14 febbraio 2012

arte


KLIMT. DISEGNI PER IL FREGIO DI BEETHOVEN TRA MUSICA E ARTE

Il 2012 sarà un anno interamente dedicato all’artista austriaco Gustav Klimt, in vista del suo 150 anniversario di nascita. Klimt (1862-1918), pittore sopraffino ed elegante, inventore dello stile liberty e padre di quella grande rivoluzione artistica che fula Secessioneviennese, verrà celebrato in tutta l’Austria con una serie di mostre ed eventi a lui dedicati, ma anche nel resto d’Europa, da Parigi a Barcellona, da Londra a Milano.

Ed è infatti Milano che apre le danze klimtiane con una mostra incentrata sul grande fregio di Beethoven, eseguito da Klimt nel Palazzo della Secessione costruito da Olbrich. Il Fregio di Beethoven, lungo34 metri, è stato infatti qui ricostruito nelle sue parti fondamentali, e accompagnato da 18 disegni originali correlati a questo misterioso e affascinante affresco.

L’originale, custodito a Vienna, fu dipinto da Klimt nel1902 inoccasione della XIV mostra del movimento viennese. L’esposizione, nata in seguito alla creazione della grande scultura policroma di Max Klinger dedicata a Beethoven, fu tutta dedicata alla celebrazione del compositore tedesco, così amato e ammirato dagli artisti secessionisti. Beethoven era considerato l’incarnazione del genio, colui che aveva creatola Nona Sinfonia, incarnazione dell’amore e dell’abnegazione artistica e spirituale.

Ecco allora l’origine del fregio: ispirato dalla Nona, nella declinazione data da Wagner durante la sua esecuzione del 1846, quando Wagner stesso aveva anche descritto nel libretto le immagini che la composizione gli suggeriva. Secondo Wagner solo l’arte e la poesia avrebbero potuto riscattare l’umanità verso una vita migliore. Il fregio ha dunque la stessa funzione liberatrice della musica, in contrasto alla morte e alla decadenza del mondo terreno. Ecco perché il giorno dell’inaugurazione Gustav Mahler venne chiamato a dirigere propriola Nona Sinfoniaall’interno di quella sala.

L’opera si compone di tre parti: L’anelito alla felicità, le Forze ostili e l’Inno alla gioia, la stessa sinfonia che pervade gli ambienti della mostra. Il fregio si pone quindi come la rappresentazione del percorso che il Cavaliere, l’uomo, dovrà affrontare per raggiungerela Poesia, fanciulla affascinante e sensuale, meta del suo cammino. Ma la strada è tortuosa: il Cavaliere dovrà affrontare le Erinni,la Lussuria,la Malattia, il Dolore, il gigante Tifeo ecc. Il Cavaliere arriverà finalmente nelle braccia della Poesia, circondato da un coro gioioso, traduzione visiva dell’Inno alla gioia di Schiller e musicato proprio da Beethoven.

Un tripudio di oro e decorativismo, figure dalle linee eleganti e sinuose, capelli sollevati dal vento, visi taglienti e occhi espressivi, arabeschi e pietre preziose, per arrivare all’opera d’arte totale, che prevedeva l’integrazione delle diverse discipline artistiche (pittura, scultura, grafica, design, arte decorativa e architettura). Qui sembra esserci tutto.

Fondamentali diventano allora i disegni, schizzi e studi preparatori fatti per i personaggi del fregio e per le figure femminili così amate e a volte sfuggenti, che popolano i dipinti di Klimt. Ragazze esili e sensuali, colte in pose naturali, quasi distratte, un esercito di modelle che si aggirava per l’atelier del maestro viennese.

Completano l’esposizione i manifesti originali della Secessione, realizzati dai compagni di Klimt: Koloman Moser, Alfred Roller, Ferdinand Hodler e Leopold Stolba; con anche alcuni numeri di “Ver Sacrum”, lo strumento di divulgazione realizzato dagli artisti secessionisti, rivista/catalogo/opera d’arte totale della loro estetica.

Gustav Klimt – Disegni intorno al fregio di Beethoven fino al 6 maggio, Spazio Oberdan Orari: Martedì e giovedì: dalle 10.00 alle 22.00. Mercoledì, venerdì, sabato, domenica: dalle 10.00 alle 19.30 – Lunedì chiuso Ingressi: intero 8,00 €, ridotto 6,00 / 7,00 €

 

 

BOLOGNA. CRONACA DI UNA FIERA D’ARTE

Si è conclusa lunedì una delle fiere più importanti d’Italia, ArteFiera – Art First, la grande manifestazione che ogni anno richiama nella città emiliana artisti, gallerie, collezionisti, curatori, appassionati e i soliti prezzemolini del mondo dell’arte. Un’edizione ricca di eventi ma che ha sicuramente subito la pressione della crisi, come dimostra la diminuzione del numero di gallerie presenti in fiera, quest’anno meno di 200, tra italiane ed estere. La direttrice, Silvia Evangelisti, sottolinea che questo “dimagrimento” delle gallerie è dovuto in parte alla crisi ma in parte era già stato deciso tre anni fa. Qualità meglio di quantità, in linea con le tendenze delle fiere d’arte degli ultimi anni.

Un match di grandi nomi (Beecroft, Abramovic e Kosuth da Lia Rumma; Fontana, Burri e Pistoletto, tanto per citare i super famosi), e di talenti emergenti ma su cui è bene puntare, esposti con cura e rigore nei tanti stand dei tre padiglioni fieristici. Una kermesse dedicata all’arte contemporanea delle grandi installazioni, come le barchette fluttuanti e di grande effetto scenico di Hashimoto presso Studio LaCittà (Verona); ma anche l’arte delle ricerche sperimentali, con le polaroid fatte attraverso l’AuraCam della bolognese Francesca Grilli (Galleria Riccardo Crespi, Milano).

Il padiglione 16 era invece dedicato all’arte moderna e agli artisti già storicizzati, attivi dall’inizio del secolo scorso fino agli anni ’50. Una nota di novità è stata la presenza di “On the spot”, progetto ideato dal curatore spagnolo Paolo Barragàn. In ogni giorno di fiera è stata realizzata una piccola mostra, in uno spazio dedicato, firmata da quattro curatori: Laura Pan, Olivier Kielmayer, Direttore della Kunsthalle di Winterthur, Francesca Ferrarini, art advisor e Barragàn stesso, che hanno selezionato, secondo tema e tipologia, alcune delle opere esposte dalle gallerie per creare una mostra all’interno della mostra.

Fiera ma non solo. In un format che ricorda il Fuori Salone milanese, anche Bologna si è ammantata di eventi collaterali, con Bologna Arte Fiera Off: mostre, performance ed eventi sparsi nella città e in provincia. Oltre all’ingresso convenzionato tra la Fiera, il MAMbo e il museo Morandi; a Palazzo Pepoli con «Bologna si rivela», progetto della Fondazione Carisbo, ha aperto il Museo della Storia di Bologna; al Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo ha inaugurato la mostra “Da 0 a 100. Le nuove età della vita. Arte e scienza, due occhi su noi stessi”, in cui arte e scienza si uniscono per analizzare l’uomo, (fino al 12 febbraio 2012). Chiude il 26 febbraio “A bordo del cuore d’oro”, giunto alla settima edizione, progetto che coinvolge Bologna e dintorni. A cura di Julia Draganovic, un percorso per immagini tra arte e storia attraverso installazioni e lavori di artista, per creare un dialogo tra arte contemporanea, inedite locations e luoghi quotidiani.

Ma in tempi di crisi, come è andata la fiera? Si è venduto? Si mormora che le grandi gallerie abbiano mantenuto i loro standard e che le medie siano riuscite a stare a galla. Una manciata di grandi collezionisti si è vista passare tra i padiglioni, forse in cerca di novità. Tutto sommato i bollini rossi presenti accanto alle opere segnalano una timida ripresa delle vendite, anche se il “collezionista medio” sembra essere quasi del tutto fuori dal gioco. Tendenza questa già intuibile dall’inaugurazione un po’ sotto tono dell’apertura.

 

 

BRERA MAI VISTA: DUE LAVORI DI GEROLAMO GIOVENONE

In un mese in cui molte mostre stanno per giungere al termine (Artemisia Gentileschi, Oro dai Visconti agli Sforza e l’Arte Povera nella sua sede milanese), continua l’esposizione di capolavori della Pinacoteca di Brera con il ciclo “Brera mai vista”. Fino a marzo sarà possibile vedere due dipinti su tavola dell’artista vercellese Gerolamo Giovenone (1490 – 1555). Le due opere, un’Assunzione della Vergine e una grande ancona raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Giacomo, Giuseppe, Marta e donatore, rappresentano due momenti diversi e successivi della carriera dell’artista.

Giovenone nasce e cresce in una vera e propria stirpe d’artisti: il padre Amadeo era maestro di legname, così come lo fu il fratello, mentre furono pittori il fratello minore del Giovenone, Giuseppe (allievo e poi collaboratore di Gaudenzio Ferrari), e i figli di Gerolamo stesso, Giuseppe il Giovane e Giovanni Paolo. La formazione di Giovenone avviene quindi in un contesto caratterizzato dalle esperienze familiari e locali, ed è stata infatti ipotizzata una formazione presso Martino Spanzotti, documentato a Vercelli a fine Quattrocento, e il suo discepolo Defendente Ferrari, con il quale collabora in diverse occasioni nei primi decenni del Cinquecento.

Presto però lo stile di Giovenone cambia, venendo condizionato dall’incontro con Gaudenzio Ferrari, che aveva già operato a Vercelli per la prima volta agli inizi del secolo. L’influenza di Gaudenzio si avverte nelle opere di Gerolamo fin da subito, ma diventa particolarmente importante in quelle del decennio successivo, quando sono ripetutamente documentati i rapporti del maestro valsesiano con la famiglia Giovenone. A questa fase appartiene l’Assunzione della Vergine, giunta a Brera nel 1903/1904 con il dono della collezione del mercante Casimiro Sipriot, e che si ipotizza dipinta per la cappella dell’Assunta in San Marco a Vercelli. Nel 1525 infatti il testamento di Nicolino de Lancis ne disponeva la decorazione, destinando agli eredi duecento fiorini per la realizzazione di un’ancona entro sei anni.

Ma un nuovo artista si inserisce sulle scene vercellesi negli anni trenta, dominata a tutto tondo dai Giovenone: è Bernardino Lanino, giovane pittore allievo e collaboratore di Gaudenzio Ferrari che diviene presto il più importante divulgatore della poetica gaudenziana. I rapporti di Lanino con la famiglia Giovenone sono documentati dal 1530, e diventano via via più fitti fino ad arrivare al matrimonio, dieci anni dopo, tra la figlia di Gerolamo, Dorotea, e il Lanino.

Inizia da questo momento un intenso rapporto di scambio tra suocero e genero, del quale è esempio la Madonna con il Bambino e i santi Giacomo, Giuseppe, Marta e donatore (ca. 1543), entrata in Pinacoteca nel 1808 con le soppressioni napoleoniche degli ordini religiosi e già in Santa Maria delle Grazie a Novara. L’impostazione ha infatti numerosi punti di contatto con la pala dipinta da quest’ultimo per la cappella della Maddalena in San Francesco a Vercelli (1543, ora alla National Gallery di Londra). Il motivo del baldacchino, inoltre, si trova nella Madonna con il Bambino, santi e angeli, opera di Lanino per la chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Borgosesia. Nel paesaggio si riconosce invece il Sacro Monte di Varallo Sesia come si presentava all’epoca, opera in cui giocò la parte del protagonista lo stesso Gaudenzio Ferrari.

Un artista dal linguaggio sobrio e misurato, forse privo di grandi invenzioni ma che incontrò grande favore da parte della committenza, come dimostra la fiorente bottega vercellese. Due opere provenienti dai depositi della Pinacoteca ed esposte per la prima volta al grande pubblico.

Brera mai vista – fino al 18 marzo 2012 – Orari: 8.30 -19.15 da martedì a domenica. chiuso lunedì – Biglietti: € 6,00 intero, € 3,00 ridotto

 

 

ABO E LA TRANSAVANGUARDIA ITALIANA

ABO (Achille Bonito Oliva) vs Germano Celant. I due giganti della critica d’arte si sfidano con due mostre diversissime ma non troppo nella città meneghina. Se Celant ha proposto la sua Arte Povera sparsa per l’Italia, con sede principale presso la Triennale, ABO propone una grande retrospettiva sulla sua Transavanguardia, con seguito di mostre personali in giro per l’Italia. Cinque i protagonisti di ieri e di oggi, riuniti sotto l’etichetta di Transavanguardia proprio da Bonito Oliva alla fine degli anni ’70: Cucchi, Chia, Clemente, Paladino e De Maria. Di ciascuno dei cinque protagonisti raccoglie 15 opere, selezionate dal curatore in collaborazione con gli artisti, scegliendole tra le loro più significative, inedite o particolari.

Teorizzata nel 1979 da Achille Bonito Oliva con un saggio su Flash Art e da questi presentata per la prima volta al pubblico alla XIII Rassegna internazionale d’arte di Acireale, la Transavanguardia ha la propria consacrazione ufficiale nella sezione Aperto ’80 della 39ª Biennale di Venezia, segnando un punto di rottura con le ricerche minimaliste, poveriste, processuali e concettuali che avevano dominato gli anni Sessanta e Settanta. Un movimento artistico che sin dal suo nascere ha saputo e voluto puntare sull’identità della cultura italiana, inserendola a pieno titolo, e con una sua peculiare originalità, nel dibattito culturale internazionale degli ultimi quarant’anni. Nello stesso tempo ha portato l’arte contemporanea italiana a un livello di attenzione, da parte di collezionisti, musei e critici stranieri, del tutto nuovo.

All’idealismo progressista delle neo-avanguardie il nuovo movimento risponde con il ritorno alla manualità dell’arte e alle sue tradizioni. All’utopia del modernismo e del moderno in cui tutto è internazionale, multinazionale e globalizzato, la Transavanguardia, nel suo trans-attraversamento di linguaggi, tecniche e scelte, oppone il genius loci del singolo artista, ossia il territorio del suo immaginario, nonché una rivalutazione del proprio nomadismo culturale e dell’eclettismo stilistico, che si nutre di memorie del passato (vedi i riferimenti longobardi beneventani di Paladino) e di citazioni dalla storia dell’arte, contribuendo così al più generale processo di rielaborazione della Storia e della soggettività avviato negli anni ottanta.

L’evento milanese ruota attorno ad alcune tematiche comuni, che attraversano le diverse poetiche dei cinque artisti: il ritorno alla manualità della pittura, delle tecniche semplici e “primitive”, il narcisismo dell’artista, il doppio e l’altro, la violenza, la natura, l’incertezza della ricerca, l’inconscio, l’immagine tra disegno e astrazione, il tutto in bilico tra bi e tridimensionalità. La mostra raccoglie in tutto 66 opere: 44 provenienti da musei, fondazioni, gallerie e collezioni private italiane, e 22 da musei e collezioni europee.

Si potranno mettere così a confronto le opere dei cinque artisti, appartenenti sì a un’unica corrente ma sicuramente diversi nella propria ricerca personale: le “cupole”, i fiori e i colori sgargianti di De Maria; i dipinti un po’ espressionisti e alla Bacon di Francesco Clemente, nella sua visone dell’”arte come catastrofe”; i riferimenti a Chagall, Picabia, Picasso e De Chirico di Sandro Chia; le memorie storiche, tra forme organiche, simboliche e arcaiche di Mimmo Paladino; infine i riferimenti alla morte e alla decadenza fatti da Enzo Cucchi, in una profusione di teschi e immagini precarie sui suoi fondali desertici.

La mostra di Palazzo Reale è parte di un ciclo progressivo di sei mostre dedicato alla Transavanguardia. In concomitanza con la mostra milanese, sei importanti istituzioni italiane organizzeranno alcune giornate di approfondimento sulla Transavanguardia presiedute da uno dei cinque filosofi del comitato scientifico composto da Massimo Cacciari, Giacomo Marramao, Bruno Moroncini, Franco Rella, Gianni Vattimo, e contestualmente esporranno le opere della Transavanguardia presenti nelle loro collezioni. Alle giornate di studio prenderanno parte critici d’arte, curatori e direttori di musei. Di seguito il calendario delle giornate ancora a venire:

Le mostre personali saranno ospitate in altrettante città italiane tra le più rappresentative della storia e dell’identità italiana, oppure legate alle vicende stesse della Transavanguardia. Le varie mostre saranno incentrate sulla recente produzione dei singoli protagonisti, partendo da un primo nucleo di opere storiche per poi seguire l’evolversi nel tempo e gli esiti ultimi delle loro ricerche artistiche.

1 marzo 2012, ROMA – MIMMO PALADINO: Roma, ex-GIL di Luigi Moretti, a cura di Achille Bonito Oliva e Mario Codognato e l’organizzazione di Civita.

Marzo 2012, PALERMO – FRANCESCO CLEMENTE: Palermo, Palazzo Sant’Elia, a cura di Achille Bonito Oliva e Francesco Gallo e l’organizzazione di Civita.

“Transavanguardia”– Palazzo Reale, fino al 4 marzo 2012 Orari: lunedì 14.30 – 19.30, martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30, giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Biglietti: € 9,00 intero, € 7,50 ridotto

 

 

LE “GALLERIE D’ITALIA” NEL CUORE DI MILANO

Dopo il Museo del Novecento, apre a Milano, in centro che più centro non si può, un altro museo destinato a diventare una realtà importante del panorama artistico milanese. Hanno infatti debuttato in pompa magna le “Gallerie d’Italia”, museo-polo museale in piazza Scala, ospitato negli storici palazzi Anguissola e Brentani, restaurati per l’occasione. Un avvenimento cittadino, che ha avuto un’intera nottata di eventi e inaugurazioni dedicate.

Si è iniziato con “Risveglio”, videoproiezione sui palazzi di piazza Scala, a cura di Studio Azzurro, ispirate all’omonimo dipinto Risveglio (1908-23) di Giulio Aristide Sartorio (di proprietà della fondazione Cariplo), artista liberty e simbolista, esposto all’interno del museo. C’è stato poi un incontro con il filosofo Remo Bodei, con una riflessione sul bello e sul valore dei musei, per poi passare alle visite gratuite per il grande pubblico del Teatro alla Scala.

Una serata fitta d’impegni, che si è protratta fino all’una di notte, per permettere ai tanti visitatori in fila nonostante la pioggia battente, di visitare gratuitamente il nuovo museo. E in effetti valeva la pena di aspettare per vedere le tredici sezioni di questo museo che comprende, cronologicamente e per temi, tanti capolavori del nostro passato per approdare poi ai Futuristi. Un ideale partenza per visitare poi il vicino Museo del Novecento.

Un museo voluto e creato, nonostante i tempi poco propizi, da Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo, da sempre attente all’arte e alla cultura, che grazie al progetto architettonico di Michele de Lucchi, ospita 197 opere dell’Ottocento italiano, in particolare lombardo, delle quali 135 appartenenti alla collezione d’arte della Fondazione Cariplo e 62 a quella di Intesa Sanpaolo. Il percorso espositivo di 2.900 mq, curato da Fernando Mazzocca, propone un itinerario alla scoperta di una Milano ottocentesca, assoluta protagonista del Romanticismo e dell’industrializzazione, ma anche di altre scuole artistiche e correnti.

Aprono il percorso i tredici bassorilievi in gesso di Antonio Canova, che già di per sé varrebbero la visita, ispirati a Omero, Virgilio e Platone; si passa poi ad Hayez e alla pittura romantica, con il suo capolavoro “I due Foscari”; largo spazio è stato dedicato a Giovanni Migliara e Giuseppe Molteni, per passare a Gerolamo Induno; alla sezione dedicata al Duomo di Milano e alle sue vedute prospettiche e quella dedicata ai Navigli. Se a palazzo Anguissola tutto era un trionfo di stucchi, specchi e puttini, l’ambientazione cambia quando si passa al contiguo palazzo Brentani, con la pittura di genere settecentesca, i macchiaioli, con Segantini e Boldini, i divisionisti, il Simbolismo di Angelo Morbelli e Previati, per arrivare all’inizio del ‘900 con quattro dipinti di Boccioni, ospitati in un ambiente altrettanto caratteristico ma più neutro e museale.

Al centro, nel cortile ottagonale, troneggia un disco scultura di Arnaldo Pomodoro. Ma non è finita qui. Al settecentesco Palazzo Anguissola e all’adiacente Palazzo Brentani, si affiancherà nella primavera del 2012 la storica sede della Banca Commerciale Italiana, che ospiterà la nuova sezione delle Gallerie e vedrà esposta una selezione di opere del Novecento.

Insomma un progetto importante che, in un momento di crisi e preoccupazione globale, vuole investire e rilanciare arte, cultura e il centro città, facendo di piazza della Scala un irrinunciabile punto di riferimento, un “salotto cittadino” adatto ai turisti, ma, si spera, non solo.

Gallerie d’Italia – piazza della Scala – entrata libera fino all’apertura della sezione novecentesca del Museo, prevista nella primavera 2012 – Orari: Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30. Giovedì dalle 9.30 alle 22.30. Lunedì chiuso

 

CEZANNE E LES ATELIERS DU MIDI

Palazzo Reale presenta, per la prima volta a Milano, un protagonista indiscusso dell’arte pittorica, colui che traghetterà simbolicamente la pittura dall’Impressionismo al Cubismo; colui che fu maestro e ispiratore per generazioni di artisti: va in scena Paul Cezanne. Sono una quarantina i dipinti esposti, con un taglio inedito e particolare, dovuto a vicende alterne che hanno accompagnato fin dall’origine la nascita di questa grande esposizione, intitolata “Cézanne e les atéliers du midi”.

E’ appunto da questo titolo che tutto prende forma. L’espressione “ateliers du midi” fu coniata da Vincent Van Gogh, il cui progetto ero quello di creare una comunità di artisti riuniti in Provenza, una sorta di novella bottega, in cui tutti avrebbero lavorato in armonia. Un progetto che, come è noto, non portò mai a termine, ma dal quale Rudy Chiappini e Denis Coutagne, curatori della mostra, hanno preso spunto per delineare il percorso artistico di Cezanne.

La mostra è un omaggio al grande e tenace pittore solitario, nato ad Aix-en-Provence, luogo al quale fu sempre attaccato, e che nei suoi continui spostamenti tra il paese natio, Parigi e l’Estaque, creò quella che da sempre è stata considerata la base dell’arte moderna.

Il tema portante dell’esibizione riguarda l’attività di Cezanne in Provenza, legata indissolubilmente ai suoi ateliers: prima di tutti il Jas de Bouffan, la casa di famiglia in cui Cezanne compie le sue prime opere e prove giovanili; la soffitta dell’appartamento di Rue Boulegon; il capanno vicino alle cave di Bibémus; i locali affittati a Château Noir; la piccola casa a l’Estaque, e infine il suo ultimo atelier, il più perfetto forse, costruito secondo le indicazioni del pittore stesso, l’atelier delle Lauves.

Luoghi carichi di significato e memoria, in cui il maestro si divise, nelle fasi della sua vita, tra attività en plein air, seguendo i consigli degli amici Impressionisti, e opere “sur le motiv”, una modalità cara a Cezanne, che della ripetizione ossessiva di certi soggetti ne ha fatto un marchio di fabbrica. Opere realizzate e rielaborate all’interno dello studio, luogo di creazione per ritratti, nature morte, composizioni e paesaggi. Ma l’atelier è anche il luogo della riflessione per Cezanne, artista tormentato e quasi ossessivo nel suo desiderio di dare ordine al caos, cercando equilibrio e rigore, usando soprattutto, secondo una sua celebre frase, il cilindro, la sfera e il cono. “In natura tutto è modellato secondo tre modalità fondamentali: la sfera, il cono e il cilindro. Bisogna imparare a dipingere queste semplicissime figure, poi si potrà fare tutto ciò che si vuole”.

Una mostra che vanta prestiti importanti (quale un dipinto dall’Hermitage); che coinvolge un’istituzione importante come il Museo d’Orsay, e che ha nel suo comitato scientifico proprio il direttore del museo e il pronipote dell’artista, Philippe Cezanne. Con un allestimento semplice ma accattivante, merito anche dei grandi spazi, il visitatore potrà scoprire i primi e poco noti lavori del maestro francese, le opere murali realizzate per la casa paterna e i primi dipinti e disegni ispirati agli artisti amati, come Roubens, Delacroix e Courbet.

Dal 1870 Cezanne trascorrerà sempre più tempo tra Parigi, in compagnia dell’amico di scuola Emile Zola, e la Provenza. Nasconoquindi inediti soggetti narrativi, usando lo stile en plein air suggeritogli da Pissarro. Si schiariscono i colori e le forme sono più morbide: ecco le Bagnanti, ritratte davanti all’amata montagna-feticcio Sainte Victorie.

Stabilitosi quasi definitivamente in Provenza, eccolo licenziare alcuni dei suoi paesaggi più straordinari, con pini, boschi e angoli nascosti, tra cui spiccano quelli riguardanti le cave di marmo di Bibemus, luogo amato e allo stesso tempo temuto da Cezanne, che vedeva nella natura il soggetto supremo, il principio dell’ordine, ma che al tempo stesso poteva essere anche nemica e minaccia.

Capolavori della sua arte sono anche i ritratti, dipinti in maniera particolare e insolita. Sono ritratti di amici e paesani, di gente comune che Cezanne fissa su tela senza giudicare né esprimere pareri, figure immobili ed eterne, come le sue nature morte. E sono proprio queste le composizioni più mature, tra cui spicca per bellezza “Il tavolo di cucina – Natura morta con cesta”, (1888-1890), dalle prospettive e dai piani impossibili, con una visione lontanissima dalla realtà e dal realismo imitativo, con oggetti ispirati sì da oggetti reali, tra cui le famosissime mele, ma reinventati in chiave personale.

Una mostra dunque densa di spunti per comprendere l’opera del pittore di Aix, complementare alla mostra del Musée du Luxembourg di Parigi, intitolata “Cezanne et Paris”, che indagherà invece gli anni parigini e approfondirà il rapporto tra Cezanne, gli Impressionisti e i post Impressionisti.

Cézanne e les atéliers du midi fino al 26 febbraio, Palazzo Reale. Orari: 9.30-19.30; lun. 14.30-19.30; gio. sab. 9.30-22.30. Costi: intero euro 9, ridotto euro 7,50.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 



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