14 febbraio 2012

GOVERNO MONTI: GLI ARISTOCRATICI DELLA BATTUTA


Nelle ultime settimane più membri di questo governo strano, come lo definisce il suo stesso presidente Mario Monti, sono usciti allo scoperto con alcune dichiarazioni strane, che a loro volta hanno provocato delle reazioni ancora più strane. Invece che sfruttare i quattro indiscutibili scivoloni per innescare un dibattito costruttivo, molti fra commentatori e politici hanno pensato fosse più utile focalizzarsi sul metodo in cui sono stati espressi piuttosto che analizzare il vero significato di un certo modo di pensare, che sembra caratterizzare sempre più l’esecutivo. Ma andiamo con ordine.

Il 24 gennaio il viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, il trentasettenne Michel Martone, alla presentazione del nuovo contratto sull’apprendistato della regione Lazio, ha iniziato il suo intervento con le testuali parole: “Dobbiamo dire ai nostri giovani che se non sei ancora laureato a 28 anni sei uno sfigato, se decidi di fare un istituto professionale sei bravo e che essere secchioni è bello”. Apriti cielo.

Il tono supponente usato dal più giovane membro del governo è stato il migliore degli assist per innescare una discussione che vertesse sul modo in cui veniva espresso il concetto e non sul valore di quelle parole. I cronisti hanno fatto a gara per trovare il maggior numero di inciampi possibili di Martone e pochi hanno approfondito il tema, tanto che ogni italiano che legge i giornali conosce vita, morte e miracoli del viceministro, ma quasi nulla della reale condizione dell’università.

Perché Martone ha detto una mezza verità, o meglio ha taciuto, forse perché non la condivide, una parte fondamentale del suo discorso. Non è vero che chi si laurea dopo i ventotto anni è uno sfigato in assoluto, ma è giusto dire che, per chi vuole costruire una carriera sul titolo di studio conseguito, è illusorio pensare di basarsi su una laurea raggiunta dopo otto o nove anni di università.

Facendo due calcoli, dato che i ragazzi escono dal liceo a diciannove o vent’anni, per laurearsi dopo i ventotto dovrebbero passare otto o nove anni a studiare gravando sui contribuenti e, più spesso di quello che sembra, sulle loro famiglie. Restano gli studenti lavoratori, che sono più che giustificati a dilungare i tempi dello studio dato il doppio impegno, ma ai quali Martone concede ben quattro anni in più degli altri per raggiungere l’agognata triennale e tutte quelle persone che vogliono laurearsi per passione e che, per restare in tema, devono essere considerati dei “fighi” per l’impegno e la voglia che ci mettono.

Il secondo episodio è senza dubbio più significativo perché a pronunciare una frase ingiusta e infelice è stato lo stesso Mario Monti. “I giovani si abituino a non avere più il posto fisso. Che monotonia. È bello cambiare e accettare le sfide”, ha dichiarato il premier ospite in tv il 2 febbraio. Sembra impossibile, ma anche in questo caso sono stati in pochi a cogliere il senso delle parole di Monti, e tanti hanno risposto con slogan precotti e battute, lasciando da parte ragionamenti tesi ad analizzare ciò che era stato detto.

Invece il premier ha mostrato una enorme debolezza, forse imperdonabile per chi ha in mano il destino di un Paese e dei suoi cittadini, ha mostrato di non conoscere l’Italia. Basta fare un giro nelle università per rendersi facilmente conto che il posto fisso non è il problema prioritario, e anzi viene dopo una serie di difficoltà che lo rendono quasi superfluo. I giovani vogliono un lavoro e sanno, nella maggioranza dei casi, che devono tenerselo stretto, che piaccia o no, perché allo stato attuale delle cose è difficile trovarne altri. L’idea di fare lo stesso mestiere nello stesso posto con le stesse persone per tutti i giorni dai venti ai sessantacinque anni non esalta, è però un male minore cui ormai ci si è abituati. È come se Monti avesse posto l’asticella di una gara di salto in alto a due metri e sessanta senza rendersi conto che gli atleti che ha a disposizione, e non per colpa loro, saltano a malapena ai due e trenta, e se ci arrivano, vista la situazione complessiva, ne sono contenti.

Nei giorni seguenti ci si sarebbe potuti aspettare un abbassamento dei toni, e invece il 6 febbraio ecco altri due botti. “Noi italiani siamo fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà”, ha detto il Ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri, e cercando di mediare la posizione di Monti ha aggravato la situazione. Poco dopo il Ministro del Lavoro Elsa Fornero ha rincarato la dose: “Il posto fisso è un’illusione”.

In questo caso, almeno da parte di Cancellieri, il giorno dopo è arrivata una parziale retromarcia, ma ciò che lascia sbalorditi sono gli altri indizi sul modo di pensare e di agire del governo strano e sulla sua lontananza dai problemi quotidiani degli italiani. Quale migliore occasione per iniziare una discussione ampia e costruttiva su questioni concrete e sulle effettive possibilità di risolverle dell’esecutivo? Invece ancora una volta avversari politici e commentatori hanno preferito parlare di altro. Così siti internet, telegiornali e quotidiani hanno aperto i dossier e hanno pensato fosse più utile al Paese e all’informazione raccontare nei dettagli, con tanto di foto pseudo segnaletiche, le vite e le carriere della figlia trentaseienne di Fornero, di quello quarantaquattrenne di Cancellieri e di quello trentottenne di Monti.

Quattro storie e due preoccupanti fili conduttori. Da una parte il vizio di non prestare tanto attenzione ai concetti che vengono espressi, quanto a chi li esprime. Per convenienza, pigrizia e mancanza di idee si tende a dividere la società in categorie e a giudicare le dichiarazioni a seconda di quella di appartenenza di chi parla. Non ci si confronta più sui temi, ma è uno scontro di posizioni, che evita con cura i contenuti e si concentra sui modi e sulle storie personali degli interlocutori.

Dall’altra le difficoltà dell’esecutivo di capire le reali esigenze dei cittadini, la sua mancanza di comprensione delle realtà sociali e l’impronta ideologica che caratterizza chi, nascondendosi o venendo nascosto dietro la maschera del tecnicismo, assomiglia sempre più all’espressione classica di una destra aristocratica e liberale. Eh sì, questo governo è proprio strano.

 

Francesco Cerruti



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