30 aprile 2012

musica


CONTAMINAZIONI

Strano periodo, questo, per gli amanti della musica classica. Una serie di delusioni e di sconcerti (è curioso che i concerti possano essere … sconcertanti!) che sembrano essere stati programmati apposta, l’uno dopo l’altro, per confondere le idee a noi poveri spettatori.

Cominciamo dal concerto che Alexei Volodin – pianista trentacinquenne nato a San Pietroburgo e cresciuto a Mosca, con una gran carriera alle spalle, per la quinta volta ospite delle Serate Musicali – ha tenuto lunedì 16 al Conservatorio. Nel primo tempo erano previsti i quattro Improvvisi di Schubert opera 90 e la Sonatan. 8 indo minore opera 13, la famosa “Patetica” di Beethoven. A sorpresa, invece del pianista, si è presentato sul palcoscenico (provenendo come si usa dal fondo della platea) un attore in costume settecentesco, sembrava un personaggio goldoniano, che inopinatamente ha declamato il toccante e arcinoto Testamento di Heiligenstadt di Beethoven! A parte il fatto che lo ha “declamato” e non sussurrato o mormorato, come si dovrebbe fare con la tragica e dolorosa confessione dell’incipiente sordità, e dunque dell’angoscia e della paura del futuro per un compositore condannato alla più invalidante delle menomazioni; ma che senso aveva? Era una introduzione agli improvvisi schubertiani? Cosa c’entrava con quella loro solarità, soavità, dolcezza? Mah!

Sarà perché questo exploit ci ha messo di cattivo umore, sarà perché forse il pietroburghese era in pessima forma, fatto sta che la successiva performance al pianoforte ci è sembrata tremendamente sciatta: sia Schubert, con una lettura molto scolastica, sia la povera Patetica che nei due tempi esterni è stata eseguita a velocità tanto vertiginosa da non riuscire a capire che cosa stessimo ascoltando, e nell’Adagio cantabile senza il necessario pathos. Della seconda parte del concerto, ovviamente, non possiamo raccontarvi alcunché perché abbiamo abbandonato la partita.

Qualche giorno dopo, non avendo trovato posto alla Scala, abbiamo voluto provare ad ascoltare e a “vedere” in diretta il concerto della Filarmonica in un cinematografo milanese: ci sembrava un’idea eccellente, colta, “democratica”, insomma da provare. Mal ce ne incolse. Prima di tutto abbiamo dovuto sorbirci una lunga introduzione e un ancor più lungo intervallo (35 minuti) di banali chiacchiere e di sciocca pubblicità a opera dello sponsor dell’Orchestra (ve lo immaginate un banchiere o bancario che vanta l’internazionalità della sua banca mettendola a confronto con l’internazionalità del “brand” – così ha detto – della Scala?) ma poi, anziché farci concentrare sulla musica, i violenti e aggressivi primi piani ci hanno costretto a contare i peli delle mani del primo clarinetto, le perle di sudore sulla fronte del direttore, gli anelli e i curiosi braccialetti di violinisti e trombettisti … tremendo.

Il concerto era dedicato a Gershwin (suite da Porgy and Bess, Un americano a Parigi, il Concerto in fa) e vedeva Riccardo Chailly sul podio con Stefano Bollani al pianoforte. Anche qui, a parte il fatto che l’esecuzione – e specialmente il Concerto in fa – non è stata un capolavoro (Bollani non ci sembrava perfettamente a suo agio e Chailly molto più romantico e meno spigoloso e scanzonato del dovuto), ci chiediamo che senso avessero tutti quei bis squisitamente jazzistici – sia con l’orchestra, sia per pianoforte solo, soprattutto con il pianoforte accompagnato da un contrabbasso e una improvvisata batteria (uno dei bis era un arrangiamento di Les feuilles mortes…) – se non la manifestazione di puro virtuosismo ed esibizionismo uniti a una grande voglia di dissacrare la sala che li ospitava, il cosiddetto “Tempio” della musica!

Il quale “Tempio”, due giorni dopo, ha ospitato un concerto straordinario organizzato dalla Lega Italiana per la Lottacontro i Tumori intitolato “A Tribute to Ray Charles”  che vedeva sul palcoscenico due cantanti jazz, Jocelyn B. Smith e Kevin Mahogany, e due orchestre – la WDR Big Band di Colonia (cinque trombe, cinque saxofoni, quattro tromboni, piano, chitarra, basso e batteria) e la Mahler Chamber Orchestra (il cui ruolo, apparentemente superfluo, sembrava essere soprattutto quello di garantire una sorta di … “classicità” all’operazione) – diretti dal compositore jazzista italo-americano Michael Abene.

Evidentemente la Scalaha deciso di épater le bourgeois e ritiene sia giunto il momento di cambiare il proprio status da Tempio della musica in Fiera della musica! Ha voglia di dire, Chailly, che lui odia gli steccati e le divisioni ideologiche e che la musica, pesante o leggera, alta o bassa, è sempre musica e va goduta tutta nello stesso modo: dovremmo prenderlo in parola e candidarlo a dirigere l’orchestra del prossimo Festival di San Remo …

Per non rischiare la patente di bacchettoni ricordiamo che nella storia della Scala vi sono state molte contaminazioni con altri generi musicali, accolte con grande simpatia perché vette altissime nel loro genere e sempre di qualità eccezionali (chi non ricorda i Swingle Singers o Friedrich Gulda?) e non ci è apparso che in queste ultime due serate i presupposti e i risultati fossero tali da giustificare l’improprio accesso al Tempio: ci è sembrato piuttosto che Gershwin sia stato usato come alibi per farvi entrare dei clandestini.

 

Musica per una settimana

*mercoledì 2 al Conservatorio (Società dei Concerti) il pianista Grigory Sokolov eseguela Suite in re di Rameaum la sonata in la minore K. 310 di Mozart, Le Variazioni su un tema di Händel opera 24 e i Tre Intermezzi opera 117 di Beethoven

*giovedì 3, venerdì 4 e domenica 6, all’Auditorium, l’Orchestra Verdi diretta Claus Peter Flor eseguela Sinfonia da Requiem di Britten ela Sinfonia n.9 in re minore di Bruckner

*giovedì 3 al Teatro Dal Verme l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali diretta da Daniele Rustioni, con i violinisti Sonig Tchakerian e Davide de Ascaniis, esegue il Concerto per violino e orchestra K. 216 e il Concertone per due violini e orchestra K. 109 di Mozart, seguiti dalla Sinfonia n. 104 di Haydn

*domenica 6 (prova aperta) e lunedì 7 alla Scala concerto della Filarmonica diretto da Andrea Battistoni con Alexander Romanowsky al pianoforte in “Ja sam” sonata per orchestra e coro di voci bianche, prima esecuzione assoluta, di Matteo Franceschini e – di Rachmaninoff – Variazioni su un tema di Paganini e Sinfonia n.2 in mi minore opera 27

*lunedì 7 alla Scala, alle ore 15 il “Quartetto d’archi della Scala” in un programma che prevede “Crisantemi” di Puccini, il Quintetto n. 9 (con Gianpaolo Bandini alla chitarra) e il Quartetto n. 4 di Boccherini, un Quartetto di Nicola Casagrande in prima esecuzione mondiale e il “Quartetto dorico” di Respighi

*lunedì 7 al Conservatorio (Serate Musicali) la violinista Hilary Hahn e il pianista Cory Smithe eseguono un programma inusuale in cui a Beethoven (Sonata n.2 in la maggiore opera 12), Bach (Sonata per violino solo n.2 in la minore) e Brahms (Sonatensatz in do minore) aggiungono opere di Satoh Somei, Whitehead Gillian, Moravec Paul, Higdon Jennifer, Davidson Tina, Dorman Avner, Lam Bun-Ching e Rautavaara Einojuhani

*martedì 8 al Conservatorio (Società del Quartetto) il quartetto francese “Voce”, finalista dell’ultimo Premio Borciani, eseguirà quattro Quartetti rispettivamente di Mozart (K.589 in si bemolle maggiore), Smetana (n.1 in mi minore), Ligeti (n. 1, Metamorfosi notturne) e Ravel (il ben noto “quartetto per archi”  in fa maggiore)

*martedì 8 all’Aula Magna dell’Università Statale i Cameristi dell’Orchestra eseguono il Quintetto per archi in do maggiore D. 956 di Schubert e il Sestetto n.1 in si bemolle maggiore opera 18 di Brahms

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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