15 maggio 2012

teatro


 

INCENDI

di Wajdi Mouawad

traduzione di Caterina Gozzi adattamento Francesca Garolla, Regia Renzo Martinelli

con Federica Fracassi, Francesco Meola, Valentina Picello, Roberto Rustioni, Libero Stelluti produzione Teatro I

 

Wajdi Mouawad, poco più che quarantenne, è uno degli autori più interessanti degli ultimi anni e Incendi è un testo che riesce come pochi altri a coniugare l’attuale e l’atavico.

Attuale perché la vicenda è quella di due gemelli cui la madre (Federica Fracassi) ha mentito circa l’identità del padre facendolo credere morto in guerra, tacendo i ripetuti stupri di cui, in realtà, è stata vittima. Lo scenario è quello di una guerra civile contemporanea, come ce ne sono tante ad esempio in Africa o in Medioriente (Mouawad è canadese ma è nato in Libano), mai nominata ma universale nel suo essere simile a tutte le altre. La madre dei due gemelli, soprannominata “la donna che canta” nel carcere dove veniva tenuta prigioniera e seviziata, dopo essersi trasferita all’estero e aver lì fatto crescere i figli, dopo la morte lascia loro – tramite un notaio/amico – due lettere da consegnare rispettivamente al fratello (nato dall’unico vero amore della donna, precedente alla guerra) e al padre, che i ragazzi credono morto ma in realtà si scoprirà poi essere prigioniero per i crimini commessi durante il conflitto.

Atavico perché in un contesto così contemporaneo rivive la tragedia classica di Edipo. Ma qui Edipo non è il Re di Tebe ma un Re del fucile, un cecchino, reso pazzo da una lunga e senza risultati ricerca della madre.

La storia, complessa ma chiara, si svela poco a poco, mescolando il presente in cui si svolge la vicenda con pezzi del passato che i protagonisti cercano. Il montaggio è quasi cinematografico e alterna scene realistiche, monologhi che rompono la quarta parete, clip musicali, telefonate, lettere e testimonianze rese di fronte a una giuria. La disposizione delle sedie, non casualmente, fa arrivare gli attori a recitare fino in mezzo al pubblico, e il notaio (Roberto Rustioni) – figura a metà fra un personaggio e un narratore/intrattenitore – facendo battute e giochi di parole che suscitano il sorriso proprio perché (volutamente) non fanno ridere, invita gli spettatori a immedesimarsi (“entrate, entrate”) e allo stesso tempo a non farlo (“restate lì, anch’io resterei lì”); come se si potesse essere contemporaneamente dentro e fuori a una vicenda, protagonisti e antagonisti, padre e fratello: un’ambivalenza che supera le facili dicotomie e che è il tema conduttore di tutto lo spettacolo.

L’allestimento, nonostante i neon che sembrano un po’ prestati dal precedente spettacolo (Lotta di negro e cani), è adeguato a far risaltare la vicenda e riesce a essere evocativo senza perdere la durezza della realtà cui si riferisce; una cattedra che diventa una trincea, nasi da clown scagliati contro il pubblico, palloncini che si alzano o restano a mezz’aria, tende che mostrano o velano e molta attenzione ai suoni, con gli abituali microfoni di Martinelli e musiche pop coinvolgenti che nel finale arrivano a essere toccanti. Gli attori crescono progressivamente nella qualità dell’interpretazione così come cresce lo spettacolo, fino ad arrivare a un finale sorprendente ma estremamente fondato, crudo e allo stesso tempo poetico.

Teatro I dal 2 al 14 maggio.

 

In scena

Al Teatro Out Off fino al 3 giugno L’Adalgisa di Carlo Emilio Gadda, regia di Lorenzo Loris.

All’Elfo
Puccini fino al 3 giugno Rosso, di John Logan, regia di Francesco Frongia.

Al Piccolo Teatro Grassi fino al 27 maggio Pro patria di Ascanio Celestini.

Al Piccolo Teatro Studio dal 15 al 20 maggio Un angelo sopra Bagdad di Judith Thompson, regia di Marco Carinti.

 

 

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi

rubriche@arcipelagomilano.org

 



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