittorie.

Walter Marossi

 



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