20 giugno 2012

EXPO: L’AD SALA E LE SUE PAROLE IN LIBERTÀ


Giovedì scorso, finita la conferenza stampa di ritorno da Parigi dei due commissari straordinari e dell’amministratore delegato di Expo e finita pure l’illustrazione dell’ultima versione del progetto Expo – il vestito nuovo per un corpo irrequieto e che stringe l’anima con i denti – mentre la maggior parte dei cronisti inseguivano il presidente Formigoni e il sindaco Pisapia per chiedere conto al primo degli ultimi scandali e al secondo le ragioni delle sue dimissioni, un residuo drappello si faceva corona attorno all’amministratore delegato Sala ed ecco tre sue affermazioni di allora che richiedono un commento: le gare al massimo ribasso sono le uniche che danno risultati indiscutibili; è impossibile che 20 imprese si mettano d’accordo; non si possono escludere dalle gare le imprese che abbiano in corso procedimenti giudiziari.

Dal mazzo scegliamo la prima: l’indiscutibile risultato delle gare al massimo ribasso. Detta così, quest’affermazione è sacrosanta, tanto è vero che all’estero le pubbliche amministrazioni e i privati e anche da noi i committenti privati scelgono questa fattispecie di gara o optano per l’aborrito appalto a misura. Ma il contesto italiano capovolge tutto. In Italia si appaltano lavori su progettazioni incomplete, frettolose, con descrizioni sommarie e spesso non coincidenti con il progetto, in base ad autorizzazioni giuridicamente discutibili e quindi oggetto di ricorsi, con un’incompleta conoscenza dello stato di fatto dell’area edificabile: il tutto, se non è voluto, è prova d’impreparazione.

La conseguenza: le imprese sanno che lo sconto offerto è una variabile indipendente dai costi reali perché cammin facendo tutto si aggiusta tra perizie di variante, indennizzi vari per difficoltà non indicate nel capitolato d’appalto, adeguamenti in itinere e correzioni del progetto con richiesta di nuovi e diversi compensi. Il risultato? Nella quasi totalità dei casi l’importo finale pagato all’impresa si avvicina per una manciata di euro all’importo che era stato posto a base della gara. Ecco dove finiscono gli sconti favolosi. Il tutto supportato da una legislazione sull’appalto pubblico formalmente ineccepibile ma un colabrodo nella sua folle complessità.

Altre forme di appalto? La situazione non cambia, il difetto sta nel manico, nel sistema complessivo, nell’opacità delle procedure prima e dopo l’aggiudicazione. Con un dettaglio in più. Questa legislazione sembra fatta apposta per perdere tempo prezioso nei labirinti della burocrazia e delle infinite autorizzazioni. Ecco allora la necessità del “deus ex machina”, il commissario, e dei suoi poteri speciali per accorciare le inutili attese. Bertholt Brecht diceva: «Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi» e io aggiungerei «e nemmeno di commissari.». Gli ultimi scandali della sanità regionale dimostrano che non c’è settore della nostra amministrazione che non sia terreno di furbizie e di malaffare. L’amministratore delegato di Expo, che queste cose le sa bene, avrebbe dovuto dire: in questo pasticcio italiano dovete fare affidamento “solo” alla nostra onestà, competenza e correttezza”. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo.

Veniamo ora alla seconda affermazione: è praticamente impossibile che 20 imprese si mettano d’accordo. Potrei citargli casi in cui 100 imprese si sono messe d’accordo ma anche ricordargli che in Italia, come nel resto del mondo, i “cartelli” tra grandi gruppi sono all’ordine del giorno e magari concernono “favori” che esulano dallo specifico di un solo appalto ma riguardano un intero mercato di opere pubbliche e quindi è inutile lasciarsi andare ad affermazioni avventate e poco credibili. Scoprire i cartelli è un’arte, un fatto di fiuto. Un solo piccolo rimedio: frazionare le commesse, anche se costa più fatica al committente, perché su importi minori e quindi alla portata di più imprese i cartelli sono “meno” facili anche se non impossibili.

L’ultima affermazione: non si possono escludere le imprese che siano incappate nelle maglie della giustizia perché, ha aggiunto, ormai per una grande impresa è praticamente inevitabile incapparvi. E questa affermazione, ancorché realistica, rispecchia una situazione anche questa tipicamente italiana: ci saremmo aspettati un tono di rammarico, gli occhi rivolti al cielo, il volto scuro di un pubblico amministratore che si trova, per forza di legge, a dover trattare con chi tanto candido non è. Nulla di tutto questo. Ma qui bisognerebbe andare oltre e dire che la legislazione italiana nel suo ipocrita garantismo commette un grave errore “pedagogico”: se si escludesse per legge, in attesa di giudizio ma a protezione della pubblica amministrazione, chi anche solo è inquisito forse avremmo qualche esclusione immeritata ma un potente deterrente a non incappare nelle maglie della giustizia.

Per finire. I lavori dell’Expo, se si faranno, potranno dotare la nostra città di molte infrastrutture delle quali ha bisogno ma anche se questo non accadesse avrebbe anche potuto essere l’occasione per un’approfondita riflessione su tutta la legislazione che ruota attorno all’appalto pubblico. Non ci sono i soldi per le infrastrutture? Possiamo farci poco o nulla ma la revisione della legislazione non costa nulla: le famose riforme senza spese. Almeno queste facciamole: sempre le stesse da quelle d’antan di Ernesto Rossi e degli “Amici del Mondo” – gli anni a cavallo tra i cinquanta e sessanta – agli ultimi articoli di Tito Boeri. Le riforme “arancione” che partono da Milano.

 

Luca Beltrami Gadola

 



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