27 marzo 2012

GIORGIO AMBROSOLI E L’ANONIMO (PISTOLA) LOMBARDO


Qualche giorno fa nella nostra città è accaduto qualcosa di molto grave che, a mio avviso, per volgarità, meschinità e pura e semplice stoltezza, travalica confini che pensavo fossero impliciti, ma solidi – almeno al di fuori dei recinti di quelli che una volta si chiamavano gli Ospedali Psichiatrici, vulgo manicomi. Certo in questi anni ne abbiamo sentite e viste tante, dalla durezza del pene eretto sbandierata da vecchi farfuglioni colpiti da ictus per eccesso di Viagra, alla consistenza del derma delle natiche di un importante uomo politico, che si propone al popolo come il magister erotico della Nazione. Siamo pronti a tutte le porcherie e le soperchierie e si fa la figura dell’ingenuo anche solo parlarne. Ma la volgare e nauseante meschinità giocata sui morti va al di là anche delle peggiori fantasticherie che potevano nascere in una mente normalmente normale dopo aver assistito a uno sgarbo quotidiano.

La vicenda è nota ma la riassumo con le parole trovato in Rete. “Oggi (21 Marzo) il Pirellone ricorderà Giorgio Ambrosoli, ‘eroe borghese’, il liquidatore del Banco Ambrosiano ucciso dalla mafia su ordine di Michele Sindona nel 1979. Ma al ricordo non sarà presente il figlio, Umberto, che pure era stato contattato qualche settimana fa e aveva dato la sua adesione. Il motivo: le frasi dette da Ambrosoli sulle vicende giudiziarie che coinvolgono molti esponenti della Regione in una intervista a Repubblica, due settimane fa”.

Non credo ci sia bisogno di aggiungere molto, ma poiché qualche fortunatamente giovane, può confondere Garibaldi con Mazzini, chessoio, o pensare che le bombe a Piazza Fontana le avessero messe le BR, oppure, in ogni caso, che i nomi di Falcone e Borsellino si mescolino sullo sfondo di un passato glorioso che ogni tanto scendiamo in piazza a ricordare, senza ben sapere i baffetti perbene dell’assassinato a chi a appartenessero, forse al ritratto di un lontano antenato, come Cavour o Vittorio Emanuele II, quando ancora i maschi adulti usavano tingersi il pelo come fa qualche sopravvissuto (di quelle epoche) filosofo nostrano.

Non lasciamo che vengano assorbiti dalla tappezzeria e diciamo con assoluta decisione che Giorgio Ambrosoli è ben vivo nella nostra coscienza: non solo di chi l’ha conosciuto personalmente, ma anche nella coscienza di quel genere di milanesi che crede che sia possibile generare benessere senza violare la legge, anzi. E di chi si contrappone a molti di quei signori che oggi si arrogano il diritto di sentirsi offesi della presenza del figlio di questa eroica persona solo perché si era permesso di criticare pubblicamente i componenti di un organo che dovrebbe rappresentarci, ma che assomiglia ogni giorno sempre più alla camera d’aspetto di via degli Olivetani.

Certo un poco di sdegno doveroso è stato espresso, anche sulla grande stampa cittadina, ma poi la vicenda è stata archiviata rapidamente e, tanto per offrire un benchmark senza voler fare confronti odiosi di graduazione di gravità (ma anche nell’opera del grande poeta cristiano non tutti i peccati che conducono all’Inferno sono eguali), ancora oggi, a distanza di egual numero di giorni dall’evento, Diliberto viene castigato con parole di fuoco per un atto sconsiderato commesso non da lui, ma in sua presenza. Certo se ne sarebbe potuto scusare, anche con poche parole, e anche se per queste faccende non esiste la “responsabilità oggettiva”, se ne sarebbe liberato facilmente; impari da Formigoni. E anche se l’autrice della sciocchezza, colpevole soprattutto di avere vanamente cercato di imitare la volgarità insuperabile dei battutari che ci hanno governato per decenni. E va aggiunto che di questa persona conosciamo volto nome e anche le ripetute sincere e accorate scuse che ha rivolto al pubblico e all’interessata Ministro Fornero (che forse si guadagnerebbe qualche stelletta, accettando semplicemente le scuse).

Ben diversa è la situazione lombarda, che riguarda un caso molto, ma molto più grave di una battutaccia volgare. Superato lo sdegno per l’offesa fatta alla famiglia di un vero eroe della nostra città, cui va una solidarietà senza riserve, e superato lo sconforto per una politica ridotta alla ripicca da asilo infantile (tu mi critichi ed io non ti lascio entrare: ma chi credete di essere, o signori della Regione, le vestali del tempio dell’onestà, del pudore e dell’intelligenza? E chi vi paga scusate? Forse che non si sa che qualcuno di voi è lì per ragioni inconfessabili e per aver letteralmente defraudato legittimi pretendenti?) bisognerà pure chiedersi come rimediare a una azione così stolta, nascosta vilmente dietro l’anonimato.

Intendiamoci bene: qui non si tratta di prendere le parti dell’avvocato Ambrosoli, che si sa difendere benissimo e che, una volta di più, ha dato una impeccabile lezione di stile, anteponendo la dignità della celebrazione, al proprio risentimento personale. Atto che ovviamente non può essere neppure capito da persone che probabilmente pensano che lo stile sia una faccenda che riguarda solo il Salone della Moda. Si tratta invece molto specificamente di lottare contro l’abitudine al sopruso, per di più coperto rapidamente dalla viltà dell’anonimato. Ci sarà pure stato qualcuno, funzionario, consigliere o assessore cui l’idea è frullata in testa, qualcuno che (come scrivono i giornali) l’ha “mugugnata nei corridoi” e “fatta sapere”, gesto tipicamente mafioso. Non basta che l’ufficio di Presidenza dica, come fa ormai da qualche tempo regolarmente in ogni occasione, “non siamo stati noi”: ci mancherebbe altro, anche al di là dell’ovvio ricorso al noto brocardo latino su scuse e colpe.

Ci vuole di più, molto di più. Io credo che il Governatore debba alla sua carica, all’onore dell’istituzione che governa e anche, e soprattutto, ai cittadini onorati di questa Regione, una azione più incisiva che non condoni il vile responsabile. E allora, visto che il Governatore Formigoni ha di recente nobilitato la più genuina parlata milanese, lo sfido a scovare l’Anonimo Lombardo, ideatore di questa bella iniziativa e a dargli pubblicamente, a nome mio e, ne sono sicuro, di molti altri cittadini milanesi, del “pirla”, tanto, come dice proprio il Celeste, non è reato. Ma non c’è altro appellativo più adatto alla bisogna: chi ha avuto questa idea è affetto da profonda, smisurata, inguaribile pirleria, o pirlaggine congenita, e se ha un residuo di coraggio civile si faccia avanti, così glielo possiamo dire in faccia con le parole di Jannacci: “el pistola te se ti”.

 

Guido Martinotti (e chi volesse aderire)



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