3 aprile 2012

PERCHÈ C’È CRISI IN REGIONE LOMBARDIA?


Si è aperto il dibattito sulla situazione del governo della Lombardia, delle difficoltà politiche della attuale maggioranza e del suo modello di sviluppo. Sono noti i dati della discesa della Lombardia nelle classifiche internazionali relative alla innovazione, all’azione per la sostenibilità, alla spesa per la ricerca, ecc.

Certo Milano e la Lombardia sono il pezzo d’Italia che è ancora più robusto. È l’unica piazza finanziaria consistente anche se ridimensionata dalla crisi, che ha colpito anche questo settore. Conserva alcune punte di eccellenza di livello internazionale (moda, design, biotecnologie, robotica) ma più frutto di azioni di alcuni gruppi d’imprese, che come manifestazione della vitalità complessiva del capoluogo e della Lombardia. Non è un caso che la crisi colpisca duramente in Lombardia sia il settore manifatturiero, sia il settore dei servizi all’economia e persino alcuni significativi centri di ricerca.

Se cerchiamo di decifrare le ragioni di questo indubbio indebolimento della Lombardia è corretto partire dalla particolare declinazione che il tema della sussidiarietà ha avuto nella stagione formigoniana. Una sussidiarietà che perdendo il riferimento al bene comune o all’interesse generale, si è progressivamente trasformata in liberismo senza limiti. L’assunto è che i privati sanno comunque vedere meglio ciò che è necessario fare e lo sanno fare meglio. Compito dell’amministrazione pubblica è quindi aiutare i privati a fare.

Sembra una descrizione schematica ma è il punto di arrivo della gestione della Regione da parte di Formigoni per tutti i settori tranne quelli che se pubblici, come le ferrovie, danno consenso. Non è stato così fin dall’inizio, ma c’è stata un progressiva evoluzione degenerativa da una fase di indubbia egemonia politica nell’ambito della complessa e articolata coalizione di centrodestra. Per arrivare alla strutturazione di un sistema di potere invasivo e penetrante che, per esempio, nella sanità lombarda ha provocato reazioni nella stessa Lega di Bossi.

Il Movimento di CL è stato il luogo di elaborazione e di costruzione dell’espansione del potere di Formigoni, sia nel partito mediante la eccezionale capacità di convogliare preferenze anche su nomi di sconosciuti, sia nell’ambito del variegato mondo parapubblico che ha come riferimento la Regione Lombardia. La multiforme Compagnia della Opere è cresciuta per indubbie capacità di sviluppo, di ideazione (si pensi alla rilevanza del successo della mostra mercato “l’Artigiano in Fiera”) ma con la troppo lunga permanenza al potere in Regione di Formigoni ha progressivamente assunto una fisionomia di “struttura di regime”, onnipresente in tutti i settori dei servizi alla persona che dipendono da contributi pubblici.

Analogamente si è vista la evoluzione delle società e aziende regionali divenute, progressivamente, esclusivo braccio armato di una direzione della Regione accentrata nella figura del Governatore e della sua cerchia ristrettissima di collaboratori. Per avere una conferma basta guardare il ruolo delle società regionali nella gestione di tutti i più rilevanti lavori per l’Expo. Certamente il nuovo quadro della finanza pubblica assieme alla degenerazione affaristica del personale politico scelto da Formigoni, sta creando una crisi del suo sistema.

Nella crisi del modello formigoniano sono tutti coinvolti anche i partiti di opposizione? In parte, ma solo in parte, è vero. Sul ritardo delle infrastrutture del ferro, urbane e regionali, anche l’opposizione ha fatto troppo poco. Per quanto concerne il consumo del territorio agricolo certamente c’è stata una sottovalutazione del problema anche a sinistra. Non è ignoto il fatto che da troppi anni molti Comuni coprono le spese correnti con gli oneri di urbanizzazione, e quindi interessati all’incremento delle edificazioni. Il consumo di suolo in generale c’è stato per le residenze di coloro che fuggono dalla città troppo cara. E nelle valli lombarde l’enorme diffusione delle seconde case ha trasformato il panorama.

Inoltre ci sono le grandi trasformazioni urbane, per il riuso di aree dismesse, ma spesso con indici volumetrici eccessivi concessi anche per reggere l’incremento di valore per il passaggio di mano in mano delle proprietà. Residenze di lusso o palazzi per uffici di prestigio, spesso pubblici, centri commerciali. “Se l’edilizia va bene tutto va bene” era uno slogan ancora apprezzato anche a sinistra, anche se con sempre minore convinzione. È invece tenace nei convincimenti dalla destra. Troppo a lungo se ne è abusato come nel PGT di Moratti / Masseroli. Un abbaglio perché fondato su una sorta di “illusione immobiliare”. Mentre i grandi protagonisti del settore sono sempre più in difficoltà (prima Zunino ora Ligresti) le proprietà dei suoli delle più importanti operazioni sono finite nelle grandi banche e/o nel colosso triestino “Assicurazioni Generali”.

Quale medicina per guarire la Regione Lombardia?

È indiscutibile che occorre “un’altra idea di città”, ma non già perché calata dall’alto. Se così fosse non si affermerebbe mai. Un’altra idea di città la si può trovare ricercando insieme un sentimento comune di appartenenza a una collettività che è orgogliosa di se stessa. La politica non è certamente più fatta di programmi che vengono calati dall’alto sulla società. Oggi la politica, quella buona, è sapiente negoziazione tra interessi diversi alla ricerca di una sintesi. Naturalmente ci sono valori generali da affermare. E naturalmente i pareri sono diversi su molte questioni. La discussione va promossa, sollecitata anche con atti amministrativi innovativi. Che costringano a riflettere sulla impossibilità di continuare come prima. Che la libertà di ciascuno trova un limite nella libertà altrui. E magari si scopre che si diventa tutti più liberi.

Il caso della nuova Area C è da questo punto di vista illuminante. Obbliga a ripensare come si può garantire una mobilità migliore nella città. Induce nuovi comportamenti negli spostamenti e rende percepibile che il cambiamento è possibile, difende la salute e sconfigge lo stress da automobile. E ha pure il pregio di fornire risorse per migliorare il trasporto pubblico, per favorire l’uso della bicicletta, per indurre a passare alla mobilità elettrica.

Se tutto questa significa anche riesaminare il ruolo delle società partecipate dal Comune non è certo un male. Non già per formale adesione a nuove normative nazionali. Ma per una realistica valutazione di cosa può essere utile alla collettività.

La SEA è una società che funziona discretamente, ma è lungi dall’essere l’Hub del Nord d’Italia. Il destino degli aeroporti dipendono ormai dai vettori non dalla gestione degli aeroporti stessi. Orio al Serio è un successo perché Ryan Air ha superato Alitalia (quella nuova che ci è costata tanto). Il sistema degli aeroporti del nord va semplificato. Ma è impossibile se tutti i vari Comuni obbligano le varie società aeroportuali a continuare a esistere. I comuni non sono in grado di promuovere lo sviluppo del sistema. Non hanno neppure le risorse per i necessari investimenti. E gli stessi lavoratori hanno interesse che la situazione cambi, che vengano fatte scelte e soprattutto investimenti. L’alternativa è la sempre maggior dipendenza dai nostri concorrenti di Germania e Svizzera. Quindi è logico e corretto per il Comune vendere SEA, e vendere bene. Come pure è bene vendere anche Serravalle, magari insieme alla Provincia perché anche qui non ci sono risorse pubbliche da investire.

Vendere questi patrimoni è il solo modo per avere risorse per altri investimenti indifferibili come i treni per la linea 1 del metro oppure per qualche prolungamento di metropolitane nell’hinterland o per superare qualche strozzatura come Pagano che indebolisce la possibilità di servire bene la Fiera e l’Expo.

Quanto ad A2A, dismessi i sogni di grandezza internazionale, è il caso di tornare a occuparsi del territorio a cominciare dalla eliminazione delle caldaie a gasolio (sono ancora moltissime nel centro città, e dal teleriscaldamento, altra scelta indifferibile per la difesa della qualità dell’aria, mentre a Cassano, a Turbigo e a Tavazzano nelle centrali termoelettriche si butta via l’acqua calda.

Quindi ritorniamo al territorio, riportiamo la sussidiarietà al suo vero significato e vedrete che anche dentro CL coloro che come Vittadini, che sull’argomento ha scritto anche recentemente, non potranno che essere contenti. Perché certamente dal terzo settore, laico e cattolico, senza egemonie forzate, possono venire quelle risorse per la difesa della solidarietà, della coesione sociale, che sono indispensabili per una moderna società aperta al futuro. I pubblici poteri non possono che esserne consapevoli nel loro nuovo ruolo di costruttori del consenso per “un’altra idea di città”.

 

Maurizio Mottini

 



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