26 giugno 2012

GIARDINI CONDIVISI E ORTI URBANI: UN PROGETTO ANDATO IN PORTO


Giardini in Transito, Giardino degli Aromi, Atelier delle Verdure, Papaveri Rossi, Rape Metropolitane: parrebbero nomi di luoghi di “Alice nel Paese delle Meraviglie” o di una favola nordica che narri di gnomi, fate e creature del bosco. Invece sono solo alcune delle solide realtà (alcune attive già da qualche anno) che stanno contribuendo alla realizzazione di un progetto virtuoso e sostenibile: quello dei Giardini Condivisi. Queste realtà hanno dato e daranno vita a Milano a nuovi giardini, a orti urbani e didattici, sia all’interno di strutture pubbliche (ospedali, scuole, ecc), che in aree abbandonate, nelle quali chiunque potrà intervenire e portare il suo fattivo contributo: basta che sia armato di entusiasmo e di qualche attrezzo del mestiere. In cambio di un nuovo modo di vivere e condividere spazi comuni.

Chi volesse vedere di cosa stiamo parlando, può andare a Precotto, al Giambellino, nei giardini dell’ex ospedale Paolo Pini, in via Montello, a San Cristoforo (lungo il canale scolmatore dell’Olona), in via Terraggio, in viale Monza, nei cortili di molte scuole: in centro o in periferia, in luoghi interclusi e a volte nascosti, oppure aperti e di grande visibilità, piccoli o grandi. Si potrà imbattere in feste all’aperto, concerti, manifestazioni culturali e ludiche, corsi di giardinaggio, picnic, grigliate.

Quelli appena citati sono solo alcuni dei tanti luoghi dove le associazioni hanno già avviato con successo i loro progetti (anche se con caratteristiche di sperimentazione, e dopo avere affrontato non poche difficoltà di ordine burocratico e organizzativo).

Fino a oggi nella nostra città non esisteva alcun regolamento che riguardasse e sostenesse questo genere di iniziative virtuose e, nei casi appena descritti, sia i richiedenti che l’Amministrazione hanno dovuto cercare soluzioni particolari e non già sperimentate per ottenere quanto desiderato. D’ora in poi, finalmente, non sarà più cosi: Milano si è infatti dotata della sua Main Verte (per riprendere il nome dato al primo progetto di questo genere dalla Municipalità di Parigi).

Poco più di sei mesi fa avevo scritto su queste pagine della crescente richiesta dei milanesi di partecipare attivamente alla cura e alla rivalutazione del verde urbano e delle aree degradate, degli spazi inutilizzati; per farne luoghi di attività comuni, di coltivazioni e di svago, di ritrovo e di socializzazione. Quegli spazi, in molti casi già individuati, e alcuni da tempo oggetto di interventi “spontanei”, sono stati visti come un bene comune condivisibile nel quale gli abitanti di un quartiere potessero intervenire attivamente.

L’idea proposta in quel articolo era di dotare Milano, al pari di Parigi, di Londra, ma anche di Roma e di altre città italiane, di uno statuto che, evitando il macchinoso iter dei bandi, consentisse di assegnare ad associazioni o comitati aree degradate, dismesse, poco utilizzate, ma anche aree a verde che per una qualche ragione non fossero al momento fruibili ad altri scopi, al fine di trasformarle in luoghi aperti ai cittadini e ai quartieri.

L’auspicio era quello che il Comune provvedesse a redigere un regolamento in grado di facilitare e di promuovere queste attività, il cui valore educativo e civico è innegabile e meritevole di attenzione e di appoggio. Ebbene, in questi sei mesi (un tempo davvero breve, quando si parla di amministrazioni pubbliche) è avvenuto quello che molti di noi desideravano.

Lavorando in sinergia con le associazioni presenti sul territorio, il Comune si è messo all’opera: è stato creato un tavolo di lavoro al quale hanno partecipato gli Assessorati al Demanio, al Verde, al Decentramento, i relativi settori, il Consiglio di Zona 1, alcune delle Associazioni che promuovono la cultura del verde, della floricultura, dell’orticultura e in genere delle buone pratiche ambientali; si è lavorato sulla bozza di un documento in gran parte desunto da quello dei Jardins Partagés e della Main Verte parigina, adattandolo alla situazione milanese; vi sono stati parecchi incontri durante i quali si sono cercati, e trovati, accordi tra le differenti entità (politiche, associative, amministrative) sulle modalità di assegnazione, sui reciproci diritti e doveri. Si è quindi giunti alla stesura di un testo che contiene le “linee d’indirizzo per il convenzionamento con associazioni senza scopo di lucro per la realizzazione di giardini condivisi su aree di proprietà comunale“.

Tale documento, che è stato oggetto di una Delibera di Giunta votata il 25 maggio 2012, consentirà di non affrontare i limiti burocratici dei bandi pubblici e di dare in uso gratuito alle associazioni o ai comitati di cittadini che ne facciano richiesta, aree che possano diventare giardini condivisi o orti urbani comuni. Il tutto con un meccanismo semplice, agile, veloce, caratterizzato da un proficuo scambio di assunzioni di responsabilità e di offerte di servizi.

In poche parole: le associazioni individueranno un terreno, presenteranno un progetto di sistemazione e di utilizzo, che deve comprendere anche le modalità di apertura al pubblico e al quartiere, i servizi offerti, la manutenzione dell’area, la garanzia di una reale fruibilità e partecipazione della cittadinanza alle attività previste; l’Amministrazione centrale si farà carico dell’eventuale recinzione dell’area e dell’allacciamento alla rete idrica, delle grandi potature degli alberi e, nel caso fosse necessario, della iniziale rimozione di masserizie ingombranti; i Consigli di Zona valuteranno la congruità e l’interesse del progetto, la sua obbligatoria eco-sostenibilità, ed eserciteranno funzione di controllo; infine si procederà alla convenzione, che potrà avere durata variabile, in base al tipo di area prescelta.

Credo che possiamo dirci molto soddisfatti: perché siamo di fronte a un chiaro esempio del nuovo modo di amministrare la città, che sa avvalersi anche del contributo dei cittadini. Un nuovo modo di intendere il concetto di partecipazione e che oltretutto costituisce un modello per analoghi progetti che riguardano l’uso temporaneo di immobili in disuso e dismessi.

E se ciò comporterà un piccolo scossone alle strutture amministrative, notoriamente restie a qualsiasi iniziativa che rischi di alterare ritmi e modi di lavorare ormai da tempo conosciuti e consolidati, ben venga. È anche attraverso questo genere di cambiamenti che si deve passare, se davvero vogliamo cambiare le nostre città e i criteri della loro gestione.

 

Elena Grandi

 



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