21 febbraio 2012

PURTROPPO O PER FORTUNA SIAMO UN PAESE DI VECCHI


Da molti anni si è costretti a subire giudizi negativi da parte di figure della politica e dei media sul fatto che la popolazione Italiana presenta sempre più vecchi rispetto ai giovani o ai bambini, molte persone ripetono il concetto e tutti danno per scontato che la proporzione dovrebbe essere un’altra ma non è davvero così. In Italia, dopo l’Europa che la precedette, la popolazione è diventata statisticamente sempre più vecchia perché hanno smesso di morire in sequenza: i bambini (26 anni di vita media guadagnati rispetto a cento anni fa) e in seguito i giovani e gli adulti, negli ultimi decenni anche gli anziani; chi nasce diventa vecchio (quasi tutti) e speriamo di continuare a dirlo negli anni in avvenire.

Tanti bambini diventano tanti vecchi, come si fa a dire che non sia positivo? E come si fa a dire che invece i bambini e i giovani dovrebbero essere di più dei vecchi: invochiamo le morti premature dei quarantenni e cinquantenni? La morte istantanea di chi viene messo in pensione? Quella di chi a ottanta anni può divenire meno autosufficiente? È mancata sino a ora una acquisizione culturale che è fondamentale e definitiva (si spera): la struttura della popolazione dei paesi occidentali è cambiata e quella del mondo intero, dovrebbe essere portata molto velocemente a raggiungerla. La popolazione è una popolazione di adulti, se abbracciamo questa verità, la nostra organizzazione sociale e il rapporto tra le generazioni possono evolversi.

Si è bambini per quindici anni o venti se ritardiamo l’età adulta e siamo adulti per quaranta o anche cinquant’anni se consideriamo la salute e le doti di autosufficienza e di esperienza che meritano le capacità dell’individuo. Si è vecchi, se consideriamo come per i giovani le persone che hanno diritto a uno sguardo particolare, a un aiuto specifico da parte degli altri perché non del tutto autosufficienti, per quindici o venti anni. La permanenza degli adulti e la loro buona salute ci fa essere una popolazione di molte età abili diverse. È questa capacità delle persone di essere attive e in buona salute che le Istituzioni considerano con i termini: carico sociale e indice di ricambio della popolazione attiva e per aderire alle nuove potenzialità dovrebbero essere mutati i termini del calcolo e anche l’abituale organizzazione sociale. 

Attualmente non completamente autosufficienti vengono considerati i 65 enni, al pari dei bambini fino ai 14 anni, ma più correttamente questi potrebbero diventare i 75enni. L’indice di ricambio della popolazione attiva è un indice teorico sulle età, non è calcolato sulla reale capacità della società di assegnare occupazione, ora mette a confronto i 64-65enni con i ragazzi tra i 15-19 anni, anche questo confronto potrebbe essere più realisticamente condotto con il numero dei 70–75enni e proprio il lavoro va ripensato e riorganizzato in una società dove le persone vivono più a lungo e le donne vogliono essere economicamente indipendenti.

La capacità di lavorare nel mercato come nella cura e relazionalità famigliare va ormai riconosciuta e garantita a tutti: uomini, donne e differenti età; il tempo per queste attività dovrebbe trovare una nuova distribuzione, meno rigida dell’attuale e abbracciare tutti. Lavorare meno ma lavorare tutti, sia in ufficio che nelle case permette autonomia e cura delle relazioni alla nuova società di più uguali.

La proporzione di molti bambini e giovani rispetto agli anziani è la storia che abbiamo già conosciuto, gli italiani sono dappertutto nel mondo e la quantità di vecchi che molto male accudiamo oggi, corrisponde alla estrema quantità di nascite che caratterizzava l’Italia prima della guerra. Anche nel dopoguerra abbiamo avuto un boom di nascite, per la quantità di giovani ereditata dal ventennio precedente che arrivavano a figliare e per l’allegria della pace e del benessere che cominciava, parlo degli anni ’50 e ’60. Saranno i nuovi vecchi dei prossimi anni ’30 e ’40, tanti ma non tantissimi perché nel frattempo i precedenti saranno morti, avremo infatti nell’immediato una grossa frequenza delle mortalità. Si arriverà a uno stadio stabile: tanti nati, tanti vecchi, con una sostituzione della popolazione divenuta molto più lenta. Equilibrio benefico per donne e bambini, io penso.

Se oggi apriamo lo sguardo al mondo vediamo che è pieno di bambini e di giovani che ne metteranno al mondo altri, per inerzia la popolazione del pianeta raddoppierà ancora, e già ci siamo quadruplicati nel secolo scorso rispetto al precedente perché le nascite hanno continuato a essere tante nonostante le morti precoci fossero dappertutto diminuite. La vita è divenuta più lunga in tutto il mondo e si spera superi anche i sessant’anni e diventi lunga come la nostra. La sostituzione delle persone è divenuta dunque più lenta in tutto il mondo: va acquisito. L’equilibrio tra le nascite e le morti dovrà essere un nuovo orientamento per tutti gli Stati, già oggi consumiamo un pianeta e mezzo e anche se avremo accettato tutti di produrre meno, di consumare meno, di inquinare meno, quando saremo dodici miliardi la discesa della natalità per donna ci sarà già stata benefica. Riequilibrare il rapporto tra le specie animali e vegetali sul pianeta e generare stabilità è per molti un progetto a cui oggi possiamo prepararci immaginando una organizzazione sociale e un rapporto tra le generazioni che siano adeguati.

Nell’immediato le paure di non avere giovani sono piuttosto quelle di vedersi superare dalle altre popolazioni perché di giovani immigrati che ingrossano le fila degli adulti e fanno i lavori pesanti, anche quelli di assistenza, ne abbiamo e ne possiamo avere ancora. Per il momento sia l’Italia che l’Europa accrescono ancora le loro popolazioni di autoctoni, gli immigrati a queste si aggiungono. Ma certo il mondo è destinato a mescolarsi, a Milano un bambino su tre ha almeno un genitore straniero e i residenti stranieri, circa duecento mila hanno sostituito chi ha spostato la residenza fuori Milano, pur continuando a frequentare la città per molte attività.

Gli anziani sono molti e in buona salute, poco occupati rispetto alle loro capacità e persino abusati nel lavoro familiare e di assistenza che sembra cadere particolarmente su di loro oltre che sugli immigrati. Vale per Milano il discorso che ho fatto nel complesso: ripensare il tempo di lavoro tra relazioni famigliari e sociali e mercato pubblico sia per gli uomini che per le donne che per gli anziani, ripensare cioè l’organizzazione sociale complessiva ci permette di affrontare un futuro ormai mutato, fatto di adulti meno giovani: l’età media a Milano è di 45 anni, e di immigrati più giovani, che sappia abbracciare tutti.

 

Antonella Nappi

 

 



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