24 aprile 2012

L’INSOSTENIBILE FRENESIA DELL’ESSERE (MILANESE)


Sui vagoni dei treni

sui binari della metro

sulla banchina del tram

io scrivo il tuo nome.

 

Sugli schermi dello smartphone

Sull’sms che sto inviando

Sulla tastiera del netbook

Io scrivo il tuo nome.

 

Sono nato per conoscerti

Per nominarti

Frenesia.

 

È quello che avrebbe scritto Paul Eluard se si fosse chiamato Paolo Colombo e fosse vissuto nella Milano contemporanea. Il motivo? Lo spiegò Benjamin Franklin fin dal Settecento: “Il tempo è denaro”.

Già, il tempo, artefice di una nuova “mutazione antropologica”, per dirla con P. P. Pasolini, che investe ogni persona che viva (a) Milano, anche solo come pendolare nelle ore di studio o di lavoro. Che al posto dell’angelo custode, ha deciso di convivere con la dea della modernità: Frenesia, nata a Milano a seguito di uno speed date fra Tempo e Produzione.

Apri gli occhi. Strade trafficate con macchine in doppia, se non tripla fila perché tanto: “Devo solo passare in lavanderia, ci metto un secondo”.

Nelle stazioni del treno e della metropolitana, folle di pendolari corrono instancabilmente. A prescindere dal fatto che ci sia un mezzo ad attenderli o che siano in ritardo. Corse lungo le scale per raggiungere il mitico binario della metropolitana. Che non c’è e neppure sta arrivando. Follia isolata? E allora perché ti stai precipitando giù per le scale con gli loro? Dinamiche di gruppo? Sì: dei milanesi. Al quale ogni milanese di nascita o d’adozione finisce prima o poi per conformarsi irrimediabilmente.

L’impulso irrefrenabile di accalcarsi sui mezzi pubblici: non sia mai di prendere il successivo (che magari è meno pieno): il lavoro chiama. E il milanese risponde. E una volta “tranquillo” sui mezzi pubblici, eccolo trafficare con il PC portatile, l’I Pad e lo smartphone: bisogna essere sempre reperibili, sempre pronti a scattare ancora, a organizzare, a pianificare, a decidere…

L’horror vacui: artigiano che tesse trame a base di agende “bloccate” e persone stressate, stritolate da impegni organizzati con le loro stesse mani. Del resto, è Milano la capitale economica dell’Italia. E perdere tempo è costoso.

E’ anche una delle “capitali dei single“: del resto, dopo giornate così stressanti, chi ha tempo e voglia di frequentare continuativamente con qualcuno, impegnandosi magari a costruire qualcosa insieme?

La stessa frenesia che investe ogni relazione in generale. Che non permette di coltivare appieno neanche quelle con gli amici, visti di sfuggita tra un appuntamento di lavoro e l’altro. L’uomo blasè simmeliano si è ormai trasferito a Milano. Mantenendo la sua indifferenza verso le persone e le cose, dovuta a un eccesso di stimoli: un’iperinflazione che finisce per svalutarli irrimediabilmente, come prescrivono le ferree leggi economiche.

Emozioni ai minimi sindacali. I mendicanti in piazza Duomo sono ormai divenuti un naturale complemento del luogo, che non suscitano più meraviglia dei piccioni, da ex viaggiatori a novelli mangiatori.

Ed è ancora in piazza Duomo che svetta l’omonimo simbolo di Milano, muto portavoce della sua frenesia produttivistica. Quel Duomo mai completato, mai fermo: se le costruzioni ex novo sono terminate da anni, i lavori di restauro non sono mai cessati. Tant’è che un lavoro mai finito è proverbialmente paragonato alla Cattedrale, a riprova del suo essere simbolo della città: un cantiere a cielo aperto, dove i milanesi corrono per costruirsi una vita, ingaggiando una sempiterna lotta contro il tempo che non basta mai.

Corsa a ostacoli in cui eccellono le donne, il cui tacchettio delle decolleté riesce a correre più veloce del ticchettio degli orologi. Secondo un’indagine condotta dalla “Camera di Commercio di Milano” nel luglio 2010, la giornata di una donna dura ventisette ore: a furia di multitasking, le milanesi riescono infatti a “guadagnarsi” tre ore di lavoro in più al giorno rispetto ai colleghi maschi, e le più “brave” addirittura cinque.

Del resto, lo dice anche il saggio Qohelet che: “Per tutto c’é un momento e un tempo per ogni azione, sotto il sole.” Esisterà mica un tempo per fermarsi? “Ma va a ciapà i ratt, chè l’è mej!”

 

Valentina Magri

 

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