24 aprile 2012

“MILANO E I SUOI NAVIGLI”


Ho una domanda che oramai credo non si faccia più nessuno per forza d’abitudine. Ma la darsena quando la risistemano? Il fallimento del project financing è stato drammatico, ma i danni chi li paga? Tutti che rompono i coglioni con Milano capitale della moda e poi ci ritroviamo nella zona principe per la movida una specie di palude con tanto di pescatori e capannucce di rom. E della serie le “facce come il culo”, hanno anche il coraggio di mettere un cartellone gigantesco in mezzo con le foto d’epoca. Mettete una foto di com’era cinque anni fa prima che la distruggeste! A ogni modo questo è solo un piccolo sfogo. Il problema che questa volta mi preme affrontare è la questione navigli. I navigli furono chiusi nei primi del novecento per varie ragioni, sia di urbanistica modernista, sia perché erano talmente pieni di topi e schifezze varie da costituire una specie di fogna a cielo aperto. Non voglio lanciarmi in considerazioni arcadiche e/o nostalgiche ma fare qualche piccola considerazione pratica.

La riapertura dei navigli è resa difficile dal fatto che siano stati completamente riempiti di cemento e non semplicemente “ricoperti”. Il che ne rende la riapertura fine a se stessa una grandissima follia. Tuttavia le necessità di una città cambiano e, se affrontate con coraggio, possono tramutarsi nella molla per una vera rivoluzione. Il concetto è quello usato la volta scorsa per la Scala. Cambiare prospettiva si può, è difficile ma si deve fare. Vent’anni dopo Pillitteri, dopo le scellerate marce indietro di quel contadino prestato alla politica che fu Formentini, dopo la geniale trovata da impiegati della politica che è l’ecopass e la criminogena legge regionale sul divieto di circolazione dei diesel vecchi (con varie eccezioni tra cui: macchina con più di tre persone a bordo, macchina di prete e auto blu), si ricomincia a parlare finalmente di chiusura del centro. Allo stesso tempo è, per poco purtroppo, nata la questione dei raggi verdi e delle piste ciclabili: della serie, okay il bike sharing, ma senza piste ciclabili è inutile e anzi solo pericoloso (per i ciclisti soprattutto). Si cominciano a progettare nuove metropolitane e, se non fosse per l’idea da dementi del tunnel sotto Milano, ci sarebbe da stare allegri. Su tutto questo aleggia l’ombra poco rassicurante delle tangenti per il PGT e della spartizione equa degli appalti cittadini tra le solite tre aziende. Detto questo viene da pensare: ma se si mettessero tutte insieme queste questioni e si pensasse che a Milano serve un progetto urbanistico coerente, che siamo nella possibilità di reinventarci una città e che trasformarla da provincia della provincia a città europea di livello è difficile ma fattibile?

Cosa c’entrano i navigli? Lo dico per provocazione ma mica tanto. Nell’ottica di una chiusura alle auto del centro cittadino, dell’obbligo di nuovi scavi per la metropolitana, della chiusura al traffico di alcune arterie per trasformarle in giardini e piste ciclabili, insomma nell’ottica di una rivoluzione urbanistica della città perché non riaprire alcune tratte di naviglio, senza fermarsi alla semplice pedonalizzazione degli stessi? Progetto costoso e un po’ folle si dirà. Ma in termini di turismo, di immagine della città, di rivalutazione di certe aree, di abbattimento dell’inquinamento? I navigli potrebbero essere un mezzo alternativo di trasporto e non solo. Si parla da sempre negli ultimi tempi di via Padova e del suo dramma perpetuo. Ma se si usasse il naviglio della Martesana per trasformarlo da fogna a cielo aperto in centro di divertimento come i suoi fratelli maggiori nel sud di Milano? Non sarebbe un utile e meraviglioso strumento di rivalutazione di una zona altrimenti destinata al degrado più totale senza alcuno sbocco per la riqualificazione?

Tutto ciò è difficile. Ma possiamo andare avanti a inventare piste ciclabili finte tanto per dire che le abbiamo? Se non ci credete fatevi Melchiorre Gioia in bici o via Padova: nel primo caso si va nel controviale, nel secondo sul marciapiede in mezzo ai pedoni. Possiamo andare avanti a far sì che l’unica progettualità urbanistica della città sia “tu mi porti la strada e l’allacciamento ed io ti riempio la zona di casettine e le tasche di mazzette”? Dovrà ridursi sempre a questa follia il modello urbanistico milanese?

 

Luciano Siffredi

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