29 maggio 2012

PGT: UN COMMENTO A CALDO


Probabilmente alle persone normali poco importa sapere che martedì scorso sia stata approvata in Consiglio Comunale la delibera della giunta Pisapia sul “nuovo” Piano di Governo del Territorio. Ai cittadini in tempi di crisi e di vacche magre interessa sapere quanto saranno “munti” dalla nuova IMU piuttosto che conoscere le quantità del nuovo indice di utilizzazione territoriale. Temo che fare il giochino del “trova le differenze” tra il PGT Pisapia e quello Moratti sia una cosa che appassiona più noi addetti ai lavori che i pragmatici e operosi milanesi. In realtà il tema dello strumento che governerà le trasformazioni urbane nel prossimo futuro a Milano è un tema collettivo e riguarda tutti quelli che abitano, lavorano o vivono gran parte del loro tempo nella nostra città.

Mi permetto di fare alcune riflessioni preliminari e doverose. Il commento al PGT viene fatto sulla base del testo messo a disposizione dall’ex assessore Masseroli, che avrà avuto la sua convenienza politica nel farlo, tramite il sito affaritaliani.it. Ci sono ragioni di diritto e il rispetto ineccepibile della norma se il Comune non ha reso accessibile il testo, ma forse un po’ di informale trasparenza non avrebbe guastato, soprattutto ricordando il precedente del documento riservato di qualche mese fa. In compenso veniamo a sapere che “Il Consiglio comunale ha approvato la delibera del Piano di Governo del Territorio con 27 voti a favore e uno contrario”, omettendo il fatto che l’opposizione non ha partecipato al voto. Dato che il Consiglio è composto da 48 membri e 27+1 fa 28, ne deduco che c’erano altri 20 voti, probabilmente in larga maggioranza contrari. Ma tant’è, questa è materia da ufficio stampa.

Atra questione di carattere generale: se il PGT di Milano è uno strumento “difficile” (e uso questo aggettivo nell’accezione con cui eufemisticamente si definiscono certi ragazzi) la colpa non è dei suo genitori, naturali (Moratti – Masseroli) o adottivi (Pisapia – De Cesaris) che siano. Il peccato originale è a monte e risiede nella Legge Regionale 12/2005. È questa legge ad aver creato uno strumento che alla prova dei fatti fa rimpiangere per molti versi il “vecchio” PRG. Il tema sarebbe assai lungo e complesso, ma cito solo un dato per esemplificare (e –spero- semplificare) il concetto. Per conoscere le possibilità di trasformazione di un qualunque lotto, col PRG, bastava consultare la cartografia di piano e individuata nella zonizzazione la porzione di territorio interessata, si trattava di leggere le modalità di intervento previste dall’articolo delle Norme Tecniche di Attuazione, corrispondente al retino sulla carta. Una tavola, una norma. Il PGT, essendo composto da tre documenti (Documento di Piano, Piano dei Servizi e Piano delle Regole), con diversi gradi di prescrittività, obbliga il cittadino (o il tecnico) alla consultazione comparata dei tre strumenti, al fine di trarne una faticosa e spesso incompleta sintesi. Tre tipologie di cartografia, tre norme tecniche e parecchi allegati. Contorsione e complicazione, altro che deregulation e auspicata semplificazione normativa.

La convinzione che la complessità della città si governi attraverso la complessità delle norme è una presunzione tipica di noi tecnici del settore (architetti e urbanisti), e anche della politica. Ma prometto (o è una minaccia?) di tornare sull’argomento in un’altra occasione.

Una prima veloce lettura del testo diffuso da Masseroli, e che ritengo sia quello andato in votazione, mi conferma che nulla si è fatto per semplificare un piano che nella sua prima stesura era composto da migliaia di pagine, tante tavole e una mole apprezzabile di allegati. Mi pare che al contrario, dovendo lavorare e modificare radicalmente uno schema imbastito da altri, si sia reso più complesso e di difficile lettura il corpo delle norme (e non mi riferisco ai testi barrati e multicolori, che attengono alla fase di revisione e che spariranno nella stesura definitiva). Uno dei pochi meriti del precedente PGT risiedeva nella linearità (anche se a volte eccessiva) dell’apparato normativo. Questa nuova versione mi sembra risentire di una scrittura molto burocratica, cavillosa, avvocatesca. Come se la gestione dei fatti urbani (per dirla con Aldo Rossi) e delle loro trasformazioni fosse solo materia legale e non riguardasse la comprensione delle componenti spaziali della città, la consapevolezza delle sue dinamiche morfologiche e la conoscenza della sua storia.

Veniamo ora alla sostanza. Al giochino delle differenze. La prima cosa che balza agli occhi è che sono stati tagliati gli indici territoriali. Sia quello degli ATU (nel Documento di Piano) che quello unico (nel Piano delle Regole). Il primo è stato dimezzato da 0,65 a 0,35 mq/mq, il secondo scende da 0,5 a 0,35 mq/mq. Quindi in teoria si potrà costruire meno. Inoltre è sparito il concetto di densificazione e il relativo coefficiente. Non esistono più gli ATIPG (Ambiti di Trasformazione di Interesse Pubblico e Generale) e anche gli ATP (Ambiti di Trasformazione Periurbani) sono stati fortemente ridimensionati. Fin qui nulla di clamoroso o inatteso. La scelta di limitare i nuovi volumi realizzabili era stata annunciata fin dagli inizi come uno degli obbiettivi di questa revisione del piano. Una scelta legittima e assolutamente politica. E quindi non desidero entrare nel merito.

Ci sono però dei punti nelle nuove norme che mi lasciano perplesso. Per esempio nel DDP si dice all’art. 4 che se per vari motivi anche negli ATP vi saranno diritti edificatori, questi potranno essere trasferiti nel Tessuto Urbano Consolidato (TUC), ma non negli ATU – Ambiti di Trasformazione Urbana – (che non si possono densificare). A mio parere sarebbe stato meglio lasciare questa seconda opzione dato che le aree degli ATU si prestano in generale meglio ad accogliere densità edilizie maggiori rispetto al TUC.

Ma è con l’art. 5 che la faccenda si fa problematica. Spero di aver capito male io, ma temo che si sia peggiorato il meccanismo di garanzia per l’edilizia sociale invece di migliorarlo. Cercate di seguirmi perché è complicato. Ho spesso detto (in articoli e convegni) che nelle Norme Tecniche di Attuazione degli ATU c’era un inghippo che riguardava la quota parte di edilizia sociale, per cui lo 0,35 mq/mq obbligatorio in realtà si riduceva a un misero 0,1 mq/mq, per come era scritta la norma dato che il restante 0,25 mq/mq poteva essere convertito in “funzioni diverse, che siano compensate dalla realizzazione di opere di interesse pubblico, individuate in sede di pianificazione attuativa, da realizzarsi anche all’esterno dell’ambito di trasformazione interessato, purché a esso funzionalmente collegate“.

Il nuovo PGT giustamente cassa questa parte della norma e la riscrive sia riducendo l’Ut da 0,65 a 0,35 mq/mq sia modulando diversamente la quota di edilizia sociale, che rimane però la stessa del PGT Moratti (0,35 mq/mq). In pratica lo 0,35 si articola in a) un massimo di 0,20 mq/mq per edilizia convenzionata o agevolata o co-housing, b) un massimo di 0,10 mq/mq per edilizia in locazione convenzionata e c) un minimo di 0,05 mq/mq per edilizia sociale in locazione da realizzarsi in presenza di fondi pubblici, che però può essere monetizzato o trasformato in edilizia come al punto a). Se non siete fuggiti di fronte a cotante contorsioni aspettate ancora un attimo. Per come è scritta la norma, provo a pensare all’ipotesi più sfavorevole, perché a pensare male… diceva un tale. Dato che i punti a) e b) prevedono un massimo, ma non un minimo io posso anche fare 0 mq/mq di a) e b) e concentrare tutti gli 0,35 mq/mq al punto c) che prevede un minimo ma non un massimo. Peccato che il punto c) sia monetizzabile. E quindi niente più edilizia sociale. Solo tanti soldini nelle casse del Comune.

Sono io che penso male e sono malizioso? Magari mi sono perso nella complessità della norma. E già questo potrebbe essere un indice di norma fatta male o poco chiara. O forse c’è un errore materiale? Perché non vorrei che qualcuno fosse portato a pensare che una giunta di sinistra abbia volontariamente redatto una norma che permette di bypassare l’obbligo dell’edilizia sociale. Qui si è fatto peggio della Moratti, se non ho compreso male. Sperem

Termino qui, per il momento. Ma segnalo che il tema della città metropolitana non mi pare più presente rispetto alla versione precedente. Lo stesso discorso si può estendere alle attività produttive come ha chiaramente spiegato il professor Boatti la settimana scorsa. La mia prima impressione a caldo è che il “nuovo” PGT rischi di essere peggiore di quello vecchio proprio perché si forma attraverso correzioni anche forzate dell’impianto precedente. Non basta dire che il piano prevede meno metri quadri per dire che è migliore. Di più. Di fronte a variazioni non solo quantitative ma anche qualitative mi chiedo se non sia il caso di riaprire la fase delle osservazioni. È forse un piano che nasce a rischio di ricorsi per vizi formali? Considerata la professione del sindaco e dell’assessore all’urbanistica, sarebbe un bello smacco.

Ribadisco quanto già espresso in altre occasioni. Sarebbe stato più opportuno rendere effettivo il PGT Moratti per poi procedere a una variante sostanziale, piuttosto che partorire frettolosamente questo che a prima impressione sembra un po’ pasticciato.

 

Pietro Cafiero

 

 



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