3 aprile 2012

GORI, IL COLLABORAZIONISTA


“Non voglio che lui sia il regista del centrosinistra milanese. Lui con le sue trasmissioni televisive e i suoi reality è stata una delle rovine culturali degli ultimi anni in Italia. È un’offesa verso tutti quelli che hanno lavorato in questi anni a costruire un nuovo centrosinistra e un nuovo Partito Democratico”. L’anatema lanciato dal Pd contro il barbaro Gori Giorgio è degno di una certa attenzione.

Per la prima volta un dirigente del partito (Gabriele Messina, già nella segreteria milanese, già tesoriere e responsabile della campagna di Boeri per il Pd) si scaglia contro un nuovo acquisto proveniente dalla società civile, per la prima volta il mito dell’indipendente di sinistra (elemento fondante della cultura del Pci e del post Pci) viene negato alla base, per la prima volta la tanto corteggiata società civile viene apparentata al berlusconismo, per la prima volta il partito che ha eletto la Binetti e Calearo si interroga sulla qualità degli esterni. Perché?

Perché si avvicinano le elezioni, e il gruppo dirigente del Pd di origine Ds si rende perfettamente conto che aggiornando lo schema Pisapia – Doria sta per essere lanciata sulle liste elettorali un Opa ostile. Così si apprestano le difese, in Puglia si festeggia per lo sputtanamento di Emiliano, in Sicilia ci si scanna su Lombardo, in tutta Italia si inneggia (segretamente) a Lusi che sbaracca la concorrenza interna degli ex Margherita.

E in Lombardia? si cominciano a erigere le barricate per evitare che inopportune primarie di coalizione o di collegio o selezioni per titoli o un’alleanza tra movimentisti moderati e movimentisti di sinistra facciano strame delle aspettative della burocrazia di partito; la quale ritiene di avere sputato sangue in questi anni per tenere in piedi un’organizzazione di lotta e di governo e non sopporta l’idea, nel momento in cui spera arrivi il giusto guiderdone, di rischiare di essere by passata da new entry di vario genere o di essere selezionata da altri.

La rovina culturale e l’offesa sono impersonate da Gori imprenditore di successo della tv berlusconiana e post berlusconiana, spin doctor di Renzi e di un candidato antinomenclatura a Palermo, ricco di suo, cattolico progressista, amico di vecchia data di D’Alfonso (ritenuto a torto o a ragione l’anima nera cittadina dell’Opa sul Pd). L’untore scende in politica sostenendo che il Pd, cui coscienziosamente si è iscritto, deve limitarsi a essere un contenitore che fissa le regole di un confronto politico che si svolge nelle primarie, senza vincoli di tessere, sezioni, segreterie; tesi che espone con leggera ingenuità insieme ad altri progetti etico moralizzatori.

Nulla di rivoluzionario, anzi nulla che non si sia sentito una qualche milionata di volte, ma che oggi infilato tra le ipotetiche dimissioni di Formigoni, la rinascita dei collegi elettorali, l’iperattivismo della sinistra arancione e di sindaci eletti, Bassetti che vuol ridiscutere le alleanze, porta a ipotizzare il futuro del Pd come il vecchio grand hotel: “gente che va gente che viene”.

“Ten giò i man dal nichel” grida allora Messina portavoce di giovani aspiranti qualchecosa, di uscenti aspiranti alla rielezione, di sindacalisti stressati dal governo Monti ecc insomma di quel che resta del corpaccione del partito. Il tono eccessivo, in pratica un “non ti sputo perché ti profumo” è giustificato dal timore che alla compagnia pisapiana si aggreghino anche ministri, sottosegretari o sodali dei montiani al governo, traditori della casa madre (Majorino, Civati) creando quindi quello quel rassemblement che potrebbe seppellire il Pd o quell’idea di Pd che hanno molti ex Ds.

La paura fa capolino dall’incipit della frase: “Non voglio che sia lui il regista del centro sinistra milanese.”, apparentemente incomprensibile. Con tutto il dovuto rispetto, Gori non mi sembra un demiurgo rifondatore, men che meno a Milano al massimo tra Zogno e Caravaggio. Viene il dubbio che si parli di Gori per parlare di Pisapia .

La domanda centrale: “dov’è stato Gori in questi anni?” rimanda all’idea di un’unzione e di un pedigree culturale, politico, ideale, indispensabile per fare politica che è un classico della retorica terzinternazionalista; è una domanda perentoria e ha una sola risposta: “o con il nemico o nascosto, che è lo stesso”. Alla demonizzazione dell’avversario Berlusconi si aggiunge la damnatio memorie sua, di tutti quelli che non hanno lottato insieme a Messina, di tutti i compagni di strada che sbagliano, di tutti i dubbiosi, di tutti gli ex, di tutti i montiani, di tutti insomma tranne “gli amici miei”. Fra le molte correnti del Pd abbiamo alfine anche quella identitaria che rivendica il primato l’appartenenza. Insomma tornano i bordighisti, famosi per la loro inutilità politica o come diceva Togliatti per essere “la punta avanzata della controrivoluzione”.

 

Walter Marossi

 

 



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