20 marzo 2012

IL CORROTTO DELLA PORTA ACCANTO


Leggendo tristemente la cronaca di questi ultimi mesi si ha la dolorosa impressione che la quantità dei reati di corruzione e il numero dei corrotti e dei concussi sia un inarrestabile crescendo. Una sensazione condivisa probabilmente anche dal Presidente della Repubblica tanto da indurlo a richiamarci a comportamenti di maggior onestà, ormai quasi quotidianamente.

Quando la corruzione raggiunge i livelli che ha raggiunto anche nella cosiddetta “capitale morale” – definizione di Milano oggetto ormai di aperto scherno – la questione non tocca solo la magistratura giudicante ma incide profondamente nel processo di disgregazione della società. Ormai rischiamo di essere travolti tutti dalla sindrome del corrotto della porta accanto e sedersi a tavola senza conoscere tutti i convitati e i rispettivi antenati, le loro mogli o compagne, i figli può riservare delle amare sorprese: anche così il sospetto è dietro l’angolo. Come si fa a convivere col sospetto e col sospetto come guida della propria vita?

Da quando siamo diventati così? E soprattutto così si può andare avanti? Se dovessi elencare quali siano a mio giudizio i maggiori danni, a prescindere da quelli economici che possiamo addebitare alla corruzione, ne indicherei, oltre ai danni sociali cui ho accennato, quelli provocati alla “governance” delle aziende, pubbliche in particolare. La corruzione mina alla base qualunque autorevolezza nella direzione di enti o aziende e legittima in cascata comportamenti anche solo scorretti o parassitari. Il male è diffuso e non passeggero e non penso che per guarirne basti affidarsi solo a un avvicendamento generazionale.

Come venirne fuori non so ma certo non trasformandoci in semplici delatori o rinchiudendoci in noi, intenti solo a mantenere personalmente rigore morale. Lottare, dunque, e sono sicuro che tutti sappiamo come, e tanti già lo fanno ma forse ancora pochi. Non credo invece che sia utile l’atteggiamento fatalista, quello che ad esempio si ha nei confronti della classe politica, dei partiti e della politica in genere, anche se dalla politica arrivano i peggiori esempi. Ciò che però infastidisce di più nei discorsi che lorsignori fanno quando si tratta di corruzione, sono la chiamata di correo di craxiana memoria o l’invito, tratto dal Vangelo ma in un’accezione poco cristiana, di pensare alla trave nel proprio occhio e non all’altrui pagliuzza.

Per questa ragione anche se capisco la foga del dibattito, quando il sindaco Pisapia l’altro ieri in Consiglio comunale, di fronte alle contestazioni dei membri dell’opposizione sulla vicenda SEA, li ha invitati a guardare ai loro colleghi della maggioranza in Regione e alle relative vicende giudiziarie, ho avuto un attimo di perplessità: anche lui caduto nella trappola della provocazione dialettica? Questo modo di fare, che rozzamente potremo definire relativista, legittima la reazione antirelativista di tipo manicheo che pervade la parte più intransigente e fondamentalista della Chiesa Cattolica e di chi a lei fa riferimento – magari solo a scopo elettorale – la parte più reazionaria della quale faremmo volentieri a meno.

La morale pubblica è un valore in sé, anche per i laici non relativizzabile e che non si misura sui comportamenti dei propri avversari. Finché continueremo a farlo non sarà un buon servizio alla nostra società.

 

Luca Beltrami Gadola

 

 

 


 



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