19 giugno 2012

arte


 

VENEZIA E L’ARTE CONTEMPORANEA

Che Venezia sia una città unica e ricca di testimonianze storiche, questo si sa. Che abbia anche due super musei di arte contemporanea, forse, si sa un po’ meno. L’impressione, avendoli visitati una calda domenica di giugno, è che le centinaia di turisti, soprattutto stranieri, che scorrazzavano per la città, non fossero sufficientemente informati / interessati alle meraviglie di Palazzo Grassi e di Punta della Dogana. Pochissimi all’interno delle grandi sale i visitatori, che sia aggiravano un po’ spaesati davanti a lavori che possono risultare a volete un po’ ostici e “misteriosi” per i non addetti ai lavori.

Sulla lingua di terra dietro alla chiesa di Santa Maria della Salute spunta l’enorme museo di Punta della Dogana che, come ricorda il nome, occupa lo spazio dell’ex dogana veneziana, in un edifico completamente ristrutturato che mantiene però la struttura e un pizzico del fascino originario. Il museo, aperto nel 2009, progettato dall’archistar Tadao Ando e di proprietà di Francois Pinault, ospita ogni anno una o due mostre di opere della collezione Pinault insieme ad altre appositamente site specific, legate a un tema. L’Elogio del dubbio è l’argomento 2011-2012. Venti artisti e sessanta opere circa per indagare l’identità dell’artista e la sua messa in discussione.

La curatrice Caroline Bourgeois per l’allestimento della mostra ha raccolto opere storiche e produzioni inedite che indagano la dimensione del turbamento artistico, il crollo delle certezze e il legame tra la dimensione intima e personale dell’artista e quella propria dell’opera. Ecco allora che aggirandosi per le immense sale del museo capita di trovarsi davanti il cavallo impagliato di Cattelan, l’enorme Hanging Heart di Jeff Koons, che sembra leggero come una piuma, appeso con nastrini dorati ma del peso reale di oltre una tonnellata; l’inquietante ricostruzione di un bordello anni ’50 di Edward Kienholz; gli omaggi duchampiani di Stuarevant e le installazioni site specific di Tatiana Trouvè che riflettono sul “dentro” e sul “fuori”. Impressionanti gli spazi, impressionanti le dimensioni delle opere così come forti a volte possono esserne i temi, dal grottesco al sesso di McCarthy, dal kitsch di Koons ai video paranoia di Bruce Nauman.

Ma all’origine di Punta della Dogana e della Fondazione Pinault vi fu Palazzo Grassi. Edificio neoclassico con molti passaggi di proprietà, arriva alla FIAT nel 1983, che lo rimette in sesto grazie al restauro di Gae Aulenti, e diventa un importante centro di mostre d’arte. La palla passa poi a Pinault, che acquisisce il palazzo nel 2005 e affida a Tadao Ando la sistemazione e l’adeguamento degli spazi. Ne nasce così uno spazio sobrio e neutrale, pur mantenendo le peculiarità del palazzo, adatto ad accogliere mostre d’arte contemporanea, spesso dedicate alle opere della collezione Pinault. È in questo contesto che nasce la grande mostra intitolata Madame Fisscher, personale dell’artista svizzero Urs Fischer, già nome internazionale e presente anche all’ultima Biennale di Venezia con il suo Ratto delle Sabine e spettatore fatti di cera.

L’esposizione inaugura un ciclo di carattere monografico che darà al pubblico l’opportunità di conoscere e approfondire il lavoro di artisti di rilievo internazionale presenti nella Fondazione. Più di trenta le opere presenti che provengono, oltre che dalla Fondazione Pinault, anche dal prestito di importanti collezionisti. Questa scelta, operata dalla curatrice Caroline Bourgeois, conferma la fama e l’affermazione di un artista sempre più rappresentativo del panorama artistico contemporaneo.

Al centro dell’atrio del palazzo campeggia l’opera da cui prende il titolo la mostra: Madame Fisscher (1999-2000). L’installazione, che riproduce in modo preciso il caotico atelier londinese di Fischer, funge da nucleo creativo e generativo di tutto il percorso espositivo. Scopo della mostra è infatti coinvolgere il visitatore nella creazione della materia artistica. In questo senso i meccanismi in bella vista, come quelli del cagnolino elettrico Keep it Going is a Private Thing (2001), rendono il senso della creazione artistica mediante il movimento e la dinamicità, volutamente in contrasto con la staticità monumentale e la perfezione formale dell’enorme Ballon Dog di Jeff Koons, talmente perfetto da sembrare più finto del finto.

In mostra le opere rispecchiano i temi chiave della poetica di Fischer, il lento e inesorabile scorrere del tempo, evidenziato da meccanismi, movimenti e fluttuazioni delle sue opere. La sua arte è irriverente e citazionistica, chiama in causa Joseph Beuys, Bruce Nauman, l’arte pop e i surrealisti, ma anche il filone duchampiano, con la riappropriazione di oggetti comuni di cui riesce a darne un nuovo e simbolico significato, stravolgendoli rispetto a come eravamo abituati a conoscerli.

Al piano nobile Fischer con Necrophonia, ricostruisce l’atelier dell’artista, con modellini e bozzetti a cui aggiunge, perché no, una modella vera, in carne e ossa, che gira tra le sale o sta sdraiata su un vecchio divano, quasi pronta per farsi ritrarre. Una riflessione tra il corpo dipinto e il corpo reale, sul rapporto e il significato artistico del gesto dell’artista. Una mostra “irriverente” e giocosa, sarcastica e ricca, che dialoga bene con le stanze-installazioni del resto del palazzo, firmate da artisti super star come Penone e Murakami. Venezia come simbolo non solo de passato ma anche della grande importanza dell’arte contemporanea.

Madame Fisscher
Palazzo Grassi, Campo San Samuele 3231 – Fino al 15 luglio 2012 – Orari: tutti i giorni 10.00 – 19.00. Chiuso il martedì.

 

 

BRAMANTINO: UNA MOSTRA AUTOCTONA

Promossa e auto – prodotta dal Comune di Milano, quella di Bramantino potrebbe essere la prima di una serie di mostre rivoluzionarie, non tanto per la novità dei temi quanto per la modalità di produzione. A cura di Giovanni Agosti, Jacopo Stoppa e Marco Tanzi, “Bramantino a Milano” è un’esposizione quasi monografica dei capolavori milanesi di Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino (1480 – 1530), da Vasari, che gli diede questo soprannome in qualità della sua ripresa dei modi di Donato Bramante, pittore e architetto al servizio di Ludovico il Moro.

Che cos’ha di speciale questa mostra, nel cortile della Rocchetta, Castello Sforzesco, fino a settembre? Innanzitutto la gratuità dell’ingresso, il fatto che sia munita di due mini guide gratuite, complete di descrizione e dettagli storico – critici sulle opere in esposizione, e infine, il fatto che è una mostra “a chilometro zero”. Tutte le opere presentate al pubblico provengono infatti da musei e collezioni milanesi: l’Ambrosiana, Brera, la pinacoteca del Castello e la raccolta di stampe Bertarelli.

Questa è la grande novità. In un momento di crisi, in cui spesso le mostre sono di poca sostanza e si è soliti attirare il pubblico con nomi di grandi artisti, senza presentarne però i capolavori, ecco che si è preferito rinunciare ai prestiti esteri, impossibili per mancanza di fondi, e si è voluto puntare e valorizzare solo pezzi cittadini di qualità. Compito facile visto che Milano conserva il nucleo più cospicuo esistente al mondo di opere del Bramantino: dipinti su tavola e tela, arazzi, disegni, affreschi e l’unica architettura da lui realizzata, la Cappella Trivulzio nella chiesa di San Nazaro in Brolo.

L’esposizione si articola nelle due grandi Sale del Castello Sforzesco che ospitano già importanti lavori dell’artista. Nella Sala del Tesoro dove domina l’Argo, il grande affresco realizzato intorno al 1490 e destinato a vegliare sul tesoro sforzesco, sono esposte una trentina di opere, dipinti e disegni, che permettono di capire lo svolgersi della carriere dell’artista bergamasco: dalla Stampa Prevedari, un’incisione in rame che il milanese Bernardo Prevedari realizzò su disegno di Bramante e che influenzò per spazi e monumentalità l’opera di Bramantino, all’Adorazione del Bambino della Pinacoteca Ambrosiana, alla Madonna e Bambino tra i santi Ambrogio e Michele Arcangelo, con i due straordinari scorci dei corpi a terra.

La soprastante Sala della Balla, che accoglie gli arazzi della collezione Trivulzio, acquisiti dal Comune nel 1935, presenta un allestimento completamente nuovo, che dispone i dodici grandi arazzi, dedicati ai mesi e creati per Gian Giacomo Trivulzio, in modo che si leghino tra loro nella sequenza dei gesti e delle stagioni. Un filmato documenta ciò che è non è stato possibile trasportare in mostra: dalla Cappella Trivulzio alle Muse del Castello di Voghera, di cui Bramantino fu responsabile dei dipinti.

Una mostra davvero a costo zero, come dichiara lo stesso Agosti. “Gratis è l’allestimento di Michele De Lucchi, Francesco Dondina ha realizzato gratuitamente l’immagine e il fotografo Mauro Magliani ha lavorato con fondi universitari. La promozione è curata gratuitamente; il Fai e gli Amici di Brera hanno dato una mano per gli incontri e la struttura del Comune si è rimessa ad agire in proprio in maniera eccellente”. Una mostra tutto sommato facile, si gioca in casa, ma che proprio per questo ha un merito in più: promuovere quello che è sotto i nostri occhi tutti i giorni, valorizzarlo e dargli nuovo lustro.

Bramantino a Milano – Castello Sforzesco, Cortile della Rocchetta, Sala del Tesoro – Sala della Balla – fino al 25 settembre orari: da martedì a domenica dalle ore 9.00 alle 17.30. La Sala della Balla, al fine di consentire lo svolgimento di iniziative in programma, il 26 maggio e il 9 giugno chiuderà alle ore 14.00, il 15 giugno resterà chiusa tutto il giorno, mentre il 14 settembre chiuderà alle ore 15.00.

 

 

GLI ELEMENTI DI BRUEGHEL IL VECCHIO

Rizómata è la parola greca che significa “radici”. La usò il filosofo Empedocle, vissuto a metà del V secolo a.C., per indicare i quattro elementi fondamentali da cui sarebbe costituito l’universo intero: il fuoco, l’aria, l’acqua e la terra. Rizómata è anche il titolo della mostra presso la Pinacoteca Ambrosiana, che, dopo più di 200 anni, riunisce quattro capolavori di Brueghel il Vecchio.

I quattro elementi sono dipinti su rame creati tra il 1608 e il 1621, appositamente per il cardinale Federico Borromeo, già fondatore della Biblioteca e della Pinacoteca Ambrosiana. Una amicizia di lunga data, iniziata nel 1592 a Roma, legava questi due grandi personaggi, che si rincontrarono a Milano tre anni dopo, prima che Brueghel tornasse definitivamente ad Anversa.

Questa amicizia ci è nota grazie al carteggio epistolare rimastoci, esposto in mostra, che illustra anche la genesi dei quattro dipinti. Il cardinale Federico, parlando di queste opere, le definiva di gran pregio e fonte di grande stupore, ricolme di dettagli e di meraviglie naturalistiche.

I quattro elementi rimasero in Pinacoteca fino al 1796, quando Napoleone li requisì insieme al Codice Atlantico di Leonardo e al manoscritto appartenuto a Petrarca, con le opere di Virgilio. Non è un caso dunque che, insieme a questi due capolavori assoluti, i francesi si fossero presi anche i quattro preziosi dipinti. Con la caduta di Napoleone si affrontò anche il destino delle opere d’arte trafugate. Canova, emissario italiano, ottenne la restituzione di solamente due dei quattro dipinti: l’allegoria del Fuoco e dell’Acqua, mentre l’Aria e la Terra rimasero a Parigi.

È ancor più di interesse dunque vederli oggi tutti riuniti, uno accanto all’altro, così come si presentarono agli occhi del cardinal Borromeo, in un succedersi organico di suggestioni e dettagli. Nell’allegoria del Fuoco, elemento indomabile, un incendio si sviluppa su un monte, mentre una fucina di fabbri forgia armi e armature lucenti, in una sorta di caotico museo, mentre tutto intorno creature demoniache si librano nell’aria.

L’allegoria della Terra sembra invece una sorta di Paradiso terrestre in cui animali di ogni specie e taglia, predatori e vittime, stanno l’uno accanto all’altro, in una vegetazione rigogliosa e fiorita. E in effetti questa opera dialoga anche con gli altri due dipinti fioriti di Brueghel, esposti sempre in Pinacoteca: i Fiori in un bicchiere e il Vaso di fiori, esposti nella sala VII.

L’allegoria dell’Acqua ci mostra invece un paesaggio quasi lacustre, con pesci, crostacei e molluschi, in cui una vecchia divinità è seduta accanto ad un giovane, con conchiglie che sgorgano acque fresche. L’arcobaleno richiama un mondo primordiale, quasi l’alba della Creazione. L’Aria è l’allegoria che ha in sé il più forte elemento mitologico, con al centro una dea vestita solo da un drappo rosso, circondata da una miriade di volatili e da puttini che giocano con strumenti astronomici. Questo fu l’ultimo dei quattro elementi ad essere dipinto ed anche quello che più, disse il cardinal Federico, lo aveva perfuso tutto di gioia.

Piccole enciclopedie del tempo, quasi “miniate” con la precisione e l’amore per i dettagli tipici dei pittori fiamminghi. “Quando il cardinal Federico Borromeo commissionò a Jan Brueghel i dipinti pensava alla Natura come luogo dove era possibile leggere l’impronta del Creatore – spiega il curatore Marco Navoni – Anzi, dalla Creazione era possibile e doveroso risalire al Creatore stesso, secondo quanto afferma san Paolo, all’inizio della lettera ai Romani, dove si legge: «Dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l’intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinit໓.

Ecco perché queste allegorie, di sapore un po’ profano ma commissionate da un uomo di Chiesa, risultano così dense di significato ed erano così amate dal cardinale stesso. Un’occasione per vederle riunite, fino al 1 luglio, prima che vengano separate di nuovo, così come già le vicende napoleoniche imposero.

Rizómata Terra, Aria, Acqua, Fuoco – Il Ritorno di Brueghel all’Ambrosiana Pinacoteca Ambrosiana. Fino al 1 luglio 2012 Orari: Da Martedì a Domenica dalle 10.00 alle 19.00 Prezzi: Solo mostra RIZÓMATA: Intero: 5 €, Under 14: 0 € (accompagnati da adulto) Mostra RIZÓMATA + Pinacoteca + Mostra Leonardo Codice Atlantico: Intero: 15 €, Ridotto: 10 €

 

 

ASPETTANDO IL MUSEO: GLI ARTISTI DI ACACIA

ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea, è un’associazione privata che riunisce al suo interno collezionisti e amanti d’arte, e che, nel suo insieme, incarna una sorta di super collezionista, attivo e attento alle tendenze artistiche. La promozione e il sostegno dell’arte e del lavoro di giovani artisti italiani è tra gli scopi principali dell’associazione, ed è per questo motivo che, fin dalle sue origini, nove anni fa, il nucleo di opere comprate dai singoli collezionisti e messo a disposizione dell’associazione ha un grande e mirabile scopo: la creazione di una collezione di opere d’arte contemporanea da esporre a Milano nel futuro e presto auspicabile museo di arte contemporanea.

Ecco dunque nascere la seconda edizione della mostra, esposta a Palazzo Reale, comprendente circa trenta opere di artisti internazionali e di primissimo piano: Mario Airò (vincitore della prima edizione del Premio ACACIA), Rosa Barba, Vanessa Beecroft, Gianni Caravaggio, Maurizio Cattelan, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Francesco Gennari, Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora, Adrian Paci, Paola Pivi, Ettore Spalletti, Grazia Toderi, Luca Trevisani, Marcella Vanzo, Nico Vascellari e Francesco Vezzoli. Opere d’arte che esplorano, com’è tipico dell’arte contemporanea, tutti i medium e i supporti possibili: dalla fotografia ai video, dalla pittura alla scultura fino all’installazione.

Aprendo al pubblico la nostra raccolta vogliamo certamente proporre un evento culturale strettamente connesso al tempo che stiamo vivendo ma, nello stesso momento, iniziare un dialogo attivo e propositivo, perché l’arte contemporanea non rimanga appannaggio di pochi, bensì sia promossa, conservata e tutelata“. Questo il proposito di Gemma de Angelis Testa, presidente e fondatrice di ACACIA.

Una sorta di mecenatismo collettivo dunque, tutto a favore della città, che permette da una parte di comprare arte per il futuro museo, e dall’altra la conoscenza e la promozione dell’arte e degli artisti più importanti del panorama contemporaneo, con l’obiettivo di essere “capace di rispecchiare la contemporaneità e le sue dinamiche, un polo divulgativo in grado di trasmettere al suo pubblico formato da vari livelli culturali, la conoscenza dell’arte“, conclude De Angelis Testa.

La mostra presenta anche per la prima volta al pubblico il lavoro di Rosa Barba, vincitrice del Premio ACACIA 2012: “Theory in order to Shed Light“. I suoi lavori, definiti sculture filmiche, sono il mezzo con cui l’artista ama esprimersi, attraverso l’uso del video che viene smembrato nei suoi elementi strutturali: parole, musica, immagini e luce. La parola è la parte che più interessa Rosa Barba: frasi intere o testi vengono proiettati sulle pareti, accompagnati dal commento di voci fuori campo o dalla musica, utilizzando vecchi proiettori cinematografici collegati a strumentazioni di moderna tecnologia.

In attesa dei grandi lavori, anche museali, per l’Expo 2015, accontentiamoci per ora di avere un assaggio d’arte di quello che vedremo in più adeguata sede.

Gli artisti italiani della Collezione ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea Palazzo Reale fino al 24 giugno. Ingresso gratuito Lunedì: 14.30_19.30 Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica: 9.30_19.30 Giovedì e Sabato: 9.30_22.30

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org


 



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