3 aprile 2012

PGT, PEREQUAZIONE E BORSA DEI DIRITTI EDIFICATORI


Il nuovo Consiglio comunale di Milano eletto nel mese di maggio 2011 ha revocato la deliberazione con cui il precedente Consiglio comunale aveva approvato il Piano di Governo del Territorio, deliberazione che però non era stata pubblicata cosicché il PGT non era entrato in vigore; il procedimento è quindi regredito alla decisione sulle osservazioni presentate al piano adottato e alla conseguente approvazione del PGT. Nell’imminenza della ripresa dei lavori del Consiglio comunale sul nuovo strumento urbanistico si intensifica anche il dibattito su un aspetto fondamentale del PGT adottato, quello della perequazione urbanistica, che presenta aspetti problematici ben illustrati da Roberto Camagni, “PGT: un uso improprio della perequazione“.

In vista del nuovo PGT, Osmi Borsa immobiliare, Azienda speciale della Camera di Commercio di Milano, ha promosso una ricerca (M. De Carli, a cura di, La libera circolazione dei diritti edificatori nel comune di Milano e altrove. Urbanistica, diritto civile, diritto amministrativo, fiscalità, catasto, servizi al mercato, Franco Angeli, 2012) che è stata presentata il 22 marzo 2012, per iniziativa congiunta della stessa Osmi e del Consiglio notarile di Milano, in un convegno dedicato alla Borsa dei diritti edificatori. Verso un mercato immobiliare trasparente per la circolazione dei diritti. Il convegno ha mostrato vari problemi connessi alla realizzazione di un vero mercato dei diritti edificatori e la necessità che il dibattito prosegua con molti approfondimenti, previa attenta riflessione sui risultati della ricerca.

In effetti la perequazione prevista dal PGT adottato è profondamente innovativa rispetto ad altre forme di perequazione urbanistica sperimentate già da tempo. Si tratta infatti di una perequazione estesa (quasi all’intero territorio del Comune, più esattamente agli ambiti del Tessuto Urbano Consolidato) o sconfinata, e non limitata a specifici ambiti soggetti a pianificazione attuativa (perequazione di comparto). Si tratta peraltro di una perequazione che poggia su basi normative molto esili: due disposizioni della legge regionale sul governo del territorio e la recente modifica del codice civile che ha assoggettato a trascrizione i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori, comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale (l.r. 12/2005, art. 11, commi 2 e 4; d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito in l. 12 luglio 2011, n. 106, art. 5, comma 3, che ha modificato l’art. 2643 del codice civile). Per il resto la perequazione si fonda esclusivamente sullo stesso PGT.

Si esaminano qui, sulla sola base della presentazione della ricerca, tre aspetti problematici di un possibile futuro mercato dei diritti edificatori.

Nel convegno è stato rilevato che la mancanza di una specifica disciplina tributaria dei contratti di trasferimento dei diritti edificatori costituisce un serio ostacolo allo sviluppo di un vero mercato. Un’ipotesi è la tassazione di questi contratti con lo stesso regime ordinario dei contratti di compravendita immobiliare, quindi con un’aliquota complessiva dell’undici per cento (otto per cento per l’imposta di registro; due per cento per l’imposta ipotecaria; un per cento per l’imposta catastale). In ogni caso, dopo il richiamo a questa ipotesi che non ha fondamento normativo espresso, è stata avanzata la richiesta di una tassazione con aliquote non espropriative, sia pure senza precisare quando un’aliquota debba essere considerata espropriativa. Al riguardo si osserva che l’aliquota ordinaria dell’Iva è il ventuno per cento, di prossima elevazione al ventitré per cento, e che l’aliquota del primo scaglione dell’Irpef, per i redditi fino a 15.000 euro, è ugualmente il ventitré per cento. Dunque per i due più importanti tributi, rispettivamente sui consumi e sul reddito, con amplissima platea di contribuenti, è stabilita un’aliquota più che doppia rispetto all’attuale tassazione dei contratti immobiliari. Si può osservare inoltre che la base imponibile ha natura assai diversa da quelle dell’Iva e dell’Irpef, trattandosi di operazioni su diritti, ma più esattamente su rendite derivanti dalla pianificazione, senza impiego di capitali e senza alcun concorso del lavoro umano. E poiché il governo attualmente in carica ha inserito tra i suoi obiettivi il contrasto delle rendite (cominciando da tassisti, farmacisti e notai), sembra di doversi attendere che esso, per coerenza, prosegua anche con un’equa tassazione dei contratti di trasferimento dei diritti edificatori.

Un secondo problema chiaramente emerso nel convegno è quella della peculiarità dei diritti edificatori, difficilmente assimilabili ai beni mobili e ai valori mobiliari oggetto di scambio nelle borse. Le aree sono per definizione infungibili, giacché ciascuna di esse ha caratteristiche sue proprie che la contraddistinguono. Il valore dei diritti edificatori dipende molto largamente dalle caratteristiche specifiche delle aree in cui essi vengano sfruttati, cioè dalle caratteristiche delle aree di atterraggio, secondo il lessico ormai diffuso (che induce a parlare simmetricamente di aree di decollo e di volo per il trasferimento dei diritti). Perché si realizzi un mercato dei diritti edificatori veramente trasparente non è sufficiente che il Comune stabilisca la quantità complessiva di diritti edificatori (che dipende dall’indice di utilizzazione territoriale prescelto e dall’estensione complessiva delle aree cui esso viene assegnato), ma occorre valutare anche lo specifico vantaggio per le singole aree di atterraggio. Si dovrebbe quindi escludere l’acquisto di diritti edificatori senza contestuale precisa individuazione delle aree di atterraggio.

Il terzo problema emerso nel convegno è quello della stabilità dei diritti edificatori, premessa indispensabile per lo sviluppo di un vero mercato. Il tema è stato accennato in modo problematico, nella consapevolezza che le decisioni amministrative, comprese quelle relative di pianificazione urbanistica, sono sempre suscettibili di revoca o modificazione per sopraggiunti motivi di pubblico interesse. È stata però anche prospettata in modo deciso, e senza alternative, una soluzione: i diritti edificatori dovrebbero intendersi attribuiti dal PGT a titolo definitivo e quindi, in caso di modifica del sistema perequativo previsto dal PGT, dovrebbero costituire oggetto di espropriazione con corresponsione di indennizzo.

Questa soluzione è molto discutibile. L’indice di utilizzazione territoriale è attribuito dal PGT adottato a titolo gratuito, senza alcun corrispettivo a carico dei proprietari dei terreni. Questi ultimi saranno chiamati a un sacrificio economico solo nel caso in cui decidano di utilizzare effettivamente il diritto edificatorio (proprio o acquistato), in attuazione del normale e civilissimo criterio, stabilito in forma generale trentacinque anni fa dalla legge Bucalossi, per cui ogni attività comportante trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale partecipa agli oneri relativi. Nel convegno non è stato chiarito perché mai il Comune dovrebbe garantire, in caso di variazione del PGT, di riacquisire mediante espropriazione, quindi a titolo oneroso e a spese della collettività, diritti edificatori attribuiti a singoli proprietari a titolo gratuito: l’unica giustificazione data è che questa garanzia è indispensabile per far veramente decollare (sempre secondo il lessico aviatorio del tema) il mercato del trasferimento dei diritti edificatori.

Sul punto va ricordato un caposaldo del nostro ordinamento, risalente anch’esso alla legge Bucalossi. Il diritto di proprietà dei suoli legalmente non comprende il diritto di edificarli o lo comprende in misura minima. In assenza di piano urbanistico comunale all’interno dei centri edificati non sono consentite nuove costruzioni, ma solo interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e di risanamento conservativo di singole unità immobiliari esistenti; fuori del perimetro dei centri abitati l’indice di densità ammesso per le nuove costruzioni è quello, molto basso, di 0,03 metri cubi per metro quadro. Questa disciplina, oggi contenuta nel testo unico in materia edilizia, è derogabile dalle leggi regionali solo in senso più restrittivo e ha carattere non esclusivamente urbanistico: si tratta di limiti che attengono alla definizione del contenuto del diritto di proprietà e che quindi rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. Solo la pianificazione urbanistica comunale può creare edificabilità maggiore di quella legale: ma la pianificazione comporta esercizio di poteri pubblici, senza oneri a carico dei proprietari e senza accordi o convenzioni che implichino negoziazione, scambio di consenso tra le parti e quindi stabilità dell’assetto dei conseguenti rapporti.

La pretesa che, in caso di variazione del PGT, i diritti edificatori già attribuiti ma non effettivamente utilizzati costituiscano oggetto di espropriazione con conseguente corresponsione di indennizzo, implica il riconoscimento al Comune del potere di variare in via semplicemente amministrativa il regime del diritto di proprietà che invece è soggetto, per Costituzione, a riserva di legge statale.

D’altra parte la perequazione sconfinata prevista dalla legge regionale sul governo del territorio non è obbligatoria, ma costituisce una semplice facoltà. Il Comune che non abbia fatto ricorso alla perequazione potrà sempre mutare, nel rispetto della disciplina del governo del territorio, le previsioni di edificabilità che non si siano ancora realizzate senza alcun indennizzo; bisognerebbe spiegare perché mai ciò dovrebbe invece essere precluso al Comune che abbia fatto ricorso alla perequazione sconfinata, benché nulla al riguardo sia espressamente stabilito dalla legge.

Il dibattito sulla perequazione certamente proseguirà e probabilmente avrà sviluppi nella legislazione statale non soltanto per gli aspetti fiscali, ma anche per quelli relativi al catasto e all’incidenza dei diritti edificatori sui beni del demanio. Ma si prospetta l’esigenza che in questo dibattito sia recuperato un valore fondamentale e irrinunciabile. La perequazione è soltanto uno strumento volto a creare indifferenza dei proprietari rispetto alle scelte di pianificazione e quindi a evitare indebite pressioni sugli amministratori pubblici. La perequazione peraltro, secondo i modi in cui concretamente regolata dal PGT, non dovrebbe comportare una indebita riduzione del ruolo del Comune nel governo del territorio, non dovrebbe produrre nuove sperequazioni e in ogni caso non deve mutarsi in un fine dell’amministrazione.

Il fine del PGT non è la perequazione, che non può essere compiutamente realizzata in via amministrativa ma richiede invece sicuramente nuova disciplina normativa statale. Il fine del PGT è invece il miglior assetto del territorio comunale per la creazione di un ambiente urbano equilibrato, gradevole, con soddisfacenti rapporti tra spazi edificati privati e spazi pubblici, con un sistema di mobilità adeguato ed efficiente, con una distribuzione delle funzioni che favorisca l’integrazione sociale, con un’adeguata disponibilità di opere di urbanizzazione, e infine, per quanto possibile, con un’architettura di qualità per una città bella.

 

Alberto Roccella

 



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