26 giugno 2012

SOLDI E POLITICA: TUTTI I NUMERI DEL PD


Settimo: non rubare. Leggi, norme, regole e sanzioni aiutano a disciplinare il rapporto tra denaro e politica, ma non garantiscono nulla. Negli ultimi trentotto anni il legislatore ha approvato sette leggi sul finanziamento dei partiti politici (195/1974; 659/1981; 515/1993; 2/1997; 157/1999; 156/2002; 51/2006), prima della discussione ora in corso al Senato sul disegno di legge 3321.

Le questioni ruotano sempre intorno agli stessi concetti: rimborsare le spese elettorali e supportare le attività dei partiti con contributi pubblici ponderati serve a garantirne l’esistenza e l’autonomia, mentre limitare e rendere pubbliche le donazioni private tutela la libera iniziativa all’interno di un contesto di equilibri tra il potere dell’economia e il potere del popolo. Questo, nel sistema rappresentativo italiano, è regolato attraverso i partiti: “tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale“.

Con celerità pari all’importanza del tema, dopo oltre sessanta anni, la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati sta lavorando in questi mesi a una disciplina organica dei partiti politici. L’articolo 49 della Costituzione non ne definisce infatti la natura giuridica, lo statuto, il funzionamento e le attività, né tanto meno indica i metodi di selezione del personale e dei candidati e le modalità di finanziamento.

In attesa degli sviluppi legislativi, la maggioranza relativa dei cittadini si astiene, mentre una nutrita minoranza prova a passare alla democrazia diretta in salsa telematica (auguri!), rifiutando il finanziamento pubblico abolito dal 90,3% dei votanti al referendum dell’aprile 1993 e reintrodotto sotto forma di contributo per le spese elettorali nel dicembre dello stesso anno dal Parlamento.

Un’altra significativa minoranza prova a coniugare delega e partecipazione nella forma del Partito Democratico, sperimentando da oltre quattro anni pratiche politiche che a volte hanno successo, fanno scuola e rischiano di diventare legge per tutti i soggetti politici. Per quanto riguarda il finanziamento, l’esistenza di uno statuto conforme a principi democratici nella vita interna e di un bilancio pubblico e certificato da una società di revisione indipendente è una buona pratica di trasparenza del PD nazionale e del PD lombardo, mentre il PD metropolitano milanese e alcuni circoli virtuosi pubblicano un rendiconto economico. Guardare da vicino questa situazione può essere utile per individuare alcuni snodi del rapporto tra attività politica e risorse economiche.

Un circolo normale è composto da volontari, non ha molte entrate oltre al tesseramento e ha spese certe di affitto e utenze, oltre a quelle di promozione politica, le quali assorbono e a volte oltrepassano la sua capacità economica: un circolo non riceve contributi economici significativi dai livelli superiori, a meno di volere considerare il pur importante materiale promozionale.

Il PD metropolitano, che conta 11.700 iscritti, 180 circoli e 11 lavoratori stipendiati, ricava il 40% delle sue entrate (700.000 euro nel 2011) dal tesseramento fatto dai circoli, il 40% dai contributi degli eletti, il 10% dal PD lombardo e il 10% da entrate straordinarie, mentre le uscite (869.000 euro) sono imputabili per la metà al personale amministrativo, il 15% per affitti e utenze, il 12% per la campagna amministrativa, il 13% per la festa democratica e il restante 10% per attività di promozione politica.

Ridurre progressivamente il personale e, a partire dal 2012, affidare a terzi il rischio economico della festa democratica, mantenendone la direzione politica, sono le misure adottate per ridurre della spesa, considerando che aumentare le entrate non è facile per il PD metropolitano, che riceve il supporto comunicativo dei livelli superiori in occasione delle grandi campagne ma solo occasionalmente e in maniera discrezionale, riceve qualche contributo economico.

Se la gestione delle campagne e dei tesseramenti è un’attività amministrativa pagata, per la quale forse ci sono troppe persone, l’attività propriamente politica di coordinamento viene invece svolta a titolo volontario, il che incide inevitabilmente sulla qualità dell’offerta o, se si vuole, del servizio politico, nonché sulla vita personale e professionale di chi vi si impegna.

Un discorso simile può valere per il PD regionale, che conta 42.000 iscritti, 980 circoli e 11 lavoratori stipendiati, e nel 2011 ha avuto entrate per 2,1 milioni di euro, per oltre la metà dai rimborsi spese delle elezioni regionali e per oltre il 20% dal PD nazionale e dai consiglieri regionali (ognuno dei quali versa 1000 euro mensili al PD regionale), mentre le uscite sono state pari a 1,7 milioni, di cui il 26% per il personale, oltre il 10% per affitti e utenze, il 13% per attività di promozione e oltre il 30% per attività politica gestita autonomamente dai livelli inferiori.

Naturalmente, armonizzare l’organizzazione del personale delle federazioni provinciali e di quella regionale potrebbe permettere alcune economie di scala e un incremento dell’efficienza nella gestione amministrativa e quindi liberare risorse per il coordinamento politico. Sul fronte dei ricavi si potrebbe inoltre attivare una raccolta fondi da privati degna di tale nome, facendo un notevole salto organizzativo e culturale, con i dovuti accorgimenti contabili, fiscali e legali. Si raccoglierebbe così anche qualche risorsa per la ricerca e per la formazione, considerato che il consigliere e l’assessore normale sviluppa come può, sul campo e strada facendo, le conoscenze amministrative e le competenze gestionali per delineare e implementare il programma politico.

Ma il passaggio fondamentale è quello al livello del PD nazionale, che è nato figlio povero e semi libero alla fine del 2007 da un matrimonio in regime di separazione dei beni e dei debiti. Un genitore, la Margherita, non aveva patrimonio ma aveva una ricca dote di rimborsi elettorali da percepire fino al 2011 a fronte di costi fissi e di personale relativamente bassi: pare che l’utilizzo e il relativo controllo di quei rimborsi non sia stato dei più virtuosi.

L’altro genitore, i Democratici di Sinistra, possedeva un patrimonio di 2400 immobili e la possibilità di ricevere rimborsi elettorali fino al 2011 a fronte di debiti consolidati per 584 milioni e circa 300 dipendenti. Finiti i rimborsi elettorali e ridotto il debito verso le banche a 150 milioni, nel 2012 ai DS rimangono 22 persone e nessun immobile. Cinquantasette fondazioni create ad hoc nel 2008 e controllate da persone di fiducia dei vari gruppi dirigenti dei DS hanno rilevato gli immobili, 1.800 dei quali sono affittati come sedi alle varie articolazioni del PD. Dieci di queste fondazioni si trovano nelle dieci regioni del centro-sud, mentre 47 nelle dieci regioni del centro-nord e cinque in Lombardia. A Milano la fondazione Elio Quercioli gestisce il patrimonio e sostiene la formazione, la ricerca e la memoria della cultura politica della sinistra democratica.

Qualcuno pensa che queste fondazioni dovrebbero, se fosse legalmente possibile, donare questi immobili al PD perché alcuni degli iscritti attuali, gli ex DS, hanno contribuito alla creazione di quel patrimonio; altri controbattono che le donazioni liberali, qualsiasi forma prendano, non sono prestiti e che la legittima decisione presa nel 2007 e nel 2008 dagli organi democratici dei DS non è reversibile. Si tratta nei fatti di trovare i migliori accordi possibili tra le fondazioni, responsabili della gestione immobiliare, e le strutture locali del PD, che possono beneficiare delle attività formative e di ricerca e, in molti casi, anche delle strutture fisiche, seppure non sempre a prezzi di favore.

Per quanto riguarda gli ex-dipendenti dei DS, l’accordo è già stato trovato e molti sono passati al PD nazionale, che conta oggi circa 200 lavoratori, pari a un costo del lavoro di 12 milioni di euro. Altri 8 milioni servono a coprire le sedi, le utenze, le spese amministrative e di rappresentanza e l’attività politica ordinaria.

Considerando i bilanci disponibili del PD nazionale, cioè quelli del triennio 2008-10, i costi fissi sono stimabili intorno ai 20 milioni annuali, le spese elettorali dirette, documentate e dichiarate, intorno ai 16 milioni annuali, oltre ai 22 milioni devoluti alle strutture territoriali; d’altra parte i rimborsi elettorali per le Politiche 2008, le Europee 2009 e le Regionali 2010 sono stati pari a 303 milioni e costituiscono il 94% delle entrate del Partito. In altri termini, per le elezioni sono stati spesi effettivamente 49 milioni, mentre ne sono avanzati 254, di cui 60 sono andati per le spese fisse, 66 alle strutture territoriali e 125 sono diventati patrimonio disponibile.

Se da una parte le strutture territoriali reclamano l’accesso a una parte dei rimborsi spese per le elezioni politiche e quelle europee, che comunque passano dal territorio, pare legittimo lo sconcerto del cittadino contribuente. Le misure proposte nel disegno di legge 3321 sono ancora passibili di miglioramento, sia per quanto riguarda la quantità che la tipologia del contributo. Il rimborso elettorale propriamente detto viene ridotto al 35% dell’attuale, il che avrebbe voluto dire ricevere 100 milioni a fronte di 49 milioni di spese documentate: non ci siamo ancora. Attribuire il restante 15% dell’attuale ammontare in rapporto all’attività di autofinanziamento a sostegno dell’attività ordinaria è un passo avanti nella direzione di una maggiore reciproca autonomia tra i partiti e lo Stato.

Gianluca Bozzia



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