24 aprile 2012

IL SUD AL NORD, PERCORSI TRA LE PERIFERIE DI MILANO


La urlano capitale morale d’Italia. Ne danno conto come se bastasse a se stessa.

Di Lei ricordiamo la moda, le guglie del Duomo e i Navigli da cartolina. Più in fondo, nascosti da qualche parte tra invidia e lacrime, facciamo scorrere le traiettorie delle monete lanciate davanti all’hotel Raphael a Roma, nascondendoci dietro i fiumi di denaro, politica, anime scadute davanti a un aperitivo da bere.

Quanto viene dimenticato, ancora e ancora, è tuttavia il suono morbido che la collega al suo trascorso contadino; ne porta i segni, se aguzzi lo sguardo. Ai fianchi della città, là dove cominciano le sue diversità genuine, corrono ancora i campi, i canali d’irrogazione che sono un mondo: un altro.

Crescere qui, come succede ai molti che s’incanalano poi verso la cartolina del Castello Sforzesco, o piuttosto Piazza Affari, significa vivere uno spazio liminale ed essere a tutti gli effetti un confine incarnato.

Difatti impari presto il sapore del campo aperto, dove il grigiore meneghino si scontra con la risaia, viso a viso. Al calare dell’estate aumentano i camion, tutti spediti e decisi a far fagotto dei cereali; e poi industria, mercato, consumo. Lì, ai bordi dei bordi, si stagliano anime comunque diverse: scorgi aironi che portano il nome della cenere, creaturine smeraldo a gracidare senza posa; è tutto un concerto di umori e anime animali, qualcosa che non siamo abituati a riconoscere tra i fiumi di metallo e cemento della città.

Eppure quei limiti vivono con noi, ci si affiancano senza che ce ne accorgiamo. Vale in misura maggiore per questi dintorni, appunto, quelli che chiamiamo comunemente periferia senza conoscerne appieno la portata. A sud della metropoli portano per esempio i nomi di Barona, Chiesa Rossa, Ronchetto, Lodovico il Moro, Tre Castelli, Gratosoglio, Missaglia… Alcuni, durante l’esplosione architettonica degli anni Settanta tra case popolari e cooperative, sono stati definiti quartieri-dormitorio. Tutti sono guardati e vissuti come luoghi al margine, per cultura e varia umanità.

Al contrario, nati e cresciuti da queste parti, se foste tornati dopo anni d’esilio volontario sareste rimasti stupiti; stupiti dal cambiamento che non ha portato alcuna diversità reale, sconcertati da una ventata di freschezza obliqua che li ha resi sempre più simili a centri residenziali indipendenti.

L’autonomia, è questa la matrice principale delle terre ospitate dalla periferia; vivono il loro ruolo, e di quanti le abitano, come una sorta di realtà federale. L’immaginario ospitato è poi cannibalizzato dalla città vera e propria e dal suo centro. Come vettori dall’andamento inquieto, così si muovono quanti sono entrati a far parte della collettività: un pugno di giovani rapper (Marracash, ad esempio), qualche militante ideologicamente armato (Cesare Battisti, il più famoso, controverso, già nel Collettivo Autonomo della Barona), schiere di manodopera pseudo – criminale griffata dall’ultima moda e dallo slang metropolitano.

A sfuggire davvero, però, è la centralità nemmeno troppo metaforica di questo territorio. Forse è soltanto una proiezione, o il veicolo di preoccupazioni che hanno a che fare con la mobilità delle automobili e gli snodi del traffico pendolare a Famagosta. Non è dato averne certezza.

Fatto sta che, in materia paesaggistica, le periferie a sud di Milano vivono un rapporto controverso tra il verde e l’eco grigia della città. Controverso per chi non le abita, ovviamente. Viene da ridere a pensare la faccia degli ospiti in attesa del peggiore cliché meneghino: la vorrebbero tutta un susseguirsi di nebbia, smog, passi accelerati e sguardi torvi. Poi, in arrivo al Parco Sud, trovano ancora le cascine, con le loro aie, i muggiti decisi che si alzano al cielo; e ancora le schiere di conigli o lepri che siano, mai così numerosi quanto negli ultimi anni; il furgone del latte crudo, i gruppi di acquisto solidale direttamente dal campo; i pettirossi, qualche raro rapace, i gufi e le immancabili nutrie. Il Lambro e l’Olona che sovrintendono il tutto.

In fondo basta salire su di una bicicletta, seguire un itinerario a caso. Molto probabilmente vi si spalancheranno davanti a occhi e orecchie spettacoli inattesi, fugaci visioni di una Milano che non è più se non da queste parti; costruita sull’abbondanza delle acque, con un ciclo ben definito a scandire naturalmente la vita di chi la abita. Non fatevi ingannare.

Là dove il gallo canta ancora con l’aurora e, d’estate, il gracidio delle rane rima con il frinire dei grilli, lì comincia e termina questa periferia scapestrata. È un confine, un laboratorio di forme e società; centri sociali, nuovi ritrovi giovanili, atelier e loft sono le coordinate più fresche.

Il resto è nient’altro che un ricordo nostalgico da portarti dentro quando ormai non le appartieni più.

 

Daniele Ferriero

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