28 febbraio 2012

L’ARANCIONE RINGIOVANISCE


Il mondo della politica milanese e lombarda è in fibrillazione. Le elezioni si avvicinano, almeno metà dei parlamentari stante statuti, regolamenti interni etc. è ineleggibile o incompatibile, l’altra metà non gode più di una solida base di appoggio tra i propri elettori/partiti. In regione il dopo Formigoni è già iniziato.

Nel centro destra si parla di Berlusconi come del nonno in coma: con rispetto, con timore che possa risvegliarsi e cambiare il testamento ma anche con rassegnata indifferenza. Nel centro la strategia è definita: accodarsi al montismo e sfruttarne l’abbrivio, la meta finale è non essere più minoranza per nessuna ragione. La Lega attende con ansia il verdetto delle amministrative e il decorso della malattia di Bossi, per ora gioca in difesa, facendo l’unica cosa che sa fare bene: demagogia a poco prezzo.

E il centro sinistra o sinistra centro? Le primarie di Genova, l’agitarsi del sindaco di Bari, il permanente appeal di Pisapia, il diffuso timore che Monti oltre che mettere a posto i conti diventi elettoralmente simpatico hanno aperto un dibattito sul ruolo e il futuro dei partiti e in particolare del PD. Un partito omogeneo e dalle forti caratteristiche identitarie programmatiche o un partito dal programma più ecumenico e tendente alle alleanze? Dibattito non nuovo, a discuterne per primo furono Antonio Labriola e Filippo Turati nel 1892, ma si sa a sinistra la tradizione conta. Dibattito che curiosamente coincide con la prima vittoria da decenni e con il più alto numero di consiglieri eletti nella storia del Comune, quando cioè dovrebbero essere tutti ancora a festeggiare.

Perché? Molto banalmente perché la questione non è la sopravvivenza dei partiti e nello specifico del PD ma la sopravvivenza di una classe dirigente che ritenuta inadeguata, plasmatasi su un modello partito, quello del secondo dopoguerra fondato su tessere, sezioni, legge proporzionale e organizzazione interna piramidale (per semplificare “leninista”). Poiché in democrazia i partiti si modulano in funzione della legge elettorale non viceversa, le leggi elettorali maggioritario/presidenzialista (in comune, provincia e regione) e le primarie hanno ovviamente portato a una modifica del loro ruolo e funzionamento irreversibile.

Pisapia simboleggia un diverso (non uso il termine nuovo perché se ne parla dai tempi di Caldara) modello partito: il partito del sindaco. Un modello con molte varianti: può nascere dalle primarie come a Milano, dalle elezioni come a Napoli, ma può nascere anche dalla cannibalizzazione del partito originario come a Bari o dalla logica delle correnti come a Firenze. Comprensibilmente la “nomenclatura” reagisce con fastidio: come in tutti i gruppi dirigenti la propria autoconservazione è la mission principale. Ergo la madre di tutte le battaglie sarà la nuova legge elettorale per camera e senato.

Oggi tutto il potere legittimato dagli elettori di Pisapia, Emiliano, Renzi, Vendola, si scontra contro il potere legittimato dagli attivisti di un qualsivoglia segretario di scegliersi i parlamentari e gestire la cassa (Lusi docet). Si è creato quindi un variegato fronte composto dalle armate elettorali dei sindaci, dei presidenti, degli aspiranti parlamentari, aspiranti sindaci, aspiranti presidenti, ex di vario genere e tipo, giovani impazienti, che da l’assalto alla cittadella della nomenclatura.

A vivacizzare il dibattito su queste pagine, l’assessore D’Alfonso e l’ex assessore PierVito Antoniazzi; due giovani outsider che lasciata per un attimo la discussione su sciatica e prostata convergono sull’obbiettivo: smantellare il soi disant gruppo dirigente del PD milanese e più in generale il PD stesso, spalleggiati (momentaneamente?) dai vari rinnovatori interni: Civati, Monguzzi, Majorino, financo Boeri (tenuto in giunta all’uopo) etc.

Per D’Alfonso la soluzione c’è già: l’arancione “un partito-movimento che discute e sceglie la politica attraverso le vie che trova a disposizione” eliminando vecchi residui berlingueriani e collegandosi con il socialismo democratico europeo. In sostanza una versione di sinistra, direi mitterandiana, del progetto craxiano. L’arancione sostituisce il garofano, e da vita a una grande coalizione di riformisti, trotkisti, movimentisti, ecologisti, animalisti, anarcoliberisti, azionisti, tabaccisti, laburisti, sindacalisti etc

Per Antoniazzi che retoricamente finge dissenso ma concorda, occorre aggiungere a questo mix i cattolici democratici anzi occorre dare ai cattolici democratici la leadership. In sostanza una versione carnitian martiniana del medesimo progetto, un omaggio a Livio Labor. L’arancione sostituisce l’ulivo e da vita a una grande coalizione come sopra ma cristianamente benedetta.

Per entrambi l’arancione non è che l’ennesima incarnazione del “MOVIMENTO”, vero e proprio mito fondativo della sinistra non comunista. Personalmente non riesco a capire se è un progetto politico o nostalgia dei bei tempi andati. Le elezioni tra un anno scioglieranno il dubbio.

 

Walter Marossi

 



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