18 settembre 2012

SETTEMBRE, ANDIAMO… VERSO LA TERZA REPUBBLICA


Settembre, molto più di gennaio segna un nuovo inizio possibile, una nuova stagione, un voltare pagina, un lasciarsi alle spalle qualcosa di vecchio verso qualcosa di nuovo. E settembre, per gli italiani, era tempo di cambiamento, migrazione, transizione: andiamo allora, ma dove?

Cresce il senso di disagio, disorientamento per non dire sperdimento, che non è tanto economico che pure pesa e quanto, ma di orizzonte collettivo e personale, in modo che davvero si fatica a collocare la propria prospettiva in un qualche contesto di cui, prima che condividere, si comprenda segno e direzione. Certo, lo spread, totem del nostro vivere, tende a scendere e non è cosa da poco, ma che i “mercati” riassegnino al nostro Paese un miglior merito del credito ci sottrae alla tempesta più sconvolgente, ma non è sufficiente a farci intravedere il sereno all’orizzonte. La crisi, che è europea prima che mondiale, che è italiana prima che europea, che è economica prima che finanziaria, che è di fase più che di contingenza, anche se tutto connette, resta lì a sfidare la nostra capacità di immaginare un cambiamento possibile. L’emergenza, che pure resta, è meno viva e lascia qualche margine per pensare a qualcosa che non sia l’afferrare il salvagente più vicino, magari contendendolo a qualche altro povero disgraziato, simile ma ancor più sfortunato di noi.

Anzi, proprio a partire da qui, da una visione improntata ad una maggiore solidarietà si può provare a tracciare qualche linea per il presente e il futuro. L’azione della BCE di Mario Draghi, assume valore paradigmatico nel disegnare un’idea di Europa e di sviluppo almeno parzialmente diversa da quella personificata dai custodi dell’ortodossia monetaria: non l’Europa che vogliamo, ma la sola Europa possibile si sottrae all’immagine di una landa desolata in cui uno vince sulle macerie di tutti gli altri, e non importa se gli altri hanno peccato. Weber, prima e meglio di altri, ha chiarito il concetto del capitalismo come formazione economica e spirituale insanabilmente contraddittoria, divorata com’è dalla necessità della competizione e dalla indesiderabilità del suo esito, il monopolio, cosa che vale per le imprese e gli stati odierni. La competizione è il sale della crescita e dell’innovazione, ma il suo risultato finale non può essere la distruzione dell’avversario pena l’implosione dell’intero sistema.

La comprensione della necessità di governare la contraddizione ingovernabile del capitalismo, prima ancora del valore etico della solidarietà, costringe oggi i più avveduti registi della cosa europea a trovare meccanismi che redistribuiscano le carte, e con queste le opportunità e le occasioni di futuro. Se la stessa Germania intende prosperare, non potrà essere piantando il proprio vessillo sulle esanimi membra degli Stati meno efficienti, non si dice virtuosi. È una partita in cui si gioca il destino collettivo, e in questo destino noi possiamo e dobbiamo ritrovare il senso di comunità, che non è quello, insensato, della cosiddetta “comunità di destino”. Il nostro senso di comunità, quello moderno, è sottratto a un legame di sangue e suolo, esterno e impostoci dal passato, ma nasce esclusivamente da una libera determinazione, come parte del popolo europeo, delle nostre volontà.

Qui, in questo strettissimo passaggio, si collocano in Italia il prossimo passaggio politico elettorale e il dibattito del PD.

La seconda repubblica è naufragata in un disastro etico, devastante a destra ma certo pesante anche a sinistra. Il Discorso Democratico, inteso come ambiente civico in cui i cittadini condividono valori e pratiche improntate a eguaglianza, partecipazione e libertà, è quasi scomparso: resiste, tra mille difficoltà, solo nel PD e poco altro. La fine del partito di massa, ma anche dei residui di partiti d’élite della prima repubblica, ha generato il mostro dei partiti ad personam: l’azione politica di Beppe Grillo ci riconsegna, con ampio margine sugli altri paesi lo scettro di nazione con la maggior fantasia nel produrre metastasi populiste sempre aggiornate. Ma da qui, dalla ricostruzione della stessa possibilità di un confronto politico civile, perché strutturato, si deve ripartire, comprendendo che risanamento economico e risanamento democratico dell’intero paese non possono prescindere l’uno dall’altro e che quindi il centro sinistra non può non porsi il tema della ristrutturazione del campo del centrodestra come condizione abilitante di qualunque prospettiva politica effettiva.

La legge elettorale diviene allora un passaggio chiave, poiché se è vero che la politica sta prima dei suoi meccanismi elettivi, è pure vero che questi danno forma al Discorso Democratico, riducendolo a tardiva legittimazione di scelte eteroguidate o ridando effettivo spazio alla cittadinanza e alle sue forme di aggregazione democratiche. Quale legge elettorale allora? Il dibattito si aggroviglia tra due valori-principio, da un lato stabilità di governo e dall’altro rappresentanza alla volontà dei cittadini. Il sistema bipolare ha vent’anni di vita e ha certamente corresponsabilità nella generazione dello sfascio attuale. D’altra parte, chi ha più anni non dimentica l’instabilità cronica di un sistema politico che consentiva la rappresentanza a forze politiche da prefisso telefonico e le evoluzioni irresponsabili dei leader.

Allora quale formula? La riflessione dovrebbe provare a sganciarsi da un procedere per confronti astratti tra sistemi magari tratti di peso da altri Paesi, per avanzare sul terreno concreto della verifica del livello di coerenza tra un sistema elettorale e il sistema socio politico nazionale che dovrebbe rappresentare efficacemente, ma non come una fotografia ma piuttosto come una cartina al tornasole che consenta ai processi in atto sottotraccia di venire in superficie e di trovare una sistemazione dinamica. La contrapposizione secca destra / sinistra, è un fatto, ha formato il terreno fertile su cui Silvio Berlusconi ha fatto crescere la malapianta di una destra populista e mediatica. Su questa visione del “con me o contro di me”, qualsiasi proposta politica di centrodestra alternativa, ispirata a valori di moderazione, confronto e condivisione bipartisan di principi – valori – procedure, è stata inesorabilmente schiacciata. Ma con questa proposta si è persa anche la possibilità di trovare ambiti politici che consentissero ad ampi strati sociali moderati di sottrarsi alla visione del muro contro muro. Sul fronte avverso, il nostro, la logica di fondo imposta dal maggioritario ha ingiunto, a chiunque si cimentasse, di arruolare tutti quanti ci stavano. Prodi con l’Unione fallì dopo, Veltroni, che neanche ci provò, fallì prima.

Bisogna chiedersi, dobbiamo chiederci, dove si trovino le risorse, le energie sociali e le visioni culturali necessarie per rimettere in corsa il nostro Paese, superando i muri, lasciando al loro destino gli opposti populismi, aggregando, o meglio dando l’occasione di aggregazione, a un nuovo blocco sociale capace per insediamento e visione di prendersi carico dello sforzo eccezionale, quasi da ricostruzione del Paese, di risanamento e di crescita. E se comprendiamo che queste energie e risorse giacciono ma non sono mobilitate adeguatamente dall’attuale sistema elettorale, e che a questa assenza si è finora risposto con l’innovazione eccezionale del “governo di necessità”, dovremmo chiederci quale sia la legge elettorale capace di ridare dinamismo, di rendere fisiologico ciò che oggi è patologico, con una operazione di grande respiro, che ridia peso e ruolo alla rappresentanza di soggetti sociali moderati disponibili a un riformismo europeo, alla Monti o, si parva licet, alla Casini.

Ecco, allora fuor di metafora, una possibile logica di riforma elettorale. Non quella che consente oggi, sul panorama bloccato del maggioritario, di massimizzare il rendimento dell’insediamento politico di ciascuno all’interno dei recinti, ma quella molto più ampia che favorisce la ricostruzione di un sentire comune trasversale prevalente, ridà fiato alle componenti più aggiornate e istituzionali dell’attuale centro destra, e perché no, anche del centrosinistra, restituisce dinamismo e forza politica al blocco sociale che potrà prendersi sulle spalle il Paese.

La nuova legge elettorale dovrà offrire il fondamento alle istituzioni della Terza Repubblica: con quali meccanismi e tecnicalità? Una cosa alla volta, che prima viene la visione e poi la tecnica.

 

Giuseppe Ucciero


 



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