25 luglio 2012

L’IMPUDENZA DEL PROFESSOR GALLI DELLA LOGGIA


Anche se la vicenda è tutt’altro che conclusa, chi per mestiere fa lo storico, o a qualsiasi titolo il commentatore delle vicende dei popoli, comincia a ragionare su quello che ormai si profila come il secondo (in un secolo) ventennio di egemonia fortemente marcata da una personalità politica. Si parla del berlusconismo come di una esperienza conclusa “consegnata alla storia”, [Gibelli A., Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria, Roma, Donzelli, 2011] e di cosa sarà l’Italia dopo il berlusconismo come fa Bill Emmott che ha dedicato molto impegno ad attaccare Berlusconi dalle colonne dell’Economist, [Emmott B., Forza Italia. Come ripartire dopo Berlusconi, Milano, Rizzoli, 2011] e così via. Un paio d’anni fa Aldo Schiavone [L’Italia contesa, Laterza, Bari 2009] ha annunciato la fine del Berlusconismo, ma la verità è che alla data del 15 luglio 2012 Berlusconi è ancora in pista, correndo sotto il sole per perdere peso in vista della nuova discesa in campo.

Saranno anche mattane da vecchio capocomico che non capisce che il suo tempo è passato, ma la sua propaganda ha risfoderato il mito della sua invincibilità. Un signore che si chiama Diego Volpe, che dichiara di perdere la voce per l’emozione di fronte a Berlusconi, lo ripropone senza scoppiare a ridere come un leader obbligato a “completare la sua rivoluzione liberale”. La rivoluzione liberale? Ma quale rivoluzione liberale? Quella del bunga – bunga con la Minetti? Quella avviata assieme a Umberto Bossi rappresentante del protezionismo localistico più petecchioso che ci ha fatto pagare milioni di multe di quote latte, per non parlare delle ruberie famigliari nel bosinate. O quella assieme a Formigoni Paperoga, capo della più agguerrita corporazione affaristico – religiosa d’Italia? O quella con Fini, erede diretto del corporativismo fascista? O infine quella con se stesso monopolista di stato delle frequenze televisive e di altre coserelle tutte ottenute con la libera concorrenza come quando Craxi gli ha regalato tre reti? Lo spirito del ’94! Ma quello spirito è scappato appena si è aperta la bottiglia, ha guardato negli occhi Alì di Arcore e i suoi accoliti ed è scappato urlando.

Nella nebbia di questi giorni si aggirano spiriti inquieti: Rip Van Winkle con la barba, i capelli e le unghie lunghe che si riuniscono per resuscitare i defunti e “completare la rivoluzione liberale del ’94”. Ragazzi! Gente di ingenuità e bocca buona senza limiti, quando non semplicemente a libro paga, che ricordano i diciannovisti di Telesio Interlenghi rispuntati nella RSI. O non piuttosto il mio patetico cugino romagnolo che si è iscritto alla RSI perché c’era il nome “repubblicano, dopo che per vent’anni i fascisti l’avevano menato e olioricinato per la stessa ragione? Tutti questi vecchi motori fuligginosi da tempo inattivi si sono accesi facendo un fumo oleoso e nauseabondo che nasconde le vere questioni: l’economia (e la società) che va sempre peggio, i milioni che perdono lavoro o non ce l’hanno, la criminalità organizzata che non sa più dove mettere i suoi proventi e i venti di guerra che soffiano sempre quando ci sono crisi sociali mondiali. Nel fumo non si capisce più nulla, ma rispuntano vecchie figure, come il filosofo popperiano – papalino Marcello Pera rapidamente ricacciato in un angolo con le sue proposte costituzionali.

Ma nel fumo si fa largo Ernesto Galli della Loggia con un editoriale sul Corriere della sera del 13 Luglio (dal titolo intensamente proiettivo L’ITALIA DEL «TUTTI INNOCENTI» Una perfetta impudenza) nel quale sostanzialmente usa il trucco retorico di quelle gags del muto in cui il birbone in fuga sentendosi raggiunto si mette a indicare davanti a se gridando (didascalia) “al ladro al ladro”. Sentite qua: “C’eravamo, ci siamo stati tutti, insomma, nell’Italia degli ultimi trent’anni, se non sbaglio. E ognuno con la sua piccola o meno piccola parte di colpa; anche se oggi in molti fingono di esserselo dimenticato. Soprattutto c’erano, ci sono stati, gli Italiani”. Capito? c’eravamo tutti. Questi italiani birichini, costretti a essere birboni per una sorta di tara razziale, come dice Schopenauer citato in epigrafe da Galli della Loggia (che così si accredita anche in questo paese di liceali). Ma così l’apparente confessione diventa una chiamata di correo. Galli della Loggia è uno storico e mi stupisce che non si sia ricordato che questa idea l’aveva avuta Mussolini il quale, dopo aver perso varie guerre, tutte decise da lui, si lamentò di non essere riuscito a educare “gli Italiani”, che per il sinistro minchione avrebbero dovuto diventare una razza guerriera. Ma il campione della tecnica “confesso per accusare” è stato Craxi, osannato da quasi tutti per aver puntato il famoso ditone in quella che a un pugno di socialisti (Ruffolo, io e pochi altri) parve subito invece una birbonata, tanto che restituimmo immediatamente la tessera. Berlusconi va un po’ a rimorchio, anche lui se la prende con gli Italiani che non hanno capito la sua “rivoluzione liberale”.

Pansa racconta, per quelli che non c’erano, il corri corri a riposizionarsi dei sostenitori del fascismo dopo il 25 luglio e il 25 aprile. Dobbiamo quindi rallegrarci se un campione del terzinismo come Galli della Loggia sta cercando una nuova posizione con tanto solerte zelo. Segno che tra chi ha il fiuto per venti e correnti, che deriva da anni di navigazione nella scia del cavaliere, è maturata la decisione che la fine è vicina. Ma non possiamo accettare che questa operazione si basi su un falso così plateale. Forse ci sono lettori disponibili a digerire senza fatica la frusaglia mussoliniana, rimasticata da Craxi e Berlusconi, che Galli della Loggia cerca di far passare come pensiero originale, degno di riflessione in questa calda estate della confusione generale, ma io penso che occorra invece puntare i piedi per contestare i falsi storici di chi cerca di addossare le colpe di alcuni alle spalle di tutti.

Dire che il berlusconismo e i tristi anni che abbiamo passato non sono solo colpa di Berlusconi, ma anche di altri, che si sono accomodati o addirittura hanno fatto accordi sottobanco, è opera più che legittima e lo storico professionista dovrebbe appunto aiutarci ad analizzare i fatti, descrivendo, con i nomi e i cognomi degli attori, gli eventi, non con il fine di condannare o condonare, ma con il fine di ricostruire quella verità storica che, sempre elusiva, deve però essere sempre cercata. Senza questa diuturna fatica lo storico e il giornalista non si distinguono dal politico e dall’ideologo al suo servizio, che non hanno il compito di illuminare ma quello di obnubilare. Enuncia con risonante sonorità Galli della Loggia “L’Italia non potrà avere alcun futuro finché non riuscirà a disporre di una narrazione del passato che la renda consapevole degli sbagli trascorsi, delle loro cause e dei loro responsabili.” Bravò, right on, proprio così, ma certo questa missione non può cominciare con un mea culpa craxiano in cui siamo tutti colpevoli e buonanotte al secchio. Questo è un imbroglio bello e buono ed è l’esatto contrario dell’enunciato: cioè una formidabile impudenza.

“C’eravamo tutti”, ma certo! Quelli che dicevano no e quelli che, come i Galli della Loggia, un giorno si e un giorno no sputavano in faccia a quelli che dicevano no. “C’eravamo tutti”: quelli che hanno continuato a dire di no, e nonostante i loro leaders Quisling, hanno resistito e non sono mai stati vera minoranza nel paese, e c’erano quelli come Galli della Loggia e tantissimi altri che un giorno si e un giorno no irridevano quelli che dicevano di no dai loro castelli ben difesi. C’eravamo tutti sulla scena, certamente, quelli che mangiavano a tavola e i poveracci che ricevevano calci sotto la mensa. Ma alcuni davvero non c’erano, caro collega storico: i Montanelli, i Biagi Enzo (cosa ha detto Galli della Loggia in difesa di Biagi?) i Luzzatti, la Sabina Guzzanti e così via. Per non citare i milioni senza un volto che si sono battuti contro il berlusconismo e lo stuolo dei suoi sostenitori diretti e indiretti. Questi davvero non c’erano: non erano forse “Italiani”? Che cosa erano, apolidi, metechi, mentecatti? Cosa dunque?

Sia chiaro che non ne faccio una questione etica o morale che dir si voglia, primo perché questi Grandi Pensatori Conservatori credono solo nel realismo politico e se gli parli di morale si inalberano strillando contro l’Inquisizione e lo Stato Etico. Secondo perché ritengo da sempre che ognuno è responsabile della propria morale e se non ci arriva da solo a individuare quello che non va, nessuno glielo può spiegare. Ne faccio però una questione pratica e di stile. Di stile perché pur essendo evidente che ogni studioso è libero di coltivare le sue opinioni politiche e le sue visioni del mondo, deve però farlo rispettando quei criteri di dirittura, cioè di coerenza con i fatti concreti, di buona memoria delle cose dette in precedenza, e di generale rispetto delle metodologie base della disciplina che lo distinguono da un imbonitore. Altrimenti cosa è uno studioso senza dirittura?

Ma poi c’è una ragione eminentemente pratica: supponiamo che per una qualche catastrofe inimmaginabile e deprecabile lo storico del futuro impegnato a capire cosa sia stata l’era berlusconiana si trovi solo una collezione di scritti del Galli della Loggia. È una ipotesi estrema, ma gli dei, si sa. sono birichini e a volte anche malevoli. Lo storico futuro avendo a disposizione questo scritto e sapendo che l’autore è uno storico dovrà per forza dare peso alle sue affermazioni e concluderà, erroneamente, che in questo ventennio Berlusconi ha sostanzialmente goduto del consenso universale e ne uscirà l’immagine di un Pericle o di un George Washington piuttosto che quella del modesto secondo Cavaliere della storia d’Italia che è stato l’impostore di Arcore.

Io mi faccio una domanda: ma i giornalisti come Galli della Loggia quando scrivono hanno in mente un loro lettore tipo disposto a bere ogni affermazione? Si rivolgono solo a costoro o, come suggerirebbe Weber, tengono anche conto di un gruppo di riferimento di persone moderatamente colte e informate che qualche domanda se la pongono? Bossi a Pontida o Berlusconi sotto i cieli blu possono ovviamente dire quello che vogliono perché sono dei demagoghi e non hanno alcun vincolo di responsabilità intellettuale. Ma può uno storico contemporaneo, a cui per il sistema della venia docendi è stato affidato il compito di insegnare a giovani non ancora armati delle armi della critica spingere tanto lontano il suo ruolo di ideologo, non si capisce poi bene al servizio di chi o di che cosa? Gli studenti sono parecchio ingenui, un po’ come lo storico futuro che si dovesse fidare solo degli scritti di Galli della Loggia, cosa gli racconta il professor della Loggia, che le responsabilità sono “degli italiani”?

Certo non sono dei Bantù, ma “gli Italiani”? Sono davvero un soggetto legittimo di analisi storica, al di fuori dei discorsi che facciamo tutti la mattina con il barista che ci prepara il cappuccino e commenta le partite di calcio, i fatti rilevanti del giorno e il tempo? Possiamo parlare di Italiani, tout court, in un periodo in cui un leader di propensioni dispotiche si era posto l’obiettivo di “rivoltare l’Italia come un calzino” (senza porsi il problema di dove sarebbe finita la cucitura) e la macchina mediatica sua e della sua maggioranza hanno introdotto divisioni e livelli di denigrazione e violenza verbale contro gli avversari forse mai toccati nella storia politica italiana? Può uno storico di professione, abituato come dovrebbe essere a esporre e valutare i fatti, come lo stesso Galli della Loggia con straordinaria improntitudine raccomanda, ma non fa, venire a raccontarci la storiella dei tutti colpevoli, chi più chi meno?

Io non ci sto, aspetto un’analisi storica, che ancora non c’è, di cosa siano stati questi vent’anni circa e che prenda seriamente (e sottolineo) le mosse dalla indicazione che diede Massimo S. Salvadori nel 2003. “Occorre ormai rendersi conto che Silvio Berlusconi appartiene ai “grandi” protagonisti della storia d’Italia. Per esser tali, nell’accezione qui adoperata, conta il fatto d’incarnare e interpretare in maniera storicamente significativa un certo coagulo d’interessi e orientamenti dominanti e il corrispondente “spirito del tempo”. Ci sarà nella nostra storia nazionale un’era Berlusconi.” (“Il cavallo zoppo del Cavaliere”, La Repubblica 22 Luglio 2003, corsivo mio). Il tema è ripreso quasi con le medesime parole – e fa un po’ paura che il secondo “ormai” arrivi dopo ben dieci anni – da Antonio Gibelli “è venuto il momento di prenderlo, dal punto di vista storiografico, sul serio. … è ormai chiaro, innanzitutto, che la vita politica italiana ha assunto caratteristiche omogenee ben delineate. … Quanto il fatto che abbia dato una impronta omogenea e determinante a tutta un’epoca, il che appare ormai innegabile”.[Antonio Gibelli, Berlusconi passato alla storia. L’Italia nell’era della democrazia autoritaria, Donzelli, Roma 2011, pp. 5-6]. Questi, tra alcuni altri, sono contributi seri di storici professionisti, ne aspettiamo molti ancora: il tema è ovviamente di quelli seri che non si risolve con la manipolazione ideologica. Ha ragione Galli della Loggia e lo riprendo verbatim: “L’Italia non potrà avere alcun futuro finché non riuscirà a disporre di una narrazione del passato che la renda consapevole degli sbagli trascorsi, delle loro cause e dei loro responsabili.” Dagli editoriali di Galli della Loggia, però, un contributo concreto in questa direzione non è ancora neppur lontanamente venuto.

 

Guido Martinotti

 



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