18 luglio 2012

GIOVANI MASCHI: QUALI UOMINI?


Il mio osservatorio sulla “questione maschile” è piuttosto parziale. Una scuola superiore a forte predominanza femminile, dove i ragazzi vivono una condizione tutt’altro che facile. Sono decisamente superati nelle prestazioni scolastiche, ma non solo. Sembrano sempre più in crisi anche in quelli che un tempo erano i loro territori privilegiati: quelli della spavalderia sessuale, dell’allusione, delle battute a sfondo erotico. Anni fa in una classe ho trovato alla parete un cartello con una freccia che indicava le ragazze sotto. C’era scritto Le fiche sono qui. Pensai che si trattasse dello scherzo dei maschi del gruppo. Stavo per prepararmi a dire qualcosa, però poi mi chiamarono le ragazze: Prof ha visto il cartello?, siamo noi le fiche, l’abbiamo scritto noi. Dissi solo che si trattava di una sineddoche. La parte per il tutto. Dissi che un tempo era un linguaggio tipicamente maschile. Oggi vedo di no. Ed effettivamente nessuno di quei ragazzi poteva avere il coraggio di un gesto del genere. Troppo annichiliti dalla sicurezza di sé delle fanciulle in fiore.

Sopravvivono più facilmente, però, i ragazzi nella scuola. Almeno per certi versi. Hanno legami di gruppo che le femmine costruiscono molto più difficilmente. Magari fra loro ci sono le “amiche del cuore”, ma niente di paragonabile alla forza collettiva del gruppo maschile. Protettiva anche. Fra le amiche, poi, il gioco è sempre rischioso, quasi come nell’amore. È un continuo sentire di “tradimenti”, di delusioni, di amiche che sembravano amiche ma poi si rivelano altro. E poi le ragazze soffrono la scuola, proprio perché le danno valore. Ci tengono alla valutazione. La caricano di un senso che le segna profondamente. E hanno il terrore di deludere. Non solo il professore – i genitori, gli amici, il ragazzo. Si sentono inadeguate, non all’altezza di quello che dovrebbero essere. Invece per i ragazzi questa dimensione drammatica è (mi sembra) molto minore. L’atteggiamento tipico è limitarsi a galleggiare sulla megamacchina di giudizi e voti, senza farsi troppo male. L’obiettivo massimo è il cinque e mezzo, il mezzo voto che manca alla fine arriva. Prendere di più vorrebbe dire mandare il messaggio che quella roba ti interessa, che ti riguarda e ci tieni. Non sono cose da far pensare al mondo. Loro quello che conta se lo tengono per sé e per fuori. A scuola è come se mandassero le loro controfigure studentesche. Più o meno disciplinate, più o meno obbedienti – almeno nelle scuole non di frontiera come la mia.

E tuttavia anche dal mio punto di vista esiste una questione maschile. Ha a che vedere con la mancanza di parola. Di parole per dirsi. Esprimere quello che si ha dentro. Quello che si è dentro. Il gruppo protegge forse dalle invasioni esigenti del mondo – scuola famiglia ragazze etc – però toglie anche la possibilità di essere in contatto con se stessi nel profondo.

I ragazzi ricorrono spesso, mi sembra, all’ironia intorno alle questioni calde della loro vita. Autoironia anche. Va bene per me. Riconosco qualcosa che ho vissuto e vivo. Però il rischio è che questo strambo pudore, che proibisce di prendersi troppo sul serio, toglie drammaticità ai drammi e regala una sorta di strana leggerezza, sia anche una maniera per sfuggire a se stessi. Le rare volte che mi è capitato di ricevere parole “intime” di ragazzi, è accaduto fuori dello spazio scolastico: email imbarazzate nelle quali si confessavano storie legate alla sofferenza e all’amore. Ma che avevano bisogno di quella distanza, di quella immaterialità per manifestarsi. Una tastiera, un monitor, un mouse. Un clic, invio. E non resta traccia né di inchiostro né di sguardi, né di contatti fisici. C’è insomma una sorta di afasia maschile nel dire se stessi. Almeno mi sembra. Qualcosa che assomiglia a una chiusura verso il mondo esterno e verso la dimensione intima di sé.

Se si parla in classe di violenza sulle donne, violenza maschile, non è facile evitare il bloccarsi del discorso. Che vale anche per gli adulti. Le donne che chiedono un’assunzione di responsabilità, il riconoscimento di un problema che è prima degli uomini che loro. I ragazzi che di fronte a quello che sembra un invito al senso di colpa rispondono, che c’entriamo noi, noi non violentiamo nessuno e non siamo il nostro genere: siamo persone, individui. Non “tutti uguali in quanto uomini”.

Allora il tema che a me sembra possibile proporre ai miei ragazzi è quello di una possibile liberazione. Per gli uomini, come per le donne. Liberazione dai modelli che ci pesano addosso. Che costituiscono un patrimonio di genere da cui viene fuori il peggio della cultura maschile. L’uomo vero che non deve chiedere mai. La mentalità proprietaria per cui una donna è la tua donna e non la puoi perdere. La possiedi, è tua. Non può andarsene. Il che peraltro significa anche che tu senza di lei non sei nulla, non esisti… Il rapporto di potere che entra anche nell’amore e nella vita sessuale. A distruggerla. A impedire il gioco, lo scambio della parti, la creatività e l’invenzione.

Da questo catalogo nero dell’essere maschi, i ragazzi di oggi penso si sentano anche un po’ imprigionati. Una prigione di lusso, riservata a coloro che esercitano il potere. Ma una prigione. Che significa non poter facilmente parlare dei propri sentimenti, confessare le debolezze che si vivono, raccontare quello che si è dentro. Una specie di afasia dell’anima, di analfabetismo dei sentimenti è il prezzo che si paga. Troppo alto. Su questo, su questa possibile liberazione da modelli e miserabili pulsioni proprietarie, secondo me si può lavorare. Per essere uomini in modo diverso.

E forse the times they are a-changin’. Nella mia classe un ragazzo durante l’attivo ha parlato della sua omosessualità, tranquillo e sereno. Perfino un po’ buffo. Come fosse cosa banale. L’ha detto in un modo tale che effettivamente è diventata una cosa lieve, non particolarmente clamorosa. Sono stato con delle ragazze, è stato un casino, ora con il mio amico va molto meglio. Punto.

A me è sembrato l’inizio possibile di una rivoluzione. E di una liberazione.

 

Andrea Bagni

 



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