11 settembre 2012

musica


 

JOHN CAGE

Se avete qualche difficoltà a misurarvi con la musica “colta” contemporanea e con gli autori che hanno definitivamente rotto con gli schemi compositivi schönberghiani, strawinskiani e della musica successiva, leggete le due paginette che trovate sul sito http://it.wikipedia.org/wiki/John_Cage in cui viene raccontata la vicenda del compositore (ma guai a chiamarlo così, era “solo un musicista” e per lui la musica andava cercata e realizzata, non composta) nato a Los Angeles un secolo fa e morto ottantenne a New York. Fra il 1912 e il 1992 ha dunque attraversato un secolo intero, scandalizzando con le sue performance e tuttavia creando intorno alla sua figura, mite e sorridente, un circolo estasiato di amici, ammiratori, seguaci, che per tutta la vita lo hanno circondato di affetto.

Mercoledì scorso, nel giorno in cui si celebravano i cent’anni dalla sua nascita (e quasi esattamente anche i venti dalla sua morte), la Triennale ha avuto l’ottima idea di celebrarlo con una magnifica serata-concerto cui – inaspettatamente – ha partecipato un pubblico straripante ed eterogeneo (molti hanno ascoltato seduti per terra all’esterno della sala) con tutte le generazioni possibili e molti giovani, interessati, sorpresi, attratti dalla fama di Cage ma con scarse informazioni sulla sua persona e sulla sua musica.

Michele Porzio, docente di storia della musica, e Inkyung Hwang, artista sudcoreana che vive in Italia, hanno raccontato, illustrato, spiegato la vita e la poetica di Cage di cui sono attenti studiosi, mentre Elio Marchesini, percussionista dell’orchestra della Scala, con un folto gruppo di musicisti ha dato vita a un concerto antologico di opere fra le più significative – comprese alcune estreme provocazioni – di questo straordinario autore.

Così abbiamo potuto rievocare questa “summa” della sperimentazione musicale (o postmusicale?) che ha fatto tabula rasa di tutti gli schemi compositivi che abbiamo conosciuto dal rinascimento a oggi, per proporci una poetica dell’ascolto basata più sul corpo che sulla mente a partire dal riconoscimento che il silenzio non esiste e che il mondo è infinitamente pieno di suoni che non sono necessariamente da organizzare (la vituperata “composizione” musicale) ma piuttosto da isolare, percepire, capire e godere per quel che sono.

Cage è stato grande amico di Duchamp e di Rauschenberg e insieme a loro – ma sul fronte musicale – pioniere del movimento Fluxus cui il m.a.x. museo di Chiasso quest’estate ha dedicato la grande esposizione “A Creative Revolution 1962-2012” curata da Antonio d’Avossa e Nicoletta Ossanna Cavadini (catalogo Skira). Ed è nel contesto di questo movimento che ci si può maggiormente avvicinare alla sua musica e accettare con interesse e curiosità le sue provocazioni. Come quella del famosissimo pezzo «4’33″» – quattro minuti e trentatre secondi di silenzio assoluto, ma lui dimostra proprio così che il silenzio non esiste – in cui i colpi di tosse o i commenti imbarazzati del pubblico diventano l’oggetto dell’ascolto e l’essenza musicale dell’opera.

In questa occasione, però, per la gioia e per la curiosità del pubblico e degli amanti delle sue opere, non sono state rievocate solo le provocazioni intellettuali di Cage; abbiamo ascoltato anche lavori pieni di poesia e capaci di reale incantamento come quelle “Sonatas and Interludes” per pianoforte preparato, del 1948, magistralmente interpretato da Christian Schmitz, che avevamo avuto la fortuna di ascoltare in occasione del primo concerto di Cage a Milano, nel 1954 alla Rotonda dei Pellegrini, in un momento nodale per la musica contemporanea. In quella piccola sala c’erano ad ascoltarlo anche Luciano Berio, Luigi Nono, Luciano Rosada, Riccardo Malipiero, Umberto Eco e quella musica commosse allora come ha commosso ancora l’altra sera in Triennale.

C’è qualcosa di magico, misterioso, inafferrabile in quella musica, ti penetra e ti avvolge con suoni che sembrano prelevati dal mondo della natura ma anche di non aver mai ascoltato prima; vi è una sorta di ossessione intorno ad alcuni intervalli ma è un’ossessione che anziché turbare incanta; si sente la fisicità di una musica liberata da ogni condizionamento concettuale o mentale. Cage è stato per ben due anni allievo di Schönberg ma come ha assorbito la genialità della “Scuola di Vienna” così ha saputo allontanare da sé i rigori e le paranoie delle regole che essa si era data, a cominciare da quella della serie dodecafonica.

Diceva che “comporre è una cosa, eseguire un’altra, ascoltare un’altra ancora; e cosa c’entrano l’una con l’altra?” e si rifiutava di entrare in quel circuito, di mettersi su piani diverso da quelli dell’esecutore e dell’ascoltatore. Per lui scrivere musica era catturare suoni e proporli all’ascolto in comune, come celebrare un rito ma il più irritualmente possibile. E sempre con un gran sorriso e tanta gioia di vivere.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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