21 febbraio 2012

L’AGORÀ DELLE MADRI E IL NODO DEL LAVORO


La scommessa dell’“Agorà del lavoro” è quella di “mettere al centro dello spazio pubblico il lavoro e l’economia”, a partire dal sapere e dall’esperienza delle donne, per produrre nuovi pensieri e parole per tutte e tutti. Di più, per molte di noi si trattava finalmente di dire in un luogo pubblico che “il lavoro è molto di più (rispetto al solo lavoro retribuito)”, discorso cardine del documento “Immagina che il Lavoro”, Manifesto sul Lavoro del 2009 e di trovare, attraverso il confronto, degli obiettivi politici concreti condivisi.

L’Agorà del 30 gennaio scorso si è rivolta direttamente alle madri e i padri, con figli ancora da tirare grandi. Cioè quelle e quelli che, a mio parere, dovrebbero essere i più motivati e impegnati nell’affermare l’importanza del lavoro di cura e nel far trarre alla società e alla politica tutte le conseguenze concrete di tale importanza, nelle varie direzioni possibili (dall’organizzazione del lavoro, alle definizioni statistiche di “che cosa è lavoro e cosa non lo è”, alle politiche di welfare, etc.). Per questo abbiamo posto come titolo dell’incontro: “Il desiderio di lavorare e di avere figli: perché resta una questione privata?”.

All’incontro hanno partecipato circa una settantina di donne (di papà non se ne è visto neanche uno), nella sala di via D’Annunzio 15, che ci è stata messa a disposizione dal Comune di Milano. La serata è stata davvero intensa e proficua. La prima cosa straordinaria è che hanno partecipato tante mamme trenta – quarantenni: situazione davvero rara, sia per la loro (nostra) oggettiva mancanza di tempo, sia per il disincanto di questa (nostra) generazione nei confronti della politica.

Straordinario è stato poi il collegamento spontaneo tra gli interventi che per più di due ore si sono liberamente succeduti; non solo: il grado di consapevolezza, sui temi dell’incontro, era tale per cui l’esperienza personale, “il partire da sé” diventava spunto di riflessione e cambiamento per tutte.

Uno dei temi centrali emersi è stato quello della flessibilizzazione dell’orario di lavoro a favore di chi lavora. Muovendo dalla constatazione che la tecnologia ha reso possibile un diverso modo di lavorare, rispetto a quando i mezzi di comunicazione erano solo il telefono fisso o il fax, una partecipante ha giustamente allargato il discorso – rispetto al tema dell’incontro – dicendo: “noi madri siamo la punta di diamante di un movimento che deve essere molto più vasto e che deve coinvolgere tutti, perché… non ha più senso lavorare così: tutti nello stesso posto e nello stesso momento, per 10 ore al giorno”. Ricordando una sua esperienza di lavoro in Finlandia aggiungeva “lì è normale uscire dal lavoro alle 16 e se non lo fai sei considerato una persona infelice, senza affetti, con null’altro da fare se non stare in ufficio”. Ma un’altra partecipante ha giustamente posto la domanda cruciale: “A chi interessa che venga modificato questo tipo di organizzazione del lavoro?

In effetti, a chi interessa che venga portata avanti un’organizzazione del lavoro dove i criteri di valutazione della prestazione siano trasparenti e controllabili, dove quindi conti di più la qualità del lavoro rispetto alla “presenza”? A chi interessa un modello di lavoro in azienda non necessariamente imperniato su un orario rigido, a tempo pieno, per tutta la vita? E dove ci sia quindi spazio anche per una flessibilità del tempo di lavoro (sia in termini di collocazione dell’orario, sia di riduzione) a favore di chi lavora?

A mio parere, come ho evidenziato nell’apertura dell’ultima agorà, se il modello di lavoro non fosse più quello del “fare a gara a chi sta più a lungo in ufficio”, di gelosa difesa della propria postazione, allora si potrebbe provare ad adottare un modo di lavorare più collaborativo, basato su regole più trasparenti, complessivamente più “salubre” e quindi, tra l’altro, più in linea con quanto stabilito dal testo unico sulla sicurezza del lavoro (D. Lgs. 81/2008) in materia di stress correlato al lavoro. L’argomento di una “diversa organizzazione del lavoro”, dove sia possibile negoziare tempi e modi diversi di lavorare, e di come fare concretamente per realizzarla, trasformando la forza delle singole in forza collettiva, sarà il centro del discorso della prossima agorà, il 27 febbraio.

Nota: L’agorà del lavoro di Milano è nata nel 2010 da un’idea del Gruppo Lavoro della Libreria delle Donne, ed è stata lanciata, nello stesso anno, sulla rivista Via Dogana (n. 95/2010) con il documento “Immagina che a Milano”. L’intento che ci muoveva era di costruire una “piazza pensante” milanese sul lavoro insieme ad altre e altri (gruppi, singole e singoli) che da tempo si occupano di lavoro (ABCD, Acta, Cicip e Ciciap, Donne senza guscio, Labodif, Libera Università delle donne, Rete di San Precario, Sconvegno e altri), proprio per creare sin dall’inizio delle connessioni. Il primo appuntamento pubblico organizzato da promotrici e promotori dell’agorà si è tenuto all’Umanitaria il 23 maggio dello scorso anno, con una grandissima partecipazione (oltre 200 persone).

Maria Benvenuti

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti