15 maggio 2012

FORMIGONI E LE CATENE MILANESI


Per una volta gli uomini della precedente maggioranza e quelli della sua ineffabile giunta guardano di là dei confini della città: guardano con preoccupazione all’esito dei ballottaggi di domenica prossima, in qualche modo arbitri dei loro destini. Per primi sanno che i rispettivi leader nazionali cercano di dar da intendere che queste consultazioni hanno poco o nessun valore politico perché si tratta di una consultazione amministrativa e per di più su di un campione non vasto di elettori: sanno che mentono e comunque nel caso di Milano la situazione è molto diversa.

Questo ballottaggio inciderà fortemente sul futuro della Regione e il suo risultato in un senso o nell’altro per Milano è determinante. Il ballottaggio probabilmente confermerà il crollo del centro destra e dunque o Formigoni prenderà atto che, di là degli scandali e dagli esiti giudiziari degli stessi, non dispone più sul territorio di una reale maggioranza e si dimetterà o, indesiderato missionario di una fede tradita, terrà duro nell’illusione che il tempo faccia dimenticare le sue colpe, quelle sole alle quali attribuisce il suo calo di popolarità, in buona compagnia con Bossi e Berlusconi.

Questi ultimi almeno una sorta di passo indietro o, come con sottile perfidia dicono i dirigenti del Pdl, un passo a lato, l’hanno fatto tentando di salvare l’immagine politica dei loro partiti: Formigoni no e dunque probabilmente tenterà ogni possibile resistenza con la conseguenza di travolgere l’intero schieramento che l’ha sin qui sostenuto. Non capisce che se il movimento Comunione e Liberazione è pronto a perdonare i peccati della carne, come sempre ha fatto la Chiesa, la gestione affaristica della politica, quella non la perdona nessuno, a meno che non ne sia l’ipocrita beneficiario.

Questa resistenza per la Lombardia è un dramma perché se prima poco si muoveva ora nulla si muove più, nulla di quel poco che resta dopo la gestione della sanità, che assorbe quasi metà del bilancio regionale ed è inutile su questa aggiungere una sola parola: è solo bene che faccia luce la magistratura e anche la Guardia di Finanza, ormai giustamente dedite a scoprire le origini dei troppo facili arricchimenti. Il danno per Milano di questa cieca resistenza è chiaro: l’ultima legge urbanistica regionale dovrebbe essere ampiamente riformata per accompagnare un nuovo disegno della città che guardi in faccia i bisogni senza cullarsi in ipocriti appelli alla libertà di iniziativa; il piano dei trasporti dovrebbe far tesoro dei bisogni dei pendolari invece di badare ad accorpamenti e fusioni di dubbia utilità se non per i nuovi gestori; il territorio che comprende Milano ha bisogno di un piano delle acque organico; l’edilizia sociale, che riguarda soprattutto Milano, deve essere totalmente ripensata e soprattutto finanziata con meccanismi semplici e non frutto di fantasie di ingegneria finanziaria mescolata a speculazione edilizia; la politica ambientale deve trovare nella Regione il punto di sintesi di tutti i problemi disseminati nel territorio.

Senza una nuova giunta, senza un nuovo presidente nulla di tutto questo e di quel che la nuova situazione economico sociale richiede succederà mai. I pensieri formigoniani sono altrove, pur di restare in sella fa gli occhi dolci ai grillini, ipotizza un “partito del nord”, corteggia come sempre i moderati. Idee, vecchie e nuove, in libertà: catene per i milanesi.

 

Luca Beltrami Gadola


 



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