10 aprile 2012

CHI È SENZA CERCHIO MAGICO SCAGLI LA PRIMA PIETRA


Come sempre da Emma Bonino ci possiamo aspettare le analisi più lucide sullo stato di salute della classe politica italiana. Anche questa volta sul caso Lega ha detto quello che altri non hanno detto ma soprattutto ha giustamente osservato che tutti i proclami e le prese di posizione sull’urgenza di una riforma dei partiti e del loro finanziamento sono tardivi e degni di Alice nel paese delle meraviglie: se non fosse scoppiato il caso Bossi e poco prima il caso Lusi, tutto sarebbe andato avanti tranquillamente, con buona pace degli altri leader di partito e delle segreterie al completo.

Un caso clamoroso di omertà di un intero Parlamento. Il caso Lega ha colpito più profondamente l’opinione pubblica non solo perché riguarda il partito che dell’onestà in politica aveva fatto la sua bandiera ma perché ha rivelato anche qui quello che tutti sapevano ma nessuno diceva: la drammatica influenza del cosiddetto “cerchio magico”. Per la sua cultura e per le svelate passioni esoteriche della famiglia del capo, il “cerchio magico” è particolarmente adatto al leghismo, nel suo significato di forma esteriore della sfera magica all’interno della quale gli officianti sarebbero al sicuro da qualsiasi agente esterno.

Ai nostri giorni l’agente esterno più temuto è la Giustizia. Ma questo non è solo della Lega. Aveva un suo cerchio magico don Verzè al San Raffaele e, chi più chi meno, un cerchio magico l’hanno tutti i leader politici, nessuno escluso, cerchio magico che spesso coincide con il gruppo dei cosiddetti “colonnelli”. I cerchi magici ci sono sempre stati e di solito hanno portato al crollo del leader che vi si è rinchiuso, per molte ragioni la prima delle quali è che così come protegge il capo e i suoi adepti dalle insidie del resto del mondo, nello stesso tempo dal mondo lo isola e questo isolamento lo rende incapace di capire la realtà e dunque, nel caso di un uomo politico, ne tarpa le capacità di governo. Il cerchio magico è incompatibile con la democrazia, anzi ne è la negazione, anche se molti di coloro che ne sono prigionieri si proclamano veri e unici difensori della democrazia stessa.

Ma lasciamo per un attimo i cerchi magici e i loro esoterismi per guardare in faccia la realtà di oggi. Di due cose si parla, di finanziamento dei partiti e di vita democratica degli stessi: sono due problemi uniti come fratelli siamesi. Mentre il governo Monti naviga in acque sempre più agitate sembra che, sollevati dal peso di far parte organicamente a un governo, i partiti politici abbiano il tempo di pensare alla propria riforma. Li aspettiamo al varco per vedere cosa proporranno al Paese e quanta autocritica sapranno fare, quanta reale democrazia sapranno introdurre nei propri statuti, quanta tutela delle minoranze interne e come pensano di distribuire al loro interno le risorse economiche che bene o male arriveranno loro da una nuova auspicata legge di finanziamento che faccia giustizia dell’ipocrisia del “rimborso delle spese elettorali”.

Non bastano bilanci “trasparenti” ma anche indicazioni legislative sull’ammissibilità delle spese. Saprà la classe politica cambiare le sue vecchie abitudini? Assisteremo a un’altra sceneggiata del tipo come ti eludo lo spirito di un referendum vinto (quello sull’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti)?

 

Luca Beltrami Gadola



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