9 luglio 2012

musica


 

DON PASQUALE

Pochi, fra coloro che hanno assistito alle prime repliche del Don Pasquale di Donizetti in scena in questi giorni alla Scala, si sono resi conto dello spettacolo straordinario che veniva loro offerto, perché sia le locandine che il programma di sala – forse molto opportunamente – non lo hanno messo in grande evidenza. In buca non c’era l’orchestra della Scala, il coro non era quello della Scala, direttore e cantanti non sono stati scelti e ingaggiati “sul mercato”, come si dice, ma tutto lo spettacolo è stato pensato e costruito “altrove”, da una magnifica istituzione milanese molto meno nota di quanto meriterebbe: la “Accademia Arti e Mestieri dello Spettacolo del Teatro alla Scala”, una Fondazione che per scopo si propone di “promuovere, favorire e incrementare l’istruzione, la formazione, l’aggiornamento e l’orientamento di coloro che intendono dedicarsi o già si dedicano ad attività connesse con la cultura, l’arte musicale e lo spettacolo, in particolare la formazione dei quadri artistici, tecnici e manageriali…“.

L’Accademia – sede in via Santa Marta, scuola di Ballo in via Campo Lodigiano e laboratori all’Ansaldo di via Borgognone – ha una propria governance, totalmente autonoma rispetto a quella del Teatro alla Scala, e ha preparato in sostanziale autonomia questo Don Pasquale che il Teatro ha “ospitato”, come fa mediamente una volta l’anno, per promuovere la crescita e la professionalità di allievi, diplomati e docenti. Ha una propria orchestra, un proprio coro e un proprio corpo di ballo che si esibiscono in tutto il mondo grazie ad accordi con le maggiori istituzioni musicali internazionali, e promuove l’attività professionale degli ex allievi facendoli cantare, ballare, suonare e lavorare in tutti i loro ruoli sui palcoscenici più importanti. E a proposito vale la pena ricordare, come esempio di queste capacità professionali, quella giovanissima studentessa georgiana dell’Accademia, Anita Rachvelishvili, cui Barenboim – avendola ascoltata un giorno quasi per caso – offrì nientedimeno che la parte di Carmen per la serata di inaugurazione della stagione 2009 – 2010, e lo strepitoso successo che la premiò.

Poche scuole al mondo hanno la complessità di questa Accademia che prepara non solo artisti ma anche tecnici, costumisti, truccatori, falegnami, elettricisti, direttori di palcoscenico, fino ai “manager” dello spettacolo. E pochi sono i grandi Teatri che accolgono spettacoli creati dalle o nelle scuole e li presentano al proprio pubblico inserendoli in cartellone insieme alle opere di propria produzione. Crediamo che sia una rarità molto “milanese” di cui possiamo andare fieri (anche se, in questo specifico caso, siamo quasi fuori stagione e il pubblico, molto poco esigente, non era quello tradizionale ma per lo più composto da turisti stranieri).

Il Don Pasquale di cui parliamo è una ripresa dello spettacolo che inaugurò la stagione del Maggio Musicale di Firenze nel settembre del 2001, pochi giorni dopo lo shock del crollo delle Torri gemelle di New York; la geniale regia di Jonathan Miller, settantottenne neuropsichiatra e uomo di teatro inglese che vive a Chiswick, ambienta l’opera fra il sei e il settecento (a dire il vero Donizetti l’ha pensata nella Roma papalina dell’ottocento) in una sorta di casa di bambola di vago sapore fiammingo, tre piani nascosti da una facciata che si apre e si chiude proprio come in una casa-giocattolo, sicché coristi e cantanti sono costretti a muoversi in pochi metri quadrati e in una situazione acusticamente di certo non ottimale. Tuttavia il risultato è delizioso e – a dispetto della data di nascita (l’opera è stata scritta in una sola settimana alla fine del 1842) e grazie anche ai bellissimi costumi di Isabella Bywater, anch’essa londinese – la “favoletta” del vecchio e avaro possidente, della sua pretesa di sposare una giovinetta e della colossale burla che gli preparano, sembra andarsi a collocare fra le opere di Molière e di Goldoni.

In una recensione del 1965 Eugenio Montale dice del Don Pasquale che “ha tutti i caratteri convenzionali dell’opera buffa … ma sa incrinare di pianto anche la più gaia risata …” e più avanti che “esistono due modi di eseguire quest’opera: quello che tende alle tinte del pastello e quello che accentua i toni della commedia musicale di tipo mozartiano, l’essenziale è di non contaminare i due diversi modi“. Il direttore d’orchestra – Enrique Mazzola, un italo-spagnolo molto rispettoso del testo musicale – ha scelto decisamente il secondo, senza contaminazioni, e lo fatto percepire molto bene soprattutto in quella “chicca” che è il magnifico coro dei servi.

Interessante la figura di questo direttore d’orchestra che, assecondando le intenzioni della scenografa e del regista, ha letto l’opera come direttamente discendente da Mozart, passando attraverso Rossini ma – come scrive Massimo Mila nella sua “Breve storia della musica” – ignorando totalmente von Gluck, restituendoci con la lievità e con il garbo della sua interpretazione momenti di altissima poesia e di leggiadro incantamento.

Molto bene sia il coro che l’orchestra (che brava quella tromba nel difficile e rischioso assolo della prima parte dell’opera!), bravissimi anche il basso parmigiano Michele Pertusi e il baritono italo-cileno Christian Senn, meno sicura la soprano Pretty Yende – una bella ragazza zulu che, partita dalla foresta sudafricana e dall’apartheid, è meritatamente atterrata sulle scene dei grandi teatri europei, ma deve ancora affinare la voce – e troppo insicuro il tenore georgiano Shalva Mukeria (ma dove diavolo mai son finite le belle voci da tenore?).

In conclusione uno spettacolo da vedere, ricordando che le ultime repliche saranno giovedì 12, venerdì 13 e sabato 14.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 

 



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