19 marzo 2009

L’ARTE DEL BEL PAESE. DALLA RIFORMA GELMINI AI BRONZI DI RIACE


In questi ultimi tempi di scuola si parla moltissimo, a proposito e a sproposito, talvolta con cognizione di causa, ma più spesso dimostrando una sostanziale mancanza di conoscenza della realtà complessa e difficile quale oggi è la scuola nella varietà degli aspetti e dei problemi che in essa si sperimentano quotidianamente.

In effetti la questione della formazione delle giovani generazioni dovrebbe davvero essere posta al centro dell’attenzione di tutti, e particolarmente al centro delle istituzioni preposte a indicare i principi ideali che la reggono e a cui è rimessa la sua organizzazione pratica.  Non senza fondamento da tempo s’invoca per la scuola una riforma necessaria al suo svecchiamento e capace di fornire una preparazione intelligente, aperta ed efficace, moderna e articolata, come oggi è richiesto.

Questa volta, vogliamo considerare un solo aspetto di questo grande e complesso tema della formazione scolastica e precisamente quello che riguarda l’educazione all’arte, a uno cioè di quelle realtà che costituiscono una delle peculiarità specifiche, oltre che una delle migliori risorse del nostro paese. Lo sa bene anche il nostro Presidente del Consiglio che annuncia di voler portare in Sardegna, in occasione del prossimo G 20, nientemeno che i Bronzi di Riace, facendoli spostare da Reggio Calabria dove sono conservati da quando il loro rinvenimento nel 1972 costituì una delle maggiori scoperte archeologiche del secolo. In Sardegna, alla Maddalena, essi dovrebbero costituire il segno del vanto, dell’orgoglio, della consapevolezza dello straordinario patrimonio artistico italiano. In realtà l’operazione appare terrificante perché, in quel contesto, denunzia l’uso improprio di tale patrimonio, ridotto alla stregua di un elemento d’arredo, unico, prestigioso ma elemento d’arredo come un magnifico addobbo floreale.

Che c’entra questo con la scuola e con l’insegnamento della storia dell’arte?

La scuola è necessariamente il luogo dove i giovani sono chiamati ad accostarsi all’arte, dove imparano a conoscerla nella sua complessità e grandezza, dove vengono guidati a decodificare i suoi messaggi, dove possono acquisire la consapevolezza del suo valore, del suo significato, della sua attualità, dove possono essere educati nel gusto e, in definitiva, aiutati a crescere in una dimensione più ampia e profonda.

Di questa certezza, cioè del valore altamente educativo dell’arte, non vi è traccia nel progetto di riforma Gelmini. Esiste, infatti, in circolazione un documento che contiene la bozza dei nuovi curricula dei licei con tanto di quadri orario delle diverse discipline; così si scopre che la Storia dell’arte, già assolutamente e imperdonabilmente sottovalutata nell’attuale ordinamento, è destinata a perdere ulteriormente d’importanza, a essere esautorata di qualunque valore agli occhi degli studenti e delle loro famiglie. Nel Liceo artistico, dove è ovviamente materia fondamentale, con la riforma l’insegnamento perderà ore secondo gli indirizzi, ma ciò che sconcerta è che al Liceo classico la disciplina verrà insegnata in un’unica ora settimanale, a partire dalla IV ginnasio. Alle proteste che già si stanno esprimendo il ministro Gelmini risponderà che le proteste sono pretestuose e aprioristiche perché Lei, la Signora, in realtà la promessa di aumentare le ore di Storia dell’arte l’ha mantenuta. Infatti, attualmente essa si studia solo nel triennio, un’ora nei primi due anni e due ore nel terzo anno.

Già, ma in realtà gli operatori della scuola sanno che qualsiasi materia svolta nello spazio di una sola ora la settimana non ha alcuna reale efficacia didattica e nessun peso all’interno del curriculum. Sarà, per esempio, impossibile fornire una preparazione efficace per sostenere l’esame di Stato o, come si diceva, di Maturità. Oggi, bene o male, in due ore settimanali di lezione, rivolte a studenti cresciuti e maturati nel corso del quinquennio, si riesce a imbastire una didattica efficace e soddisfacente, si riesce a motivare gli studenti, a suscitare in loro un interesse reale che, tra l’altro, per molti sfocia nella scelta universitaria, tanto più che uno dei corsi di laurea attualmente più appetibili è proprio quello di Beni Culturali.

Nel nuovo liceo sarà ben difficile che tutto ciò avvenga e così la formazione umanistica sarà ulteriormente carente in uno dei suoi aspetti più affascinanti e formativi. Per capire il Rinascimento, ad esempio, la conoscenza di Leonardo o di Michelangelo e Raffaello non è forse importante almeno tanto quanto la conoscenza dell’Ariosto? E per capire la complessità del Novecento non è utile approfondire lo studio delle Avanguardie, anziché accennarle rapidamente senza entrare in merito alle questioni e senza capire davvero cosa significa “rottura del linguaggio”e apertura alla modernità, e ai suoi molteplici, contradditori, talvolta incomprensibili esiti nel contemporaneo?

Forse non è importante, forse la storia dell’arte non è altro che un nobile passatempo per signore o per evoluti pensionati, che vi trovano un’ottima alternativa a tanto tempo libero. E che pena sentire due giovani italiani, presumibilmente universitari, in fila per vedere l’esposizione delle due “Cena in Emmaus” di Caravaggio a Brera, che si domandano: ” ma di che epoca è Caravaggio?” Caravaggio, non uno sconosciuto artista minore, noto solo agli addetti ai lavori. Probabilmente la loro curiosità, suscitata più dal sentito dire che da un interesse motivato, non  vale più del costo dei due biglietti staccati all’ingresso, vale perché contribuisce a far cassa.

Non si disdegna quest’aspetto necessario, ma si rileva che, oggi, solo questo è considerato, mentre s’ignorano le ragioni profonde dell’arte in cui si riflette la nostra stessa identità di popolo e di Paese.

Ma come si possono considerare queste altre ragioni dell’arte, se ormai di essa prevale la capacità di contribuire ad elevare l’immagine del principe? Il caso del Bronzi di Riace insegna. Per altro non ci sarebbe nulla di male nello spostarli alla Maddalena, se questa operazione si accompagnasse a un progetto culturale serio, in cui i temi della ricerca e della valorizzazione si coniugassero in una prospettiva nuova e moderna. Cominciando per l’appunto dalla scuola, dove si pongono le premesse del futuro.

Anna Maria Carminati



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